giovedì 20 febbraio 2020

A proposito di un commento di Fabio Brotto
Approccio  morale e  approccio scientifico

Ieri l’amico Fabio Brotto (nella foto), durante un interessante confronto su Facebook,  ha offerto, con il suo dire,  un esempio chiarissimo della differenza che passa  tra approccio  morale  e approccio scientifico.  
Riassumo.  Ieri ho scritto un  articolo dove illustravo come  in termini di grandi numeri, ossia di logica probabilistica  (statistica), che ognuno riceve quel che merita (*). Il che ovviamente,  poiché si tratta di valori medi, che tengono  conto -  statisticamente del caso -   non esclude,  che  alcuni ricevano troppo o troppo poco rispetto a ciò che meritano. 
La mia tesi ha però  sollevato, ecco il punto, una reazione di tipo morale. Ben esemplificata dal doppio commento di Fabio Brotto.


Fabio Brotto: "Ognuno alla fine riceve esattamente quel che merita" presuppone un'idea di "merito", mi pare. Temo che qualcosa di moralistico, pur sempre negato, stia come fondo oscuro sotto alcuni tuoi giudizi, il cui fondamento si pretenderebbe neutro. Dunque, in che senso un "ultimo degli ultimi" come (e.g.) un bimbo che muore di fame in Africa, riceverebbe "quel che merita"? Questa affermazione potrebbe essere coerente con una visione induista, o con una prospettiva calvinista, in ogni caso ha un sapore etico-religioso.

 Fabio Brotto Ne morisse anche solo uno, non cambierebbe di uno iota il rigore del mio ragionamento, che non è ovviamente, "quantitativo" ma attacca l'idea di "merito". "Merito" con la statistica non c'entra nulla, come dovrebbe essere chiarissimo. Temo che siamo molto distanti. Buona giornata.


Giustissimo. “Siamo molto distanti”. E la  diversità  è nell’ approccio.  Lo scienziato, il sociologo, in questo caso,  prende atto della realtà statistica, scientifica, che ci aiuta a capire l’importanza dei valori medi.  La scienza non è mai scienza del caso singolo, guarda alle classi e alle regolarità, ovviamente non inventate, ma afferenti a risultati  che,  attenzione, possono essere sempre falsificati. Che cosa voglio dire?  Che qualora cambiassero i valori medi, cambierebbe anche il senso sociologico del mio articolo.  E io ne sarei ben felice, per la scienza e per il caso singolo.
La morale, invece, si rivolge proprio al caso singolo, ad esempio l’unico bambino africano eccetera, eccetera, richiamato da Fabio Brotto nel suo esempio.  I valori professati dal moralista - buoni o cattivi che siano, non è questo il punto scientificamente parlando -  sono infalsificabili. Sono, e basta. Come si evince dal “se ne morisse solo uno non cambierebbe di uno iota il rigore del mio ragionamento”. Si noti anche  la terminologia neotestamentaria… Comunque sia,  siamo davanti, a una professione di etica dei principi  che può essere riassunta nel classico  Fiat iustitia et  pereat  mundus. 
Ora,  se lo scienziato proprio di etica deve parlare,  non può che   pronunciarsi per l’etica dei mezzi o della responsabilità, che a sua volta rimanda all’aggiustamento tra principi e realtà.  Quindi, una “morale”, se proprio la vogliamo chiamare così, che  sposi  il  principio scientifico di falsificabilità.
E qui faccio un esempio. “Avere ognuno ciò che merita”, statisticamente parlando,  rinvia alla curva dei  redditi paretiana, che riflette una distribuzione media di valori statistici, una gaussiana a campana.
E quando   mi si dimostrerà  che  è  sbagliata,  sarò  il primo a cambiare idea, proprio in nome del principio scientifico di falsificabilità.   
Perché questa curva è così importante? Perché Pareto  prova due cose fondamentali: 1) che la distribuzione dei redditi, storicamente parlando, dunque a prescindere dal regime politico,  è di natura piramidale o comunque assai vicina;  2)  che non è possibile cambiare  la situazione economica di una persona senza incidere su quella di un’altra. 
Quanto sopra,  non esclude la mobilità, anche piuttosto veloce, secondo le epoche,  verso l’alto e verso il basso,  però sempre all’interno della forma sociale,  in termini di geometria piana, “triangolare” o quasi.  Come non esclude  stati temporanei di ottimo,  dove le disparità, pur presenti, si stabilizzino, sempre dentro il “triangolo” ovviamente.   Pertanto, sia  detto  solo per  inciso, come scrive l'amico Carlo Pompei, autore di un pregevolissimo commento, "la distribuzione del reddito (e quindi del merito) non può avvenire per decreto". 
Concludendo, come si può capire, non c’è nel mio dire,  alcun “fondo oscuro”.  Uso la parola merito?  Allora parliamo di  entità M distribuita, eccetera, eccetera.  Però criticare un approccio scientifico, falsificabile,  ricorrendo a  principi morali infalsificabili, non è dal punto di vista  del ragionamento corretto.  Sarebbe invece corretto  criticarmi in nome di  una distribuzione dei redditi  “altra”, ad esempio a forma di parallelepipedo rettangolo per tornare alla geometria solida.  
Che però va provata, e  statisticamente.  

Carlo Gambescia