venerdì 21 febbraio 2020

Sociologia del concetto di merito 

Che cos’è il merito?  Come si stabilisce il merito di una persona rispetto a un'altra? E chi deve stabilirlo?  Che cos’è meritevole?  E di che cosa?  Aiuto?  Riconoscimento?  E in quali forme? Economiche?  Morali? Ovviamente si è  "meritevoli"  anche di castighi e punizioni. Però  in  genere  si attribuisce al termine un valore positivo.  L’etimologia latina rimanda a merere (meritare, acquistare, guadagnare).  Nel concetto di merito è sotteso  un diritto all’acquisizione con le proprie opere a  ricompense materiali o morale, e nel credente, sovrannaturali.
La sociologia come deve comportarsi nei riguardi del concetto di merito? O meglio ancora,  che tipo di  contributo analitico  può dare?   
In primo luogo, dal punto di vista  dei comportamenti, il merito ( sapere che se si agirà in un certo modo si otterrà una ricompensa sociale) è un elemento che favorisce il conformismo sociale  nel senso  di un comportamento sociale conforme a determinati valori prevalenti nel  gruppo sociale. Il che può valere  sia per lo  studente modello che per il  mafioso modello. Basta sostituire la pistola  al libro e viceversa.
In secondo luogo, le ricerca storica e sociologica - basta sfogliare una qualsiasi buona storia universale (1) -  prova che  le società dove prevale l’ideologia meritocratica funzionano meglio di quelle dove si ascende socialmente  per altri canali,  più o meno fiduciari. Sembra che i costi sociali  di una società meritocratica siano inferiori rispetto al suo contrario. Ovviamente la regola della meritocrazia come "lubrificante" vale sia  per un’impresa commerciale, come per un gruppo camorristico.
Il terzo luogo, e qui introduciamo il concetto con una domanda,   la sociologia  come può misurare il rapporto tra merito e società? Purtroppo, al momento  esistono forme di misurazione non particolarmente sofisticate.  Bisogna accontentarsi,  per ora.  Del resto non potrebbe non essere così. Perché  quando si parla di misurazione,  non si parla di ciò che la gente considera sia meritevole di essere ricompensato, oppure  dei  giudizi collettivi sulla legittimità  o meno delle distanze sociali, bensì si parla della necessaria fotografia della società, fotografia  capace di riflettere abbastanza fedelmente il rapporto  tra stratificazione  sociale e merito.  Cosa non proprio facile.
Merito, però,  inteso come?   Come correlazione positiva  tra   reddito e quoziente di  intelligenza (da ultimo si veda  Herrnstein e Murray) (2), dal momento che le due curve a campana del reddito e del QI si sovrappongono quasi perfettamente. Ciò significa  una persona intelligente  ha più possibilità di un’altra che lo è meno, di  meritarsi un  posizione economica, e di conseguenza sociale, migliore.     
Si dirà che non è molto.  Però, come mostrano gli studi di Pareto (3), la curva del reddito sembra essere storicamente stabile, come del resto, e a maggior ragione,  quella dell’intelligenza. Diciamo che la correlazione costituisce  una base cognitiva sufficientemente sicura.  
Ciò però  significa anche un'altra cosa,  urticante per tutti, egualitari e meritocratici. Quale?   Che la meritocrazia, anche  se correttamente applicata,   come insegnano  i dati statistici,  oltre un certo limite o picco, stabilito dalla distribuzione a campana dell’ intelligenza,  non può andare. Il numero dei capaci, fino a prova contraria, tende da sempre a essere  inferiore a quello dei parzialmente capaci e degli incapaci.  Di conseguenza, il meccanismo, anche il più meritocratico di selezione, soprattutto in una società di massa,  se vuole colmare i vuoti in alto, sarà sempre a  costretto ad abbassare  gli standard selettivi,  innescando un processo di graduale selezione se non dei  peggiori, dei “diversamente capaci”  che  alla lunga  può nuocere  al funzionamento o "equilibrio" sociale,  per dirla nuovamente  con Pareto.
Al riguardo sarebbe interessante indagare, anche per trovare una ulteriore verifica empirica a quel che stiamo scrivendo, le liste degli Ordini al Merito della Repubblica,  un totale di circa duecentocinquantamila soggetti,  suddivisi  dal basso verso l’alto in cinque livelli (da Cavaliere a Cavaliere di Gran Croce, passando per  Ufficiali, Commendatori e Grandi Ufficiali). Le liste sono pubbliche e quindi verificabili (4) .  
Qual è l'ipotesi?   Che la distribuzione delle capacità economiche e intellettive, anche all’interno dell’élite pubblica del merito italiana, rifletta  una curva a campana.  Insomma le vere eccellenze, premi nobel, grandi imprenditori, sommi artisti eccetera,  non potrebbero che essere  “posizionate”  nella parte alta,  per riconosciuto  valore, mentre nella parte discendente probabilmente  ritroveremmo  coloro che  godono i frutti, per così dire, dell’abbassamento degli standard.  Non che non siano  anch’essi meritevoli,  ma visto che siamo in una società di massa,  probabilmente una cruna dell’ago più  larga permette l’accesso dei meno dotati in chiave scalare, ovviamente.  Il che però alla lunga potrebbe  non giovare  alla funzionalità sociale e in questo caso al buon nome di una istituzione.  Si pensi, alla battuta cavouriana, se ricordiamo bene, sul cavalierato, che come un sigaro non si nega a nessuno. Questo accadeva  più di centocinquant’anni fa, figurarsi oggi.  
Come concludere? Qui il sociologo, come il geografo antico,  si ferma.  Hic sunt leones.

Carlo Gambescia


(1) Si  consigliano le classiche storie  universali  di  Corrado  Barbagallo e Jacques Pirenne.  
(2) Per ulteriori indicazioni, anche bibliografiche,  si veda qui: 
 (3)  A chi desideri  approfondire, anche sul piano bibliografico (di e su), le tesi paretiane sulla distribuzione dei redditi, rinviamo al sintetico ma eccellente  studio di Fiorenzo  Mornati, scaricabile qui:  https://www.researchgate.net/publication/23696785_Sulle_origini_della_legge_di_distribuzione_del_reddito_di_Pareto  . Si vedano in particolare le conclusioni (p. 12)