martedì 30 giugno 2015

La nuova destra di Veneziani e Buttafuoco
Roba da rigattiere (della politica)

Rigattiere della politica

I rottami  post-aennini  si  riuniscono  oggi a Palazzo Wedekind,   sede del “Tempo”,   sotto gli auspici di un  giornale  in passato  liberale,  oggi fascio-leghista,   “per rifondare la destra”.  Auguri.
Il  quotidiano  diretto da Gian Marco Chiocci,  gran  maestro  del  muckraking nazional-populista, (genere bava alla bocca),  ha corredato  la notizia  dell’ evento  - botta di cultura -  con   due interviste a Marcello  Veneziani e Pietrangelo  Buttafuoco.  C’è spazio per una nuova destra? Che poi  sarebbe vecchissima e neofascistissima: ma si sa, si fa ma non si dice...  Per Veneziani si deve partire “da un progetto politico di caratura ‘statale nazionale’, cioè basato sull’idea di sovranità dello Stato e di identità nazionale”. Sembra di sentire Almirante...  Per Buttafuoco,  “l’unica destra seria che l’Italia  ha  avuto è quella del Movimento sociale”. E vai con Almirante... 
Ora,  “Giorgino”  era sicuramente un politico molto  onesto, sopra la media  del  suo tempo, per non dire della  classe politica di oggi.  Tuttavia, parleremmo di “sindrome Berlinguer”,  anche per i due intellettuali post-aennini.  Cosa vogliamo dire?  Berlinguer e  Almirante, politici  certamente onesti, sono però, politicamente parlando,  due dinosauri.  Sintetizzando:  due polverosi lasciti  pieni di tarli del  comunismo e del  fascismo. Società ingessate, chiuse, militarizzate. Che c'è da rimpiangere? Imbarazzante.
Concludendo, dove può andare, intellettualmente,  la “nuova  destra” di Palazzo Wedekind? Se le idee sono quelle di Veneziani e Buttafuoco,  da nessuna parte.  Anzi no, dal rigattiere della  politica.


Carlo Gambescia                          

3 commenti:

  1. Caro Carlo,
    Vuoi la mia opinione? Di "destra" non c'è alcun bisogno. Contro questi auspici destristi vi sono due realtà e un possibile orientamento culturale. Le due realtà sono Casapound e Lealtà azione. Il primo è un gruppo movimentista giovane, talvolta anche un po'immaturo, ma pieno di energie freschissime e intelligenti. È un movimento dove quando si parla di cultura non si mette mano alla pistola, come nella maggior parte  dei gruppi istituzionali di destra e centro destra;  è una compagine politica che non ha paura del  confronto e di sporcarsi le mani con la politica (ma solo le mani, senza affogare nel fango); è attivissimo nei quartieri, nelle città con iniziative sociali, ricreative, culturali; infine non insegue i media, che infatti lo odiano, confidando nell'immagine che offre di sé il gesto simbolico e creativo, e la quotidianità della presenza territoriale. Lealtà azione è veramente qualcosa di interessante e, direi quasi, entisuasmante. Non so quanti siano a Milano: alla  manifestazione in ricordo di Sergio Ramelli saranno stati 300 e più. Inquadratissimi, con le loro teste rasate e i loro tatuaggi, non fanno politica nel senso partitico del termine, ma volontariato, cultura, escursionismo secondo un modello che a prima vista mi appare una via di mezzo tra i Wandervögel e il meglio del sindacalismo fascista. Rappresentano un'associazione che fa dello stile il suo motivo d'essere, traducendo sul piano esistenziale i motivi migliori della cultura fascista e anticonformista del '900. La loro è un etica della "dirittura": proprio ciò che il post moderno aborre e rifiuta con tutte le sue forze (cfr. A. Cavarero, Inclinazioni),  perché sente come il proprio nemico per eccellenza;  un modello maschio, esigente, e al tempo stesso allegro, beffardo, giocoso e cameratesco che fa della dedizione di sé alla propria comunità di appartenenza il faro della propria azione (nei quartieri dove è presente, per esempio, Lealtà azione assiste molte famiglie di italiani in difficoltà). È inoltre un luogo dove si realizzano progetti sociali importanti -rilevanti sono le iniziative contro la pedofilia - e infine dove si fa cultura seriamente con prospettive che vanno dalla lectura Dantis alla geopolitica. 
    (Fine prima parte) Massimo Maraviglia

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  2.  Questo nuovo e antico modo di essere presenti nella società che incarnano le realtà cui si è accennato è veramente qualcosa di promettente. Il resto, e cioè le riunioni di colonnelli senza esercito e di tromboni parlamentari trombati, compresa l'esperienza di FDI che riproduce pochi pregi e molti difetti del MSI, senza avere quella vocazione a tessere le fila di tutto quanto avviene a "destra", ( uso il termine convenzionalmente), è già visto e non ha a mio parere futuro, se non magari per il posto che darà nelle istituzioni a qualche abile raccattavoti, che sarà presto ricordato per non aver fatto niente, nel migliore dei casi.
    Il possibile orientamento culturale, l'esperienza che a mio parere si dovrebbe tentare è quella, già peraltro da più parti auspicata, di un'uscita dal neofascismo che nulla rinneghi di quanto una vasta letteratura non contaminata da virus mistico-democratici ha riconosciuto all'esperienza conclusasi nel 1945. L'occasione per uscire dalla sacca delle contrapposizioni novencentesche, senza buttare via il bambino con l'acqua sporca, come ha fatto a suo tempo Fini, con la superficiale insipienza che lo contraddistingue, è la continua insistenza, da parte dei settori più in vista e coccolati dai media della cultura nazionale, sul tema dei "valori della resistenza". Evidente è la motivazione del tutto reazionaria di questa spasmodica ricerca della memoria a sopperire una cronica carenza di legittimazione morale e politica del sistema. E tuttavia, come anche è avvenuto nel titolo del recente tema storico alla maturità, ciò può essere occasione per rivisitare la questione del complesso rapporto triangolare tra resistenza, fascismo e risorgimento, laddove il conflitto tra i primi due risulta essere fin dall'inizio una sorta di gigantomachia attorno all'esperienza culturale ed esistenziale che ha portato all'unità d'Italia. Se ci si rende conto di questo, e del fatto che il risorgimento può essere interpretato in modo nuovo, valorizzando le lezioni per molti versi complementari se non convergenti di Croce, Gramsci, Gentile, con un'attenzione alla lezione della poesia nazionale da Carducci a d'Annunzio e Pascoli, e  promuovendo una visione che si emancipi da quell'anticlericalismo che ha costituito una vera e propria trappola francesizzante del nostro processo di unificazione; se si pone mente a tutto ciò, si può procedere a un nuovo reciproco riconoscimento tra quelle componenti della società italiana che più hanno pagato il loro impegno, lasciando poi ai membri della zona grigia della palude centrista il potere per tutta la seconda metà del XX secolo. Un riconoscimento che finalmente può essere centrato non sulla rinuncia alla propria identità, unico modo perchè il nemico assoluto divenga "accettabile", ma sulla sua esaltazione quale componente essenziale di una patria che ancora, per molti versi, è da costruire. Ovviamente bisognerebbe precisare molto e approfondire...Quelli di cui ho brevemente detto sono tuttavia fatti ed idee a mio parere importanti...se di "destra" si vuole parlare, anche in modo critico come fai tu.
    Massimo Maraviglia

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  3. Grazie Massimo per i due contributi e, soprattutto per il tempo che mi hai dedicato. Tornerò sull'argomento ( e quindi anche suoi tuoi commenti) in un prossimo post.

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