giovedì 13 febbraio 2020

Salvini a processo
A brigante, brigante e mezzo

Sarebbe interessante scoprire quando si parlò  per la prima volta nella storia della Repubblica di persecuzione giudiziaria di un politico. Probabilmente negli anni di Tangentopoli  quando  Craxi  rivendicò  la sua condizione di vittima di una magistratura politicizzata. Dopo venne il turno di Berlusconi. E ora tocca a Salvini. 
C’ è però una differenza, fermo restando che la magistratura è strabica, dal momento che continua  a colpire -  parliamo dei politici importanti -  sempre a destra. 
Dicevamo che c’è una differenza tra Craxi, Berlusconi da una parte, e Salvini dall’altra.  Quale? Che se per il leader  socialista, prima, e per il Cavaliere dopo, in gioco vi  erano in ballo  questioni di soldi (semplificando), contro Salvini la discriminante è schiettamente costituzionale. Il leader leghista  rappresenta intellettualmente  l’antitesi politica   dei valori di tolleranza e solidarietà racchiusi nella Costituzione repubblicana.   Non è più questione di soldi sottobanco, evasione fiscale e frequentazioni di minorenni, sono in causa  i diritti dell’uomo. Ovviamente, sul piano legale, una volta in tribunale,  si possono fare distinzioni sottili. Detto brutalmente,  buttarla in caciara… E in ciò spera Salvini.  Torneremo su questo più avanti.  

Insomma,  il punto è  politico-ideologico non giuridico (sì, sì sappiamo che la forma è sostanza, ma non deve  neppure essere un  nodo scorsoio al quale appendersi...). E  rinvia allo stesso gigantesco  contrasto di valori  che caratterizzò l’immane conflitto tra la liberal-democrazia  e i fascismi.  Il che, sebbene non giustificabile dal punto di vista delle regole,   aiuta però  a capire come l'extrema ratio dell’uso politico (mai dimenticare questo aspetto di ultima possibile linea di azione) abbia una sua ragione “alta”: eliminare un avversario  antisistemico, pericolosissimo,  che con il suo fare e dire ci riporta indietro  alla cultura politica della tentazione fascista. 
Certo, ripetiamo,  anche  il tentativo di eliminare  politicamente Salvini (perché se condannato sarebbe fuori) rischia di violare le regole dello stato di diritto. Sotto questo aspetto condividiamo in modo spudorato il titolo di oggi di “Libero”, rovesciandone però  il senso politico: "Ottimo: Salvini in galera".  
Insomma,  come si dice,  a brigante, brigante e mezzo. Siamo in pieno stato di eccezione, la democrazia liberale è in pericolo, realmente (altro che Craxi e Berlusconi…), e deve difendersi anche ricorrendo all’uso politico della giustizia.  Di cui, indubbiamente, in Italia si è fatto spreco se non strame... Nessuno qui lo nega per carità.
Alcuni  sostengono che l'antipolitica giudiziaria  rischia di rafforzare politicamente Salvini quando si andrà  al voto. Perché  ne seguirebbe un governo di destra che lo tirerebbe fuori dai guai.  Può darsi.   Salvini  del resto  lo spera.   Ma, ripetiamo,  "questa volta",   siamo in pieno stato di eccezione. La cosa è seria.  E si deve tentare di fermare un nemico (attenzione, non un avversario...) sistemico.

Per capire la gravità della situazione, si pensi solo a una cosa: quale politico italiano di vertice, nella storia della Repubblica, neofascisti a  parte,  ha  mai citato  a sua difesa  Ezra  Pound - il Pound mussoliniano al cento per cento -  come Salvini ieri su Twitter?  
Da un personaggio così pericoloso  la Repubblica e ogni vero liberale devono difendersi con qualunque  mezzo, a prescindere dalla compagnia politica del momento. Chi scrive non ha mai amato la sinistra  e i suoi ipocriti  metodi  politico-giudiziari, molto spesso usati a sproposito, di cui il titolo di “Repubblica” è l'ennesima prova.   Ma Salvini va fermato.
Del resto, pur di battere  Hitler,  le liberal-democrazie non si allearono con Stalin? Si dirà  che Salvini non è Hitler. E sia. Ma neppure Travaglio è Stalin...     

Carlo Gambescia