sabato 13 agosto 2022

I revenant del presidenzialismo

 


Invitiamo i lettori a visitare i siti che fiancheggiano Fratelli d’Italia per notare due cose.

La prima, che sono tornati a galla i revenant della cultura (parola grossa) missina, passati attraverso l’affondamento del Concordia comandato dal capitano Gianfranco Fini. È tutto un parlare di repubblica presidenziale, di perennità dei valori del conservatorismo, del tradizionalismo. Stranamente, non si nomina il fascismo, ma si attinge a piene mani alla cultura della tentazione fascista.

Cioè a quel magma del né destra né sinistra, rappresentato negli anni Venti e Trenta del Novecento – semplificando – dalle idee dei cosiddetti rivoluzionari conservatori, in Germania, Francia, Italia. Personaggi poi confluiti, più o meno criticamente (ma da posizioni ultrafasciste), nei fascismi istituzionali.

Evitiamo le liste di nomi. Rinviamo al canonico libro di Tarmo Kunnas, intitolato, per l’appunto, La tentazione fascista. Quel che è restato costante in questa cultura pseudo-conservatrice e pseudo-rivoluzionaria è il rifiuto del capitalismo e del liberalismo. Cioè di esperienze che costituiscono la spina dorsale della modernità.

La seconda cosa, rimanda all’acceso nazionalismo – oggi si chiama sovranismo – che caratterizza quasi tutti gli interventi. Nazionalismo che in realtà culmina in un patetico provincialismo italiano: dalla difesa del chilometro zero a quella della piccola impresa. Però, anche sotto questo profilo, apparentemente minimalista, resta evidente il peso del né destra né sinistra che animava la cultura della tentazione fascista: il succo è quello del blocco politico sociale, del siamo tutti italiani non abbiamo bisogno di nessuno, dalle istituzioni europee alla mano d’opera africana. E da certe affermazioni sull’ “italianità” alla mobilitazione di piazza contro i complotti anti-italiani il passo è breve.

Che influenza può avere la cultura della tentazione fascista su un ipotetico governo Meloni? Di regola, i dirigenti missini, poi aennini, hanno sempre considerato gli intellettuali inutili. O al massimo utili idioti per fornire pezze d’appoggio alla linea politica. Per fare solo due esempi: Almirante rispolverò il corporativismo, come risposta alla lotta di classe degli anni Settanta, illudendo non pochi intellettuali. Gianfranco Fini, o meglio alcuni suoi stretti collaboratori politici tirarono a lucido, sotto gli occhi del capo benedicente, la storiella del libertarismo fascista come ponte ideale verso il libertarismo tout court degli anni Duemila.

Sotto questo aspetto, la campagna per la repubblica presidenziale che – mai dimenticarlo – è un cavallo di battaglia della destra neofascista dai tempi di Almirante, scatenerà molte penne, disposte a suonare il piffero per Giorgia Meloni. Utili idioti insomma, incapaci di rinunciare al classico piatto di lenticchie.

Ovviamente, il tema del presidenzialismo rientra maestosamente nell’alveo della cultura della tentazione fascista che adorava e adora la figura del capo carismatico capace di mobilitare le folle senza alcuna mediazione parlamentare. Cambiano i nomi ma il principio è sempre quello: un capo, un destino, un popolo.

Come si può intuire, l’idea di repubblica presidenziale rappresenta il velenoso punto di congiunzione tra la storica cultura della tentazione fascista, la classe politica di Fratelli d’Italia, e gli intellettuali organici all’estrema destra, pronti a usare tutto l’armamentario ideologico del cesarismo fascista anni Trenta.

Il vero pericolo della prossima legislatura, se dovessero vincere le destre capeggiate da Fratelli d’Italia, con una corposa maggioranza (mettiamo dei due terzi), è incarnato dalla riforma in senso presidenziale della Costituzione senza dover ricorrere alle urne a causa di una schiacciante maggioranza parlamentare.

Il punto è che non si tratta di una riforma “normale” con alle spalle un pacifico retroterra liberale. Dietro non c’è il placido tran tran quotidiano del modello americano o francese, ma l’irrequieta evocazione della cultura della tentazione fascista, nemica del liberalismo e del parlamento. Parliamo di una cultura autoritaria incarnata da Fratelli d’Italia, apprezzata dalla Lega e addirittura non disdegnata da Forza Italia.

Insomma, non c’è di che essere allegri. Camicie nere o meno, la cultura è la stessa.

Carlo Gambescia

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