domenica 9 giugno 2024

Idee per una nuova Europa

 


Churchill nel 1940, nel momento più nero della Seconda guerra mondiale, con la Francia, ormai sconfitta, propose l’unificazione tra i due paesi. Si mettano da parte le ragioni contingenti che motivarono lo statista britannico ( in particolare, impedire il rigurgito, come avvenne, di una destra francese disposta a collaborare con i nazisti). E si pensi invece al grande valore di un’ unificazione europea, nel senso di Churchill, come fusione politica.

Fusione, in che senso ? Per capire il concetto si deve ripartire dall’esperienza dei processi di unificazione ottocentesca.

Belgio, Grecia, Italia, Germania, cancellarono le divisioni Ancien Régime, in piccoli principati, minuscoli regni e antiche città-stato. 

Come? Grazie a una parlamentarizzazione capace di andare oltre le divisioni politiche. Ovviamente seguendo strade differenti (ad esempio, Cavour e Bismarck) e con risultati divergenti (la Grecia politica rimase fortemente instabile). Ma il parlamento, anzi la parlamentarizzazione, fu al centro, volenti o nolenti gli uomini, dei processi di unificazione politica. Il piccolo Belgio fu il primo ed edificante esempio di pacifica ( o quasi) parlamentarizzazione della politica. Per contro,  la Spagna, nonostante la Costituzione liberale del 1812,  sprofondò  nelle guerre carliste.

Purtroppo, come provano le elezioni di oggi, in Europa si vota ancora per stati. Il modello è quello dell’ Ancien Régime (semplifichiamo). Il Parlamento europeo, nelle sue tre sedi (e anche questo è un brutto sintomo), si regge su una specie di egoistico “bilancino” nazionalista.

Abbiamo una moneta unica – che non è poco – ma non abbiamo un parlamento i cui membri siano rappresentanti del popolo europeo nella sua globalità, a prescindere dal mandato imperativo, diciamo così, prodotto delle rispettive provenienze nazionali.

Per capirsi. Si pensi a un primo Parlamento italiano, anno di grazia 1861, suddiviso, dal punto di vista delle procedure elettive, per rappresentanti eletti per provenienza regionale. Cioè di parlamentari, portati a sentirsi, anche per ragioni procedurali, prima che italiani, lombardi, calabresi, toscani, siciliani. Ed è proprio quel che accade oggi a Strasburgo, dal momento che parlamentari eletti, nazionalmente, non possono non sentirsi, prima che europei, francesi, tedeschi, italiani spagnoli.

Invece nel 1861 non fu così. L’Italia aveva “chiamato” sul serio. E un parlamentare rappresentava “tutta” l’Italia non “una sua parte”.

È vero che all’inizio non pochi parlamentari della Nuova Italia si divisero, quasi naturalmente, per “consorterie” regionali, ma poi piano piano l’idea italiana ebbe la meglio. Come è altrettanto vero che oggi gli eletti al parlamento europeo usano dopo le elezioni raggrupparsi in partiti europei , però le divisioni politiche, prive di un’ unità di fondo – il mandato del popolo europeo nel suo insieme, cui abbiamo accennato – non aiutano a una riflessione capace di partire dall’ “idem sentire de re publica (europea)”.

Come pervenire a un mandato forte, legato alla rappresentanza europea? E non, per così dire, a un mandato imperativo nazionale? Debole sul piano europeo? Soprattutto in un momento così difficile, di forte ripresa del nazionalismo interno e dell’imperialismo esterno? La risposta è al di là delle nostre forze. Non intellettuali , ma decisionali. E del resto chi pensa e scrive, come noi, è un analista non un uomo politico.

Sul piano teorico immaginiamo la parlamentarizzazione, frutto di un’idea di rappresentanza globale europea (per capirsi), quale pendant di un tipo di federalismo decentrato all’americana (per non ripetere l’errore monista della tradizione dell’accentramento alla francese, napoleonico, recepito anche in Italia ). Si pensi agli Stati Uniti d’ Europa, come agli Stati Uniti d’America, con un Congresso, un Senato (quindi gli stati non scomparirebbero del tutto), un Presidente come voce unica. Ovviamente per quattro anni. Un esecutivo snello e decisionista, non prigioniero di estenuanti mediazioni tra  opposti egoismi di bandiera.  Con un  legislativo vero, non un'accozzaglia  di nazionalismi egoici. Si pensi, inoltre, a una Corte Suprema e a una Costituzione con pochi articoli, inclusa la possibilità di emendamenti (tra i quali una carta dei diritti).

Pertanto il “progetto"  è chiaro ( o quasi). In fondo ha circa duecentocinquant'anni.   Si legga il grande libro di Palmer sull'era delle "Rivoluzioni democratiche" o atlantiche,  che abbracciarono prima gli Stati Uniti, poi la Francia,  infine l'intera Europa dell'Ottocento.  

Il "progetto" c'è, ripetiamo.  Non ci si chieda però come realizzarlo.

Il lettore avrà notato che non abbiano affrontato il nodo dell’esercito comune. Viene prima o dopo la parlamentarizzazione di cui abbiamo parlato? Difficile dire. La storia insegna però, come prova il Risorgimento italiano, che prima o poi l’Europa “chiamerà”.

Però, ecco il punto, “siam pronti alla morte”?

Carlo Gambescia

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