Se, come si dice, ‘Stampa’ e ‘Repubblica’ passassero a destra, l’Italia direbbe addio a una libertà di stampa già seriamente in difficoltà secondo precisi indicatori internazional(*).
Si dirà che un giornale è un’impresa come un’altra e che dunque può essere venduto e comprato. Giustissimo. Ma questo significa anche un’altra cosa: la sinistra non vende più, i valori si abbassano e la destra compra.
Semplifichiamo, certo. Ma la sostanza resta: la sinistra è in rotta, la destra stravince. Una destra non proprio normale, che non ha mai fatto davvero i conti con il fascismo, a cominciare dalla seconda carica dello Stato: un fascistone siculo-milanese che ad Atreju, come oggi scrive il “Secolo d’Italia” (versione aggiornata del “Popolo d’Italia”), intervistato da Mentana – dopo Zia Mara e Travaglio, altro segnale – non ha nascosto “un’ineludibile fierezza delle radici”.
Attenzione: La Russa, grazie a una riforma elettorale ad hoc che si prepara, in un Parlamento ampiamente sbilanciato a destra, potrebbe essere il prossimo presidente della Repubblica.
Se dal punto di vista del mercato, dunque dell’economia, il punto di incrocio tra domanda e offerta premia imprenditori di destra, sul piano politico il rischio è chiaro: il monopolio dell’informazione.
Del resto la sinistra fa del suo peggio per favorire la destra. Riemerge quel massimalismo che favorì il fascismo, poi il lungo trentennio democristiano e infine il berlusconismo. Oggi, dopo Salvini e Conte, è il turno di Giorgia Meloni, che può presentarsi come salvatrice della patria minacciata dai “comunisti”. Si può sorridere dell’uscita della Bernini sui “poveri comunisti”, ma quelli sono voti: più di un elettore su due, dicono i sondaggi, vede nella destra – come nel 1922 – un baluardo contro il comunismo.
Al netto delle violenze e brogli denunciati de Matteotti, nel 1924 i fascisti superarono largamente il quorum previsto dalla legge Acerbo – fissato al 25 per cento dei voti validi (per ottenere i due terzi dei seggi) – andando ben oltre il sessanta per cento dei consensi.
All’epoca, non solo sui giornali filofascisti, si scriveva che gli italiani volevano “ristoro” e lo avevano provato con il voto: basta scioperi, basta manifestazioni, basta violenza. Lo ebbero – il “ristoro” – per vent’anni, più una guerra mondiale disastrosa, combattuta al fianco dei massacratori di ebrei. Compito oggi svolto, con zelo ideologico, dalla sinistra filopalestinese a oltranza.
La sinistra non vincerà più. E come potrebbe vincere una sinistra che parla di patrimoniale e di tasse ecologiche? Che invoca l’Europa ma non vuole la guerra? Che considera la produttività – in calo da almeno vent’anni – una parolaccia? E, cosa più grave, che dove dovrebbe essere inflessibile, sull’antifascismo, procede in ordine sparso. Si pensi al caso dell’editore nazista Passaggio al Bosco: “Mi si nota di più se vado o non vado (alla Fiera del libro)?”. Il livello è questo.
E allora, per dirla con Nanni Moretti, cara sinistra: te la meriti Giorgia Meloni.
Che cosa significa, allora, che la sinistra deve farsi liberale? Non liberal all’americana, ma liberale nel senso europeo e classico: difesa rigorosa dello Stato di diritto, delle libertà individuali, delle istituzioni rappresentative e dell’economia di mercato .
Una sinistra che smetta di inseguire pulsioni massimaliste e identitarie e torni a parlare di responsabilità, produttività, merito, dentro un quadro europeo, non burocratizzato e fissato con la “transizione ecologica". Senza questo salto culturale, la sconfitta non è un incidente: è una condizione permanente.
Due figure come Landini e Conte rappresentano il peggio del massimalismo di sinistra. Non vinceranno mai. E ci ritroveremo, a meno che la natura non ci metta la mano, con un fascistone che colleziona busti del duce al Quirinale.
Carlo Gambescia
(*) Secondo il World Press Freedom Index 2025 di Reporters Sans Frontières, l’Italia è 49ª su 180 Paesi con un punteggio di 68,01/100, in calo rispetto al 2024 e peggior risultato nell’Europa occidentale. Per dare un’idea, paesi come Sudafrica (circa 27°) o Nuova Zelanda (entro i primi 20) garantiscono condizioni più solide di libertà di stampa; persino in alcune regioni dell’Africa e dell’Asia, dove si parla di instabilità politica e rischi quotidiani per giornalisti, il punteggio può risultare migliore del nostro. Qui: https://rsf.org/en/country/italy?utm_source=chatgpt.com .




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