sabato 31 marzo 2018

Vizi privati, pubbliche virtù
Viva la Prima Repubblica!

di Teodoro Klitsche de la Grange

Otto Dix,  Großstadt (Triptychon), 1928.


C’è un ritornello, spesso ripetuto nella storia dell’Italia contemporanea: “se l’economia langue, la causa ne sarebbe la disonestà dei politici” o, più in generale, dei funzionari pubblici; dall’epoca di Tangentopoli non si sente ripetere altro.
È piacevole pertanto leggere sulla stampa che è stato pubblicato un libro da due autorevoli magistrati, Cantone (dell’Autorità anti-corruzione) e Caringella (del Consiglio di Stato) in cui si sostiene che, nell’Italia contemporanea (cioè della cosiddetta "Seconda Repubblica") “assistiamo a una forma di corruzione certamente diffusa, ma qualitativamente e quantitativamente non paragonabile alle vicende degli anni Novanta”.
Ma viene da pensare: se si condivide il giudizio dei due autori la corruzione (e soprattutto la c.d. “Prima Repubblica”) ne viene rivalutata; e così la tesi di Mandeville (e di tanti altri, tra cui Pareto), che vizi privati divengono virtù pubbliche, confermata.
Perché se è vero, come risulta da tutti gli indicatori economici che il PIL italiano dal ’94 in poi è cresciuto di soli due punti (è il peggior risultato d’Europa) mentre la percentuale del prelievo fiscale sul reddito nazionale (così immobile) è aumentata di diversi punti, non sarà che era meglio la corruptissima prima repubblica che la benintenzionata seconda? Rimandiamo al nostro articolo “Parassitario o predatorio?” comparso qualche tempo fa su “Rivoluzione Liberale” (*)  dati (un po’ più diffusi, delle enormi differenze – in termini di crescita del PIL e di moderazione fiscale tra le due “repubbliche”. La corruzione maggiore dell’una era accompagnata da benefici tangibili e innegabili. La (pretesa) morigeratezza dell’altra da decadenza politica ed economica.
Scriveva Mandeville: “il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa” (e infatti …).
Anche a non voler seguire (del tutto) la tesi dell’olandese, è sicuro che tra corruzione e benessere non c’è quel rapporto di proporzionalità inversa che spesso è accreditato. Probabilmente non c’è un nesso eziologico (una “regolarità”) almeno in termini      macroeconomici, ma una relazione che più, in taluni casi, contribuisce ad aggravare situazioni di miseria e d’ingiustizia sociale, ma nulla di costante.
Non si vede cioè una “legge bronzea” della corruzione come vorrebbe una opinione forse più esternata che diffusa, dai dati smentita, quanto è accreditata quella, inversa, di Mandeville.
In conclusione: si stava (economicamente) meglio quando si stava (moralmente) peggio aridatece er puzzone prima che ci diano da mangiare prediche al posto della minestra.
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).