lunedì 17 giugno 2024

Il mito della "vittoria mutilata"

 


Questa storia dell’evocazione di un peso maggiore dell’Italia in Europa è molto pericolosa. Ci riporta al passato. Un passato di disgrazie politiche.

Mussolini aveva raccolto la brillante vittoria del 1918, traducendola falsamente, sulla scia dei nazionalisti, in “vittoria mutilata” dagli alleati. Per Mussolini, l’occupazione illegale di Fiume da parte di D’Annunzio, fu il punto di partenza ideologico per alimentare in seguito il ridicolo sogno dell’ “Italia imperiale”. Qui il lettore prenda appunto, diciamo mentale: “ vittoria mutilata”.

In effetti l’Italia di Mussolini, per un certo tempo, riuscì a "pesare" sull’Europa. “Contava” perché la si credeva forte sul piano militare e più decisionista e aggressiva su quello politico: un grande bluff. Nel dopoguerra, un’Italia sconfitta che aveva mostrato tutta al sua pochezza militare, politica e morale, si reinserì faticosamente nel contesto europeo. Con i trattati di Roma, l’Italia riacquistò uno status di parità con nazioni un tempo nemiche. Infine L’ombrello Nato, non solo in termini di interessi ma anche di valori, consolidò nel mondo l’immagine della nuova Italia liberal-democratica.

Finalmente l’Italia non pesava più in Europa e nel mondo, come negli incubi imperialistici di Mussolini. E non poteva pesare, anche perché paese povero di risorse naturali, prigioniero in una macchina burocratica ereditata dal fascismo, moderno a metà, perché ancora stregato da pregiudizi religiosi e sociali.

Oggi la situazione, che sotto il profilo della modernizzazione, rinvia a due periodi alti, di crescita in tutti i sensi (gli anni Sessanta e Ottanta), è profondamente cambiata. Il populismo, soprattutto di destra ha una componente nazionalista. Il populismo vede ovunque “vittorie mutilate”. Il populismo porta con sé una riflessione nazionalistica, via via sempre più prepotente, sul peso dell’Italia in Europa nel mondo. Da ultimo con il governo Meloni, su chiare posizioni di estrema destra, è addirittura tornato in voga il linguaggio mussoliniano. “L’Italia vuole pesare di più” proclama quasi ogni giorno Giorgia Meloni. 

Se si guarda alla storia d’Italia, tutte volte che l’Italia ha tentato di pesare di più, con Crispi nell’Italia liberale (disastro africano), con Mussolini, nell’Italia fascista (tragedia della guerra mondiale) è finita male, ma veramente male.

Ovviamente, almeno per ora, Giorgia Meloni, non parla di avventure militari. Però il Mediterraneo, sebbene attraverso l’impiego di una specie di marina coloniale anti-migranti (le motovedette cedute dall’Italia alla Libia), si è nuovo militarizzato. Inoltre, una crisi della Nato, ad esempio con Trump al potere, potrebbe aprire scenari fino a ieri inauditi, con rovesciamenti delle alleanze e peggioramento dei rapporti all’interno di un’ Unione europea divisa in paesi pro e contro Mosca, anche sul piano militare.

Nessuno previde nel 1989, dopo la caduta del muro, la dissoluzione dell’ Unione Sovietica. Fu tutto molto veloce. Un tornado politico.

Sotto questo profilo il neo-nazionalismo italiano non promette nulla di buono: il voler pesare di più – poi a ogni costo – è pericoloso. Per l’Italia, parliamo del Paese, della “gente comune”, la posta in gioco è molto alta. Non si tratta solo di andare a Bruxelles, come si legge questa mattina, per pretendere incarichi apicali per un pugno di voti presi in più. Ma sussiste il serio rischio, in caso di una sconfitta politica, di veder risorgere il mito della “vittoria mutilata” dagli alleati, come nel 1918.

Questa identificazione nazionalistica, un vero e proprio lavaggio del cervello, tra Fratelli d’Italia e l’Italia – nel senso che una sconfitta a Bruxelles del Governo Meloni rischia di essere assimilata ed evocata come una sconfitta dell’Italia, di “tutti” – è pericolosissima, soprattutto in un quadro internazionale instabile e divisivo.

Purtroppo il neo-nazionalismo è una pianta velenosa. Un cancro politico a rischio di metastasi sociali che va sradicato prima che sia troppo tardi.

“Prima che sia troppo tardi”. Anche qui il lettore prenda appunto.

Carlo Gambescia

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