mercoledì 28 marzo 2018

L’inutile dibattito sui “vitalizi”
Il sesso degli angeli

 


Quanto guadagna un parlamentare italiano?  Più o meno come  un alto dirigente d' azienda.  Siamo intorno ai 180-190 mila euro all’anno, all'incirca  sei volte la fascia medio-bassa dei trentamila euro (come illustra la tabella sotto il titolo).  
Diciamo che, stando ai valori di mercato,  l’Azienda Italia, per così dire la più importante in assoluto, per attirare i più bravi  dovrebbe  addirittura offrire qualcosa di più. Anche  perché, come è noto,  nel mercato privato ad alti stipendi corrispondono, quasi sempre, elevate capacità manageriali. E qui cominciano i problemi.  Perché?  
In ambito politico,  purtroppo non sceglie la mano invisibile del  mercato, ossia la "manona" dei milioni di consumatori,  attenti  a non farsi fregare,   ma, in ultima istanza, quella fin troppo visibile  dell’elettore: qualcosa di completamente diverso. Innanzitutto,  l'elettore  in  genere  non è un’aquila, se ci si passa l'espressione,  e sceglie sulla base di criteri extra-economici, come vedremo. Perciò, quando si grida  al cattivo funzionamento della  meritocrazia, come selezione dei migliori "prodotti" politici,  l’elettore, per primo,  dovrebbe farsi il classico esame di coscienza. Cosa alla quale neppure  pensa, perché per un verso è blandito dalla democrazia stessa, che ne ha bisogno dal punto di vista della legittimazione (di qui la sopravvalutazione retorica,  di cui l'elettore si pavoneggia, auto-convincendosi della sua capacità di scelta in chiave extra-economica, solo se, come si ripete a pappagallo, fosse messo nelle condizioni, eccetera, eccetera); per l’altro invece l’elettore partecipa della mediocrità dell uomo comune,  totalmente immerso nelle faccende quotidiane, spesso imbevuto di superficiale moralismo  o più semplicemente del conformistico spirito del tempo (nel bene come nel male).  Perciò l'analisi - per usare una parola grossa - che precede la decisione   per chi votare, anche nel caso di voto di scambio, è sempre sommaria. Semplificando al massimo,  l'elettore  mette più cura nella scelta di un televisore che in quella di un parlamentare.  Così è, piaccia o meno, per la  stragrande maggioranza dei "consumatori politici". 
Di conseguenza, immaginiamo, quel che può accadere, aggiungendo confusione a confusione  quando, come sta avvenendo in Italia, si aizzi,  un giorno sì l'altro pure,  l’elettore contro i “vitalizi” e i  “privilegi della casta”,  solleticando  l’invidia, mai sopita,  dell’uomo comune.  Che tenderà, come il rancoroso Tersite  omerico,  a fare di tutta l’erba un fascio, confondendo le istituzioni parlamentari con il regime castale indiano.  
Un piccolo inciso, per i cultori della destra antiparlamentare dura e pura. In Italia, l’indennità parlamentare (in senso ampio,  comprensiva di altre voci) venne introdotta da Giolitti nel 1912 (lo Statuto Albertino, aristocraticamente, la vietava): all’epoca  ammontava a circa  lire 6000. Durante  il fascismo,  venne portata a lire 24 mila  (proprio negli anni in cui si cantava “Se potessi avere 1000 lire al mese”), e poi legata, con  la trasformazione della Camera dei Deputati  in Camera dei Fasci e delle Corporazioni, all’appartenenza al Partito Nazionale  Fascista.  Se non si era iscritti non si poteva farne parte, né percepire la cospicua indennità (*). Quando si dice il caso...
Pertanto, per tornare sul  punto,   la  rispondenza tra performance e qualità della retribuzione  è tanto più perfetta quanto più ci si avvicina a un’economia di mercato ( per dirla con Pareto, al massimo dell' utilità per una società, qualcosa di oggettivo, misurabile), quindi  alla possibilità di verificare concretamente profitti, costi e ricavi, ovviamente tenendo sempre presenti  le imperfezioni (scollamenti allocativi e informativi)  legate, ad esempio, alle pratiche oligopolistiche (**).
Nel caso dei parlamentari,  mancando rilievi oggettivi  (il massimo dell' utilità per una società)  ed essendo tutto rimesso, come del resto impone la democrazia,   alle valutazioni soggettive (il massimo dell' utilità  di una società, fattore ideologico, non economico, per scomodare ancora Pareto),  di un elettore, mediocre "consumatore" di "prodotti" politici,  assai distratto,  spesso facile preda del risentimento sociale,  le indennità potranno essere giudicate, di volta in volta,  alte o basse  in base a valori, come ora dovrebbe essere chiaro,  extra-economici, difficilmente quantificabili. Pertanto,  figurarsi: 1) la difficoltà di analizzare il voto in base al metro economico dei costi-ricavi e  2) il pallidissimo valore dei  raffronti internazionali tra differenti indennità parlamentari. 
Insomma,  tutto il dibattito sui  “vitalizi” e “sui privilegi della casta”  è fondato sul nulla .  Si discute, come certi teologi medioevali, intorno al sesso degli angeli. Alzare o abbassare gli "stipendi" dei parlamentari,  stante l’inattendibilità dei criteri di valutazione, ripetiamo, extra-economici e le basse capacità di scelta non economica in ambito politico  dell'elettore,  non serve a niente. Se non - ecco il lato pericoloso -  a surriscaldare il clima politico e favorire ingiustamente  quei  movimenti politici antiparlamentari di destra e sinistra,  che, come prova il caso dei fascismo,  una volta  giunti al potere, si trasformano in casta di nome e di fatto.

Carlo Gambescia


(*) Sul punto, ma anche per quadro accurato della questione, si veda Giuseppe Contini, Indennità parlamentare (II), in AA.VV. Enciclopedia del diritto,  Giuffrè Editore, Milano 1971, vol. XXI,  p. 110. 
(**) Sulla questione della misurabilità alcuni accenni, però non sempre pertinenti, qui:  http://www.lavoce.info/archives/43526/tagli-agli-stipendi-dei-politici-non-e-tutto-oro-quello-che-non-luccica/