mercoledì 5 febbraio 2020

Hegel, Kant e le Foibe
Ripensare il Risorgimento? 
Sì, ma come?

Come ogni anno nell’imminenza  della giornata in memoria delle Foibe  sorgono polemiche e divisioni.  Perché?  Purtroppo  l’Italia non ha mai fatto veramente i conti con il Risorgimento. Si dirà:  che c’entra il Risorgimento con quelle stragi? C’entra eccome.
Il nazionalismo fascista che provocò la reazione  inaudita ed esecrabile dei partigiani comunisti jugoslavi,  affonda le radici  in una interpretazione antiliberale del Risorgimento, semplificando hegeliana,  fondata sulla giustificazione dei processi di potenza a opera dello Stato-Nazione: un vero e proprio quadro operativo imperniato sulla dialettica tra vincitori e vinti, quale specchio del reale,  dove, sociologicamente parlando,  la conquista implica sempre la dura  sottomissione degli altri popoli. 
Questa interpretazione hegeliana -  parliamo di un dato sociologico non di un  astratto concetto di storia delle idee  -   ha motivato, direttamente e indirettamente,  larga parte della classe politica risorgimentale,  contribuendo a porre in secondo ordine altre interpretazione sociologiche  dello stato-nazione: democratico-mazziniane  e liberali (humboldtiane, constantiane-guizotiane), facilitando così l'avvento socio-filosofico del fascismo.
Si pensi ad esempio alle  posizioni politiche di Gentile e Croce:  il primo, profeta dello stato etico, il secondo, quieto filosofo dello stato laico.  Entrambi però   furono  per  lo stato come incarnazione di una realtà da cavalcare attualisticamente, scorgendo nel fascismo un superliberalismo,  o da subire, in nome dei distinti,  in attesa di tempi migliori, "invigilando se stessi": idealismo armato e quietismo disarmato, conseguenze squisitamente hegeliane...   
L’aspetto curioso della faccenda è che  i progressi sociali dello stato liberale,  indubitabili fino al 1915,  furono invece largamente dipendenti da  una cultura di tipo amministrativo, pratica,  empirica con punte dotte di  positivismo, nonché di volgare ma sano realismo politico. Cavour e Giolitti in qualche  misura incarnarono un   liberalismo pragmatico  e  politico, che poneva lo stato al servizio del cittadino e non viceversa. Semplificando, furono  due liberali antihegeliani. Coscientemente o meno.
Ora, per tornare al Risorgimento e alle Foibe, l' hegelismo sociologico favorì  i successivi disastri  politici  perpetrati in nome di uno stato-nazione che doveva inevitabilmente espandersi, opprimendo i propri cittadini e quelli degli altri stati-nazione. Esso facilitò la vittoria del fascismo, giustificò le sue guerre e condusse  alla inevitabile reazione di segno contrario  rappresentata dalle stragi del Foibe, anch’esse, via Marx, di ascendenza hegeliana…  Quando si dice il caso... 
Il nostro forse, come metodo (non come sostanza),  rinvia a un quadretto alla Oriani?   Sciabolate nel vuoto, come gli si rimproverò a proposito della Lotta politica in Italia.
Può darsi.  Ecco  però un dato di storia delle idee, molto concreto, che non guasta.  I lettori di Garin (tra gli altri) sono perfettamente al corrente della vita grama che Kant e il kantismo condussero  in Italia, sociologicamente parlando,  almeno fino al 1945. La sua filosofia (come del resto quella di Locke, cui toccò la stessa sorte), una volta tradotta socialmente e politicamente,  avrebbe rappresentato  un ottimo antidoto (preventivo)  all' hegelismo sociologico.  E invece... 
Pertanto ripensare il Risorgimento  significa fare i conti con la tradizione sociologica hegeliana e rivalutare il pragmatismo di Cavour e Giolitti.  Va detto infine, cosa del resto notissima, che Croce, dopo l’avvento del fascismo,  rivalutò  l’opera dell' "uomo di Dronero". Un sano  sussulto di anti-hegelismo che gli fa tuttora onore. Gentile invece perseverò. Morì da hegeliano come  i poveretti delle  Foibe. Questi ultimi però loro malgrado...

Carlo Gambescia