domenica 29 gennaio 2023

“Libero” e i cento giorni del governo Meloni

 


Oggi su “Libero”, quotidiano pseudoliberale, si inneggia ai “cento giorni” del governo di Giorgia Meloni. Sul punto già siamo intervenuti (*)

“Libero”, non potendo esibire grandi risultati o quantomeno un adombramento di grandi risultati, come suo solito, la butta in caciara: sul nessun “crollo” come invece profetizzavano “i gufi rossi”. Quindi avanti per altri “1.725 giorni”… Insomma la cultura imbecille del “Tiè!”. Il famoso manico d’ ombrello di Alberto Sordi. Finissimo politico.

Certo, si può anche ridere. In realtà, tutto questo fa male all’Italia, diciamo alla cultura della pubblica opinione. Si tratta di una vera e propria guerra culturale tra destra e sinistra che va avanti da Tangentopoli e dalla discesa in campo del Cavaliere. Un altro finto liberale, che non poco ha contribuito allo scadimento generale del discorso pubblico. Siamo davanti a una brutta telenovela politica, diremmo addirittura volgare, alla quale anche la sinistra non si è tuttora sottratta.

Questi toni ora triviali, ora esasperati, ora servili, privi di qualsiasi contenuto concreto (idee e programmi), li si ritrovava un tempo solo nella pubblicistica neofascista e dell’ultrasinistra. Ripetiamo: la qualità del dibattito politico negli ultimi trent’anni ha raggiunto uno specie di grado zero, sotto il quale c’è solo il segno meno della guerra civile.

Pertanto, per tornare a “Libero”, un giornale liberale serio, liberale vero, deve scrivere non delle mancate catastrofi, ma della totale assenza di idee e programmi liberali che caratterizza i primi cento giorni del governo Meloni. Altro che polemizzare con la sinistra sulla falsariga del “Secolo d’Italia” anni Settanta.

In realtà, nel governo in carica non si è intravista né si intravede alcuna svolta e neppure indizio di svolta liberale

Che significa svolta? Si pensi ai provvedimenti di Margaret Thatcher e Ronald Reagan nei primi cento giorni.

La prima varò una serie di misure monetariste (non è una parolaccia…), a partire dall’aumento del tasso d’interesse e dal taglio della spesa pubblica. Che ridussero l’inflazione e rilanciarono, dopo una iniziale caduta, la crescita del Pil che durò per tutti gli anni Ottanta.

Il secondo varò una riduzione delle tasse del 25 per cento, da diluire in quattro anni però reale, che favorì la ripresa dei consumi e una fase di crescita del Pil che durò anch’essa per tutti anni Ottanta.

Per verificare si osservino i dati sul Pil britannico e americano prima e dopo l’ascesa al potere di Margaret Thatcher e Donald Reagan (**).

Grazie a loro la spesa pubblica non fu più, concettualmente parlando, una variabile fuori controllo. O comunque, come nel caso di Reagan, se vi fu aumento, fu a anche causa – quindi più che giustificato – di un programma militare come quello dello Scudo Stellare che secondo gli analisti fu una specie di colpo grazia per l’autostima sovietica.Sicuramente Reagan non spese un dollaro in costosi e inutili programmi assistenziali. Fu una rivoluzione liberale.

Giorgia Meloni cosa ha fatto? Ha diminuito il superbonus… Roba da comiche finali.

Di questo deve parlare un quotidiano liberale. E non favorire un clima avvelenato in cui nessuno, a colpi di “Tié!”, abbia mai la meglio.

Carlo Gambescia


(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/giorgia-meloni-tra-retorica-vittimismo-e-spirito-di-rivalsa/ .
(**) Si veda qui (la prima tabella). Anche gli avversari non possono disconoscere i fatti:https://www.lavoce.info/archives/8625/le-conseguenze-economiche-della-signora-thatcher/ .

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