Siamo pronti a sostenere davanti a chiunque che questo titolo non riguarda la persona, ma l’intellettuale. Parliamo di un giornalista che scrive sulla “Stampa”, quotidiano influente e a larga tiratura, e che quindi dovrebbe pesare le parole. Qui ci riferiamo a certe sue posizioni e scelte culturali, non alla sua persona nel senso generale.
Ci spieghiamo: Mattia Feltri, pur avendo tutti gli strumenti per capire, sceglie di non farlo. Dispiace dirlo ma siamo davanti a una specie di caso di scuola: un intellettuale che confonde sicurezza con superficialità e finisce per dire o fare sciocchezze con disarmante convinzione.
Nel suo caso questa superficialità — politicamente cretina — contribuisce allo sdoganamento di una cultura nazifascista. Quella veicolata da Passaggio al Bosco.
Che cosa sostiene, in sintesi, nel suo “Buongiorno” di questa mattina?
L’idea centrale è chiara: non si giudica un editore (o un libro) sulla base di ciò che potrebbe contenere, ma su ciò che fa, pubblica e promuove davvero. Nessun processo alle intenzioni. E poi: nelle case di tutti, studiosi compresi, ci sono libri “scomodi”, e nessuno per questo è un fiancheggiatore di qualche ideologia. Ci si informa, si studia, ci si documenta. Ecco, perché - queste le conclusioni - egli stesso cercherà cose "succose" tra i libri esposti nello stand di Passaggio al Bosco.
La nostra critica a Feltri sta in un punto preciso: lui difende l’idea che i libri sono libri, le idee sono idee, lasciamole sugli scaffali, perché ragiona da dentro la sua bolla: quella di chi ha strumenti critici robusti, abituato a spulciare documenti, contestualizzare, distinguere. È il riflesso tipico dell’intellettuale che proietta su tutti le proprie capacità di immunità culturale. Il solito superuomo tutto cervello. Antico riflesso giacobino.
Il problema è che fuori dalla bolla, nel mondo reale, la simmetria tra idee buone e idee tossiche non è innocua.
La gente comune non ha tempo, strumenti né formazione per distinguere tra analisi storica e propaganda mascherata. Non perché si tratti di “bambini”, ma perché la propaganda è progettata apposta per apparire normale, legittima, perfino rassicurante.
Ed è qui che il rischio diventa terribilmente concreto.
Perché certe idee fasciste — rimesse in circolo oggi in forme più “pulite” — non sono fantasmi ideologici. Le vediamo già, per così dire, nella carne viva delle politiche: nei campi di detenzione per migranti in Albania, nella proliferazione di nuovi reati creati più per rassicurare che per funzionare, nell’idea grottesca che l’oro della Banca d’Italia sia “oro del popolo” e quindi dello Stato, disponibile come un salvadanaio patriottico. La stessa sbornia nazionalista ribattezzata “sovranismo”: stessa minestra, nuova confezione.
In un clima di sdoganamento generale, con una destra dalle chiare origini fasciste al governo, il terreno è fertilissimo. Basta poco perché idee una volta impresentabili tornino egemoni nell’opinione pubblica. È un attimo passare da “parliamone” sulla ricetta economica di Hitler al dire che l’autarchia di Mussolini “non era poi così male”, fino alle aberrazioni peggiori: le leggi razziali “da contestualizzare”, e via scivolando.
Il vero pericolo è l’assorbimento collettivo della banalità del male: la normalizzazione del veleno. Arrivare al punto in cui essere fascisti o nazisti diventa una semplice opinione, come tifare Roma o Lazio.
Qui non c’è nulla da minimizzare. Il pericolo è reale. Non sarà per domani mattina. Ma chi ha antenne sensibili – a differenza di Mattia Feltri – non può far finta di nulla.
E, a peggiorare il quadro, c’è la demonizzazione della sinistra da parte della destra di governo, sempre pronta a infierire alla minima occasione. In un’Italia, si badi bene, dove da sempre il settanta per cento degli elettori (spesso anche di sinistra) vedeva (e vede) nel “rosso”, nel comunista, nel “compagno” uno scippatore della proprietà privata.
Una demonizzazione che non chiarisce nulla: serve solo a riesumare quel vecchio anticomunismo fascista e poi missino, viscerale e rancoroso, oggi del tutto inutile.
Perché la sinistra di oggi — con tutti i suoi difetti, a cominciare dalle politiche fiscali spesso sciagurate — non è più da decenni la forza rivoluzionaria che la destra finge di combattere. È uno spauracchio comodo: agitarlo consente di mascherare il vuoto culturale e morale di chi governa.
Mattia Feltri, nel tentativo di difendere la propria autonomia intellettuale, dimentica che il discorso pubblico non lo fanno solo gli intellettuali: lo fanno soprattutto, nell’epoca dei social, le semplificazioni tossiche. E lì, purtroppo, la selezione naturale delle idee non premia i migliori.
Infatti alla fiera romana lo stand dei “perseguitati dal pensiero unico” sembra stia facendo il pieno di visitatori grazie al polverone mediatico.
Si dirà che ha cominciato la sinistra. Certamente, ma si può essere dalla parte di nazifascisti che propagandano idee nazifasciste? No. La libertà culturale è una cosa, l’imbottitura propagandistica dei cervelli un’altra.
Certo, difendere la neutralità dei libri può sembrare prudente. Persino liberale. Nella realtà, però, lasciar correre certe idee significa spalancare la porta ai nemici del liberalismo. Non possiamo permettercelo.
Carlo Gambescia






































