venerdì 8 maggio 2020

La forza sociologica della mano invisibile
 Voglia di normalità

Le città italiane stanno tornando a vivere. Le strade  formicolano di persone, non proprio come prima, ma i segni di ripresa e  normalità  sono più che evidenti. Come ieri, sui Navigli  milanesi, città e soprattutto  regione dove l’epidemia ha colpito duramente (quasi i due terzi dei casi italiani).
Cosa significa tutto questo? Che gli individui, senza prendere accordi con altri  o ricevere ordini precisi dall’alto, in piena indipendenza, perseguono  i propri interessi e affari: una boccata d’aria, un caffè, una chiacchierata,  un incontro d’amore, ma già si pensa anche a tornare al lavoro, a produrre, a investire eccetera.  I Navigli, pieni di gente -  per non parlare del resto dell'Italia,  in pratica sfiorato dal virus -  indicano che ogni singola persona sa perfettamente che cosa è  bene per sé.  O comunque, provano  come gli uomini  siano perfettamente  capaci di ragionare sui rischi, assumersi  responsabilità, valutare, finalmente, per ciò che è, l’isterica pandemia psichica e istituzionale  che ha tramutato in  fiction hollywoodiana  un’ influenza stagionale.  Certo, di qualche pericolo per gli anziani, soprattutto se già sofferenti di altre patologie. Tutto qui però. E invece  tutta l' Italia si è dovuta sorbire, rinchiusa per decreto  in casa,  un  brutto filmaccio catastrofista dalle disastrose conseguenze reali.  E con i suoi picchi di ridicolo. Come l'ordine di   evitare di ammalarsi  per favorire il lavoro della sanità pubblica…        
E  ora  che accade? C’è una giusta domanda individualizzata (dei singoli) di  normalità.  E invece che succede?  Ci si indigna.   Invece di gioire della vitalità e ragionevolezza degli italiani, che, tra l’altro,  per due  mesi hanno dovuto subire le isteriche e catastrofiche  scelte politiche del governo populista.  
Il fenomeno purtroppo  non è solo italiano. “Le Monde” ha pubblicato un  Manifesto di duecento artisti, scienziati, intellettuali e attori  che   non vogliono il ritorno alla normalità, perché  il lockdown, si legge,  può essere lo strumento giusto per combattere il consumismo e il capitalismo. Ovviamente puntando su una specie di oppressivo   welfare state mondiale.  
Un classico caso di  presunzione politica:  abbiamo   un gruppo  persone che pretende di sapere ciò che sia bene per l’intera umanità.  Un esempio da manuale della sindrome totalitaria, sindrome che abbraccia fenomeni politici come il comunismo, il nazismo, il fascismo, il  nazionalismo, l’ecologismo, il welfarismo. Abbiamo sotto gli occhi  il prolungamento sociale  del costruttivismo cognitivo. La forma mentis  che distingue ogni  fondamentalismo ideologico. Che, mai dimenticarlo, si regge su un insieme di regole da imporre  a tutti gli uomini.  E  in nome di che cosa?  Per il loro bene, of course... Che inevitabilmente consiste nell'epica costruzione di  “un mondo migliore”, dove finalmente non ci saranno  plutocrati,  ebrei, immigrati,  inquinatori, evasori fiscali e contributivi. E, da ultimi, i runner…    

Si rifletta bene: da un lato abbiamo l’ideologia costruttivista, fisicamente incarnata dalle istituzioni, in particolare dalla mano visibile dello stato e dei suoi esperti, dall’altro la mano invisibile, rappresentata  dal prorompente  libero agire di miliardi di uomini.  
Chi vincerà? Storia e sociologia finora hanno sottolineato due aspetti: uno, la capacità dell’uomo di resistere, magari con perdite,  a ogni virus, anche in epoche igienicamente meno sicure; due, i fallimenti, soprattutto negli ultimi due secoli,  dei sistemi statolatrici, sistemi che però sono  sempre in agguato, pronti ad allungare  mani  e artigli sulle vite degli uomini.
Non è perciò facile fare previsioni, anche perché la storia procede per cicli. Come insegnano Jacques Pirenne e Corrado Barbagallo,  al momento autoritario succede quello libertario, e così via.  
Oggi però  abbiamo gli strumenti per individuare il nemico e contrastarlo. E non è poco. Serve però coraggio. Individuale.  Dopo di che, basterà affidarsi, come  già sta  avvenendo, alla forza sociologica della mano invisibile.

Carlo Gambescia