C’è un punto oltre il quale la storia si auto-affonda. Così insegna la metapolitica.
Il documento sulla National Security Strategy 2025, (NSS2025) pubblicato dalla Casa Bianca (*), è esattamente quel punto: una dichiarazione di netta discontinuità. Siamo davanti alla fine di un ciclo cominciato nel 1945. E, soprattutto, il preludio a quella scadenza formale e sostanziale del 2027, quando la guida politico-militare della NATO dovrà passare, almeno sulla carta, in mani europee.
Gli Stati Uniti si sganciano da un impegno storico. E per scoprirlo non è necessario neppure leggere troppo tra le righe.
Sin dall’incipit del documento, il tono è chirurgico, quasi brutale. Si legga qui:
“Una strategia deve valutare, ordinare e dare priorità. Non ogni paese, regione, problema o causa — per quanto meritevole — può essere il centro della strategia americana. Lo scopo della politica estera è la protezione degli interessi nazionali fondamentali; questo è l’unico focus di questa strategia” (p. 1).
Tradotto dal politicamente corretto: ragazzi, arrangiatevi. L’universalismo morale, la difesa del “mondo libero”, il mito dell’ombrello permanente sugli alleati sono archiviati. Tutto finito.
Il “corollario Trump”
La partita ricomincia, ma senza arbitro americano. E infatti, ciò che nel documento è denominato pomposamente, a proposito delle future relazioni con l’emisfero occidentale – “Trump Corollary” (il Corollario Trump alla vecchia Dottrina Monroe) non lascia dubbi sul cambio d’ordine mondiale. Si legga qui:
“Affermeremo e applicheremo un “Corollario Trump” alla Dottrina Monroe […]. Vogliamo sostenere i nostri alleati nel preservare la libertà e la sicurezza dell’Europa, e al tempo stesso ridare all’Europa la fiducia nella propria civiltà e nella propria identità occidentale (p. 5)
“Fiducia e identità”: parole magiche che consistono nell’acccetazione dei valori Maga.
Qui non si parla più dell’Europa come partner. Si parla dell’Europa come adolescente problematico da sostenere solo se recupera la “fiducia nella propria civiltà” (“civilizational self-confidence”). Una formula che suona più da predica che da strategia. E che, politicamente, significa una sola cosa: non contateci più come prima. E soprattutto, cosa fondamentale, va condiviso il neotradizionalismo del Maga. In tre parole: dio patria e famiglia. Ecco cosa significa “fiducia nella propria civiltà”.
La logica è lineare, disarmante nella sua semplicità:1) l’America si concentra sul proprio emisfero; 2) sul confronto tecnologico con la Cina; 3) sulla difesa dei propri standard industriali; 4) sulla sua rinascita identitaria interna.
L’Europa entra in questa equazione solo come variabile culturale e solo se aderirà al neotradizionalismo Maga. Ovviamente dovrà sempre obbedire e onorare regolarmente i propri debiti, passati, presenti e futuri. Non sarà più, come in passato, un alleato strategico di prima linea.
Fine dei giochi: nessuna Crociata democratica, nessuna missione civilizzatrice. E soprattutto nessun obbligo morale verso il continente europeo. Chi ricorda più The Crusade in Europe di Eisenhower?
Da qui la questione dirimente: cosa resterà della NATO, quando nel 2027 la guida non sarà più automatico appannaggio americano? Resta un guscio formale, un’alleanza di trattati, un acronimo.
Una NATO di paglia: ancora in piedi, ma vuota di sostanza se l’Europa non dispone di capacità militari tali da reggere un conflitto con la Russia.
E il documento americano non sembra preoccuparsene troppo. Si legga qui:
“ Vogliamo assicurarci che la tecnologia e gli standard statunitensi —in particolare nell’IA, nella biotecnologia e nel calcolo quantistico —guidino il progresso mondiale”(p. 5).
Qui emerge la vera priorità: non i confini europei, ma la grande frontiera tecnologica. La sicurezza dell’Europa, tradotta in prosa reale, è un’altra cosa: un onere da esternalizzare.
La fine dello spirito del 1945
Chiunque sia nato nel dopoguerra, e noi europei siamo tutti figli o nipoti del dopoguerra, ha respirato e condiviso per decenni l’idea di un mondo libero contrapposto a quello totalitario. È stato il fine tessuto mentale e morale diffuso : il perno ideologico su cui si reggeva l’Occidente. NSS 2025 distrugge questa idea senza farsene un cruccio.
Il documento è intriso di un’altra logica: la volontà di potenza.
Non nel senso filosofico, ma in quello più operativo: gli USA faranno ciò che conviene, dove conviene, come conviene. Non è una politica estera liberale, ma una politica che può sconfinare nell’autarchia: come durante l’Impero romano, tutto concentrato su Roma, la capitale dell’Impero, nulla al di fuori, alla periferia dell’Impero.
Oggi negli Stati Uniti il trumpismo non è più un uomo. È un ambiente politico, un ecosistema sociale, un’industria culturale. È una concezione, già consolidata, dell’identità americana.
Si può discutere se Trump vinca, perda, scompaia, o si ritiri su un campo da golf. Ma la spinta identitaria, il ripiegamento sul “noi contro il mondo”, la riduzione degli impegni globali, resteranno. Perché ormai sono entrati nel midollo di metà paese e nella convenienza economica dell’altra metà.
In altre parole: non è più Trump che fa l’America. È una certa America che fa Trump. Che rimanga o scompaia, l’impianto strategico non si raddrizza con un colpo di spugna.
Pensare che basti un leader democratico, anche in caso di vittoria, a invertire la linea è una pia illusione. Potranno cambiare i modi, ma non le priorità.
Inutile credere nel recupero di un’altra America “Blowin' the Wind”, per citare una densa, bella e famosa canzone di Bob Dylan. Tutto può essere – per carità – ma quel che si prepara nelle migliore delle ipotesi è una radicalizzazione del conflitto politico, che potrebbe addirittura sfociare in una seconda guerra di secessione americana. E quindi in un temporaneo vuoto di potere mondiale.
Può sembrare una banalità, ma personaggi come Trump riescono a tirare fuori il peggio dai loro avversari, pronti a trasformarsi in acerrimi nemici. Per capirsi: Hitler spiega Dresda.
Perciò aspettare le disgrazie politiche altrui — perdite, cadute, incidenti — è una strategia da deboli. Non una strategia europea. Anche perché in un vuoto di potere mondiale, la Russia farebbe un solo boccone dell’Europa.
Europa: o esercito vero, o irrilevanza storica
Sul punto si deve essere chiari e netti. Se l’Europa non costruisce la maggiore forza militare della sua storia, integrata e sostenibile, la fine è segnata.
Non c’è più la garanzia americana del 1945, né la pax atlantica. C’è uno spazio geografico esposto. E una potenza, come accennato, la Russia, che ha tutto da guadagnare dall’erosione dell’ordine europeo.
Il documento non lascia dubbi sulla necessità americana di concentrarsi su se stessa. Si legga qui.
“Vogliamo la restaurazione e il rinnovamento della salute spirituale e culturale americana […]. Vogliamo un popolo fiero, felice e ottimista… […] L’obiettivo di questa strategia è […] rafforzare il potere e la supremazia americana e rendere il nostro Paese ancora più grande di quanto non lo sia mai stato. (pp. 6-7).
Il che significa: meno truppe all’estero, meno avamposti nel mondo, meno garanzie. Più America per gli americani.
Per contro nei riguardi dell'Europa l'onere della prova è addirittura rovesciato: sono gli europei che devono dimostrare di essere all'altezza degli Stati Uniti. E devono pure fare in fretta... Beato Trump che ha in tasca l' orologio della storia... Come Mussolini nel giugno del 1940. Allora andò malissimo. Comunque sia, si legga qui:
A fronte di osservazioni così recise, se l’Europa rifiuterà di assumersi la responsabilità del proprio destino militare, rischia di ritrovarsi tra i territori geopoliticamente “secondari”, il che, in termini concreti, significa diventare terra di nessuno.
E qui si apre la vera faglia politica interna: 1) da un lato gli “amici europei” di Trump, proni al suo "divide et impera", (e spesso anche di Putin: in fondo i due autocrati vanno a braccetto), che spingeranno per il disarmo, per l’ambiguità, per il quieto vivere con Mosca; 2) dall’altro chi punta all’indipendenza strategica, sapendo che indipendenza significa una cosa poco poetica ma necessaria: ferro e fuoco, industria e disciplina unitaria.
Questa frattura, ora storica, rischia di diventare il vero spartiacque della nuova Yalta.
La nuova Yalta ma senza Roosevelt e senza Churchill
Nel 1945 vi fu una grande spartizione del mondo, concordata tra vincitori che però sapevano dove stavano andando. Il 2027 rischia di esserne la versione postmoderna: una spartizione non dichiarata, non negoziata, non discussa, ma subita.
Siamo davanti alla prova documentale che gli Stati Uniti hanno scelto la loro parte: proteggere se stessi, investire dove conviene, lasciare all’Europa il compito di salvarsi da sola.
Il paragone con Yalta, in fondo, è inevitabile. Ma con una differenza sostanziale: nel 1945 c’erano Roosevelt e Churchill, leader consapevoli di cosa significasse spartire il mondo e quali oneri comportasse. Oggi, al contrario, ci avviamo verso una “nuova Yalta” senza Roosevelt e senza Churchill, cioè senza visione, senza guida e senza una vera architettura negoziale. Ci avviamo verso una spartizione che non sarà dichiarata, né discussa, ma semplicemente subita.
Ed è proprio questo il punto: Il documento sulla National Security Strategy 2025 mostra che gli Stati Uniti hanno scelto la loro strada, proteggere se stessi e investire dove conviene. All’Europa resta il dovere di salvarsi da sola, proprio nel momento in cui è più divisa, più esitante, più attraversata da correnti politiche contraddittorie.
E se l’Europa non decide di crescere — senza Roosevelt e senza Churchill — rischia di restare fuori dalla stanza dove il mondo si ridisegna. E di finire invece sotto il tallone di un uomo, Putin, che ha non poche affinità con Stalin.
La storia sta bussando alle sue porte e, quando bussa così forte, non è mai per un gentile invito.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.whitehouse.gov/wp-content/uploads/2025/12/2025-National-Security-Strategy.pdf .







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