giovedì 9 gennaio 2025

Cecilia Sala e i ragazzi del coro

 


Cecilia Sala è tornata a casa. Ma a che prezzo?

Un passo indietro. Craxi viene tuttora celebrato dalle destre, in particolare quella post-missina di Fratelli d’Italia, perché ebbe il coraggio, cosi dicono, di dire no agli Stati Uniti. 

In realtà, fu un errore politico, un segno di debolezza e di legittimazione in qualche modo, del terrorismo. Perché in sostanza favorì quello palestinese. Un terrorismo che ricattava l’Italia minacciandola di attentati. Diciamo pure che Craxi si piegò ai più pericolosi al momento, confidando nell’uso delle buone maniere americane, sconosciute ai terroristi palestinesi. Insomma guardando al di là del micro-conflitto di Sigonella, che, come Craxi aveva intuito, separò per poco, Italia e Stati Uniti. Il suo fu un realismo politico a breve termine. Con controindicazioni, come detto, ma in fondo accettabile.

 

Giorgia Meloni, per contro, con i terroristi iraniani non ha puntato piedi. È addirittura volata servilmente negli Stati Uniti per chiedere il permesso di chi? Non di un Reagan, come ai tempi di Craxi, cioè del magico leader di un’ America liberal-democratica, quando i repubblicani non erano quell’accozzaglia di complottisti e criptofascisti che oggi appoggia pedissequamente Trump, che di liberale e democratico non ha proprio nulla. 
 
Il realismo politico della Meloni è suicida, con potenzialità criminogene (*). Come fu quello di Mussolini con Hitler. Si lega, o comunque accetta l’abbraccio del primo presidente degli Stati Uniti condannato penalmente. Che ha chiare intenzioni di gestire il potere come il boss di un cartello criminale.

Giorgia Meloni, la stessa che non ha speso una parola di condanna per la tragica pagliacciata dei mille saluti romani di Acca Larenzia, si è recata, come un qualsiasi leader slovacco o ungherese alla corte dei miracoli della controfigura americana di Putin. Dal momento che Trump, dopo le uscite in particolare su Groenlandia e Canada sembra ignorare l’idea di sovranità (ovviamente l’altrui) proprio come il leader russo.

Il punto è che mentre Craxi era un socialista liberale e internazionalista, Giorgia Meloni è una fascistella, sebbene non voglia ammetterlo, che dà continuamente spocchiose lezioni a tutti di senso dello Stato e della Nazione (ovviamente con la maiuscola). Ed è più che probabile che anche Trump sia fascista, forse più della Meloni. Anche  perché ha  la forza dalla sua.

 


Non sappiamo cosa si siano detti a Mar-a-Lago. Ma probabilmente Trump avrà chiesto una contropartita, magari sull’Ucraina ( come ad esempio un atteggiamento più morbido dell’Italia verso la Russia), perché come sembra l’iraniano fermato a Milano non sarà consegnato agli americani. Capiremo meglio nei prossimi giorni.

Qual è il paradosso? Che un socialista ha difeso l’onore dell’Italia, una fascista ha invece umiliato tutti gli italiani. Che poi la stampa di regime dipinga Meloni come grande statista è scontato. Lo è meno il fatto che anche la sinistra si unisca al coro. Perfino “il manifesto” e “l’Unità”…

I ragazzi del coro Italia che cosa festeggiano? La capitolazione della libertà di stampa? L’umiliazione di vedere una giornalista italiana trattata come una spia che viene scambiata con un’altra spia? O ancora peggio la soddisfazione dei teocrati di Teheran di aver vinto la partita?

Vergogna, anche per la dolciastra brodaglia familista, tipicamente italiana, andata in onda  a reti unificate da Ciampino.

Quanto a Trump e Meloni sembra ripetersi la storia della brutale alleanza tra Hitler e Mussolini, con il secondo, come socio di minoranza e in ginocchio. 

E proprio come allora, anche oggi potrebbe finire male.

Carlo Gambescia

 

(*) Sul realismo politico criminogeno rinviamo al nostro Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio, 2019, pp.41-49.

Nessun commento:

Posta un commento