martedì 14 dicembre 2021

LA TEOLOGIA POLITICA DI ANDREA SCANZI

 


Il nuovo libro di Andrea Scanzi (“Sfascistoni. Manuale di resistenza a tutte le destre”) rivela una matrice ideologica vecchia.

Quale? La demonizzazione azionista del fascismo come male assoluto e la conseguente necessità di una giustizia sommaria. Il rimpianto di non aver messo al muro nel 1945 l’intero Partito Nazionale Fascista.

Serviva, insomma, una purificazione nazionale. Quel “fare i conti con il fascismo”, ossessivamente ribadito dal giornalista del “Fatto Quotidiano”, suona in modo sinistro, come quando si scarrella una pistola.

Quanto fin qui detto, ovviamente, non deve apparire come un’ assoluzione del fascismo. Ci mancherebbe altro.

Però facciamo un passo indietro. Augusto Del Noce, sulla scia delle analisi di Noventa, Talmon, Voegelin, individuò nell’antifascismo una prosecuzione del fascismo, se e quando occorreva, con gli stessi mezzi del fascismo. Il filosofo scorgeva le origini del fascismo come dell’antifascismo, in particolare della sinistra azionista (meno duttile di quella marxista-leninista), nella comune matrice elitistico-giacobina.

Infatti, l’idea dei pochi che interpretano in nome dei molti il destino manifesto di una nazione ha un risvolto totalitario. Che spiega perché in Italia si viva ancora in un clima politico-culturale di tipo dittatoriale, prima dominato dal fascismo, poi dall’antifascismo.

Il che non significa – attenzione – che molti politici di estrema destra non strizzino l’occhio a un elettorato, non vastissimo ma consistente, dalle idee confuse e poco informato, che pensa ancora che se Mussolini non avesse fatto la guerra, eccetera, eccetera.

Però una cosa è denunciare un’inclinazione culturale, un’altra caricare la pistola con proiettili d’argento per sparare all’uomo lupo fascista.

Per fare solo un esempio. Scanzi, nell’ultima puntata di “Piazza Pulita”, davanti a un Marco Tarchi che sembrava uscito da dieci ore di Consiglio di Facoltà, ha ribadito la precedenza dell’ antifascismo rispetto all’antitotalitarismo. “Giorgia Meloni”, più o meno queste le sue parole, “deve dirci se è antifascista o meno. E solo dopo potremo parlare di antitotalitarismo e di Foibe”.

Ecco, la distinzione di Scanzi tra antifascismo e antitotalitarismo di matrice liberale, indica la natura teologico-politica dei concetti di antifascismo e di fascismo.

Per capirsi: come durante le guerre di religione, tra Cinquecento e Seicento, si imponeva al teologo, che voleva parlare di dio a tutti, di dichiarare la propria fede, cattolica tra i cattolici, protestante tra i protestanti, così oggi si impone, al politico, di dichiarare la propria fede, antifascista tra gli antifascisti o fascista tra i fascisti.

Cosa intendiamo dire? Che l’ottica dell’atto di fede non unisce ma divide. Anzi, fa di peggio: il punto di vista della lotta agli Albigesi fascisti in nome della Chiesa Antifascista rinvia inevitabilmente allo sterminio degli eretici fascisti. Si ricordi qui la comune matrice elitario-giacobina che unisce fascisti e antifascisti azionisti nel trattare i popoli come masse da educare e gli avversari come traditori o nemici della vera fede. Pertanto, quando Scanzi, afferma che bisognava ( e bisogna) fare i conti, dice cose perfettamente conseguenti, seppure aberranti, dal punto di vista teologico-politico.

Il problema è che i roghi da qualsiasi parte provengano non aiutano. Mai dimenticare che il povero Michele Serveto, in fuga dai cattolici, finì bruciato a fuoco lento nella calvinista Ginevra. Pertanto, è vero che nella società italiana, non tutta ovviamente, esiste un’ inclinazione culturale fascista, come è vero che alcuni politici ne approfittano, però è altrettanto vero che lo scontro tra due teologie politiche ricorda il passo del gambero verso le guerre di religione.

Ma allora gli “sfascistoni”, come li chiama Scanzi? Si deve permettere che giochino con l’ignoranza altrui? Oppure che vellichino i bassi istinti politici, eccetera, eccetera?

Non è facile rispondere. Hitler, come altri demagoghi fascisti, andò al potere con il voto del popolo, seppure dopo un’inaudita serie di violenze. Perciò, soprattutto in una liberal-democrazia, l’uso della violenza contro l’avversario politico può rappresentare il punto di discrimine per intervenire e reprimere.

Attenzione però: si deve intervenire non prima, quindi troppo presto, ma neppure dopo, magari quando è troppo tardi. Insomma, serve un grande tempismo politico.

Certo, con un bel rogo si può risolvere tutto. E questa è la ricetta di Scanzi.

Carlo Gambescia

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