mercoledì 29 gennaio 2025

Almasri: il governo Meloni rimette in libertà il supercapo degli scafisti

 


Un caso di incultura, diremmo addirittura di crassa ignoranza, prepotenza e violazione delle leggi. Ovviamente parliamo del governo Meloni che ha rimesso in libertà Jeem Osama Elmasry Habish, per tutti “Almasri”, il supercapo degli scafisti, come ora vedremo.

Intanto crassa ignoranza perché? Chiunque conosca la storia della Libia e dei suoi rapporti storici con l’Italia sa benissimo che la violenza ne ha segnato e segna lo sviluppo politico. Parliamo di un conflitto, ora latente ora manifesto, fra clan e clan, tra tribù e tribù, tra clan, tribù e Italia.

Gheddafi non è stato che un capo clan, particolarmente abile e fortunato, che ha governato la Libia per poco più di quarant’anni. La sua caduta, ha solo anticipato, quella che può essere considerata la “normalità libica” della guerra, latente o meno, di tutti contro tutti, che sarebbe comunque esplosa, all’indomani della sua morte, anche per cause naturali. Berberi e arabi – le principali etnie (con i nomadi tuareg,  però di ceppo  berbero) – non sono mai andati d’accordo.

Si legga il Machiavelli nordafricano, Ibn Khaldun, per capire come per i libici (denominazione più geografica che politica) la condizione naturale dell’uomo sia la guerra. Dal momento che appena si mettono buoni, diciamo così, inizia la decadenza politica. Per dirla metapoliticamente, in Libia il momento centrifugo sembra prevalere su quello centripeto. E non da oggi. Ibn Khaldun nella sua Muqaddimah o Introduzione alla storia, scritta sette secoli fa, fissò molto bene questa dinamica della guerra e della pace tribale (*). Detto altrimenti – ecco per ricaduta la lezione di Ibn Khaldun – per queste popolazioni non sarà mai facile accettare lo stato di diritto.

Pertanto se li si asseconda si diventa subito una della tante tribù in lotta. Con conseguenze letali dal punto di vista dei diritti umani. Come è sotto gli occhi di tutti (ovviamente di coloro che vogliono vedere).

Inoltre, ammesso e non concesso che si voglia trarre partito dalle pulviscolari divisioni interne, Gaetano Mosca, uno dei maestri della scienza politica, più di un secolo fa, mise bene in luce la difficoltà di tenere insieme i riottosi clan e tribù. La stessa torma che, munita di un braccio militare, spesso comandato da pseudo generali, comanda soldati e tiranneggia su tratti del territorio libico. Sicché – ecco la lezione di Mosca, l’Italia, ieri come oggi, rischia di non poter mai sapere con precisione a quale capomafia libico (per semplificare) appoggiarsi (**).

Ora, tirando le fila del nostro discorso, Almasri non è altro che un signore della guerra, che comanda su un bel tratto di costa libica. E che quindi, come una specie di supercapo dei famigerati scafisti, ha potere di vita e di morte, sul suo territorio: sugli scafisti, come detto, e sugli indifesi migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo: dei poveretti, che per favorire il governo italiano, vengono rinchiusi in carcere, torturati e spesso uccisi.

Ovviamente i favori si pagano, anche bene. Il che spiega la “liberazione” da parte del governo del super capo dei trafficanti di esseri umani: un pluriomicida. Parliamo degli stessi trafficanti che Giorgia Meloni dichiara di voler combattere…

Per contro, la Corte penale europea vuole giustamente processare Almasri. Siamo perciò dinanzi a un atto di prepotenza e di violazione delle leggi da parte del governo italiano.

Giorgia Meloni, trasponendo furbamente (crede lei…) il linguaggio della lotta antimafia, ha dichiarato, come se fosse un commerciante che rifiuta di pagare il pizzo, che non si farà “intimidire” dai magistrati italiani: giudici che invece vogliono solo vederci chiaro.

In realtà di mafioso ce n’è solo uno: Almasri. E Giorgia Meloni lo ha rimesso in libertà. Punto.

Carlo Gambescia

(*) Ibn Khaldun, The Muqaddimah. An Introduction to History, a cura di F. Rosenthal e N.J. Dawood, Routledge and Kegan Paul, 1967. Opera molto apprezzata da Arnold Toynbee. A tutt’oggi non esiste una traduzione italiana.
 

(**) Gaetano Mosca, Discorsi parlamentari, con un saggio di A. Panebianco, il Mulino, 2003, pp. 188-189, 221-235, 271-273.

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