La nuova destra di Veneziani e Buttafuoco
Roba da rigattiere (della politica)
I rottami post-aennini
si riuniscono oggi a Palazzo Wedekind, sede del “Tempo”, sotto gli auspici di un giornale in passato liberale, oggi fascio-leghista, “per rifondare la destra”. Auguri.
Il quotidiano diretto da Gian Marco Chiocci, gran maestro del muckraking nazional-populista, (genere bava
alla bocca), ha corredato la notizia dell’ evento
- botta di cultura - con due interviste a Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco. C’è spazio per una nuova destra? Che
poi sarebbe vecchissima e
neofascistissima: ma si sa, si fa ma non si dice... Per Veneziani si deve
partire “da un progetto politico di caratura ‘statale nazionale’, cioè basato
sull’idea di sovranità dello Stato e di identità nazionale”. Sembra di sentire
Almirante... Per Buttafuoco, “l’unica destra seria che l’Italia ha
avuto è quella del Movimento sociale”. E vai con Almirante...
Ora, “Giorgino” era sicuramente un politico molto onesto, sopra la media del suo tempo, per non dire della classe politica di oggi. Tuttavia, parleremmo di “sindrome
Berlinguer”, anche per i due intellettuali post-aennini. Cosa vogliamo dire? Berlinguer e Almirante, politici certamente onesti, sono però, politicamente parlando, due dinosauri. Sintetizzando: due polverosi lasciti pieni di tarli del comunismo e del fascismo. Società ingessate, chiuse, militarizzate. Che c'è da rimpiangere? Imbarazzante.
Concludendo, dove può andare, intellettualmente,
la “nuova destra” di Palazzo Wedekind? Se le idee sono
quelle di Veneziani e Buttafuoco, da
nessuna parte. Anzi no, dal rigattiere della
politica.
Carlo Gambescia
Caro Carlo,
RispondiEliminaVuoi la mia opinione? Di "destra" non c'è alcun bisogno. Contro questi auspici destristi vi sono due realtà e un possibile orientamento culturale. Le due realtà sono Casapound e Lealtà azione. Il primo è un gruppo movimentista giovane, talvolta anche un po'immaturo, ma pieno di energie freschissime e intelligenti. È un movimento dove quando si parla di cultura non si mette mano alla pistola, come nella maggior parte dei gruppi istituzionali di destra e centro destra; è una compagine politica che non ha paura del confronto e di sporcarsi le mani con la politica (ma solo le mani, senza affogare nel fango); è attivissimo nei quartieri, nelle città con iniziative sociali, ricreative, culturali; infine non insegue i media, che infatti lo odiano, confidando nell'immagine che offre di sé il gesto simbolico e creativo, e la quotidianità della presenza territoriale. Lealtà azione è veramente qualcosa di interessante e, direi quasi, entisuasmante. Non so quanti siano a Milano: alla manifestazione in ricordo di Sergio Ramelli saranno stati 300 e più. Inquadratissimi, con le loro teste rasate e i loro tatuaggi, non fanno politica nel senso partitico del termine, ma volontariato, cultura, escursionismo secondo un modello che a prima vista mi appare una via di mezzo tra i Wandervögel e il meglio del sindacalismo fascista. Rappresentano un'associazione che fa dello stile il suo motivo d'essere, traducendo sul piano esistenziale i motivi migliori della cultura fascista e anticonformista del '900. La loro è un etica della "dirittura": proprio ciò che il post moderno aborre e rifiuta con tutte le sue forze (cfr. A. Cavarero, Inclinazioni), perché sente come il proprio nemico per eccellenza; un modello maschio, esigente, e al tempo stesso allegro, beffardo, giocoso e cameratesco che fa della dedizione di sé alla propria comunità di appartenenza il faro della propria azione (nei quartieri dove è presente, per esempio, Lealtà azione assiste molte famiglie di italiani in difficoltà). È inoltre un luogo dove si realizzano progetti sociali importanti -rilevanti sono le iniziative contro la pedofilia - e infine dove si fa cultura seriamente con prospettive che vanno dalla lectura Dantis alla geopolitica.
(Fine prima parte) Massimo Maraviglia
Questo nuovo e antico modo di essere presenti nella società che incarnano le realtà cui si è accennato è veramente qualcosa di promettente. Il resto, e cioè le riunioni di colonnelli senza esercito e di tromboni parlamentari trombati, compresa l'esperienza di FDI che riproduce pochi pregi e molti difetti del MSI, senza avere quella vocazione a tessere le fila di tutto quanto avviene a "destra", ( uso il termine convenzionalmente), è già visto e non ha a mio parere futuro, se non magari per il posto che darà nelle istituzioni a qualche abile raccattavoti, che sarà presto ricordato per non aver fatto niente, nel migliore dei casi.
RispondiEliminaIl possibile orientamento culturale, l'esperienza che a mio parere si dovrebbe tentare è quella, già peraltro da più parti auspicata, di un'uscita dal neofascismo che nulla rinneghi di quanto una vasta letteratura non contaminata da virus mistico-democratici ha riconosciuto all'esperienza conclusasi nel 1945. L'occasione per uscire dalla sacca delle contrapposizioni novencentesche, senza buttare via il bambino con l'acqua sporca, come ha fatto a suo tempo Fini, con la superficiale insipienza che lo contraddistingue, è la continua insistenza, da parte dei settori più in vista e coccolati dai media della cultura nazionale, sul tema dei "valori della resistenza". Evidente è la motivazione del tutto reazionaria di questa spasmodica ricerca della memoria a sopperire una cronica carenza di legittimazione morale e politica del sistema. E tuttavia, come anche è avvenuto nel titolo del recente tema storico alla maturità, ciò può essere occasione per rivisitare la questione del complesso rapporto triangolare tra resistenza, fascismo e risorgimento, laddove il conflitto tra i primi due risulta essere fin dall'inizio una sorta di gigantomachia attorno all'esperienza culturale ed esistenziale che ha portato all'unità d'Italia. Se ci si rende conto di questo, e del fatto che il risorgimento può essere interpretato in modo nuovo, valorizzando le lezioni per molti versi complementari se non convergenti di Croce, Gramsci, Gentile, con un'attenzione alla lezione della poesia nazionale da Carducci a d'Annunzio e Pascoli, e promuovendo una visione che si emancipi da quell'anticlericalismo che ha costituito una vera e propria trappola francesizzante del nostro processo di unificazione; se si pone mente a tutto ciò, si può procedere a un nuovo reciproco riconoscimento tra quelle componenti della società italiana che più hanno pagato il loro impegno, lasciando poi ai membri della zona grigia della palude centrista il potere per tutta la seconda metà del XX secolo. Un riconoscimento che finalmente può essere centrato non sulla rinuncia alla propria identità, unico modo perchè il nemico assoluto divenga "accettabile", ma sulla sua esaltazione quale componente essenziale di una patria che ancora, per molti versi, è da costruire. Ovviamente bisognerebbe precisare molto e approfondire...Quelli di cui ho brevemente detto sono tuttavia fatti ed idee a mio parere importanti...se di "destra" si vuole parlare, anche in modo critico come fai tu.
Massimo Maraviglia
Grazie Massimo per i due contributi e, soprattutto per il tempo che mi hai dedicato. Tornerò sull'argomento ( e quindi anche suoi tuoi commenti) in un prossimo post.
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