sabato 24 marzo 2018

 Salvini e Di Maio si baciano, ma
gli Italiani non si vogliono bene   



Esistono  la Francia, la Spagna, la  Germania, la Gran Bretagna dei moderati, ma non  l’Italia.  In Spagna governa il placido liberale Rajoy, in Francia un serio  liberal come  Macron, in Germania una rassicurante  coalizione tra socialdemocratici e democristiani, e non per la prima volta. In  Gran Bretagna, patria della democrazia rappresentativa, Theresa May, del partito conservatore, sta gestendo, come meglio può,  un' uscita a sorpresa dall'Ue. Comuque sia,  in questi paesi-chiave non governano gli estremisti di destra o sinistra. L'elettorato moderato, fortunatamente, sembra, come si dice,   "tenere botta". 
In Italia invece, ci si appresta a regalare, gaiamente,  la Camera dei Deputati a una forza eversiva come il partito delle Cinque Stelle, antidemocratico e anticostituzionale.  Che ha ottenuto oltre il 30 per cento dei voti, con l'aiuto di un partito razzista e di estrema destra come la Lega, al 17-18 per cento. 
Per inciso. Il Presidente della Camera svolge un ruolo delicatissimo riguardo all’organizzazione dei lavori e all’interpretazione del regolamento. Assegnarlo a uno sconosciuto  ajatollah pentastellato ( si fa il nome di Fraccaro)  significa consegnare le chiavi di casa (della Camera)  ai  topi d’appartamento.
E il Senato   -  non ce  ne siamo dimenticati -    probabilmente, dopo quel che è accaduto ieri ( il colpo di mano di Salvini),  potrebbe andare  a un leghista ( o peggio ancora a un cinquestelle o a un compagno di strada...),  votato da una maggioranza Lega-M5S.  Lo stesso potrebbe accadere, come già detto, alla Camera dei Deputati, salvo ripensamenti dell’ultima ora.  E questo potrebbe essere solo l'antipasto, come alcuni paventano.
Del resto, il  "senatore"  Renzi,   mostrando un’incoscienza degna di Salvini, ride e scherza con i suoi dall'alto dello scranno,  mentre l’Italia rischia di andare a fondo. Anche Berlusconi, noto per i repentini cambiamenti di  umore e idee,  potrebbe fare un passo indietro, e accettare la nomina della Bernini. O di un altro ascaro.  Quindi i giochi sui nomi (ma non sulla sostanza del cedimento agli estremismi) non sono ancora fatti. Pura polvere ma di (cinque) stelle. Che il Cavaliere, sembra voler raccogliere  di sotto il tappeto. Tutto  fa brodo, anche un palco di provincia, per il rugoso  chansonnier...
Il lato peggiore della questione - sostanziale -   è rappresentato dalla  cecità della maggioranza ( o quasi) degli italiani -  dai giornali a grande tiratura agli uscieri dei ministeri -  dinanzi al pericolo di  spianare la strada, anche  sul piano governativo,  ai  nipotini dei goebbelsiani  Grillo e Casaleggio jr.  
Questo comportamento -  l'allegra cecità del "massì, proviamo a fare piazza pulita" -   ha radici lontane: da quel mix di tarda statualità, ansia politica e bolsa retorica che ha distinto lo sviluppo politico italiano.  Parliamo dell’estremismo italiano (anche di centro), parolaio ma con pesanti ricadute storiche:  quel credere che possano esistere governi virtuosi inviati dallo spirito santo. Evocati, sempre a parole, da politici, altrettanto estremisti e ciechi, capaci però, così facendo, di gonfiare le aspettative e  diseducare i cittadini alla normale democrazia liberale, certamente imperfetta ma l' punica praticabile. E come?  Magnificando un' utopica democrazia perfetta e screditando  risultati perseguiti.  A prescindere.
La democrazia liberale  consiste in  un sistema di regole condivise, che come in tutte le democrazie rappresentative, deve facilitare  la circolazione delle élite.  Qui da noi, ogni élite, papabile per il governo,  assume un carattere messianico, insomma  è per sempre. Programma minimo, dal post-Risorgimento in poi: fare e rifare l'Italia e gli italiani.  Sicché  elezioni e formazione del governo si trasformano regolarmente in una specie di Armageddon. Che ogni volta  sfocia, semplificando, nel regime di salvezza nazionale.  
Forse semplifichiamo, ma fino a un certo punto. Perché così  fecero  i notabili  dell’Italia liberale, per difendersi da rossi e dai neri, nemici del Risorgimento.  Così i fascisti, per difendersi dagli anti-italiani, nemici delle camicie nere.  Cosi i democristiani per difendersi dai comunisti filosovietici. Così Craxi per difendersi dai catto-comunisti.  Così Berlusconi, per difendersi  dagli antiberlusconiani. Così i Cinque Stelle per salvare - così dicono - l’Italia dai  corrotti.
Talvolta l’autodifesa si è resa necessaria, come nel Post-Risorgimento e agli inizi della Prima Repubblica. Altre volte no,  come nel caso  del fascismo, del craxismo,  del berlusconismo,  e ora del grillismo.    
Quel che è sedimentato, il basso profondo collettivo,  è  l ’animus missionario, dirigista, ortopedico, costruttivista  - la lotta tra puri e impuri, tra virtuosi e no -  che si è impadronito degli italiani: quella  faziosità,  della verità in tasca,  che impedisce di edificare, anche come prassi, istituzioni politiche che favoriscano la normale circolazione delle élite e non  - ogni santa volta - il  governo dei buoni contro i cattivi,  dei virtuosi contro i malvagi, e così via...     
Come per l'appunto avviene nei paesi di tradizione liberale (anche di seconda generazione, come la Germania post-hitleriana), dove la saldezza delle istituzioni conta più della monomania virtuista,  di "purificare"  tutto e tutti,  che invece  rischia di distruggere l’Italia.   Come, ripetiamo,  accade -  beati loro -  in Francia, Spagna, Inghilterra. O quando necessario, nella forma di un governo consociativo, come in Germania, ma tra forze democratiche e costituzionali.  E con il plauso degli elettori  moderati. In Italia, paese non meno culturalmente ed economicamente moderno, invece no. Le guerre o sono stellari o niente. L'ideologia dello scontro frontale continua a fare aggio sulla cultura  liberale della mediazione. Ideologia, attenzione, che tende poi, considerata la fisiologica distanza tra parole e fatti, a tramutarsi in un regime dalla  patologica, perché imprecisata,  durata, come del resto impone ogni logica  salvifica. 
Per contro, nelle democrazie liberali, quel che conta non è la virtù bensì il fatto che i governi non virtuosi possano essere regolarmente mandati a casa dopo cinque anni. Non ci stancheremo mai di ripeterlo.  Servono regole condivise da tutti e non usate come catapulte.  Magari,   davanti  alla   famigerata "gente", aizzata da giornalisti sconsiderati,  che si sganascia e applaude. 
In Italia, invece, per riassumere,  abbiamo avuto, il regime dei notabili liberali, il regime fascista, il regime democristiano, con un pendant consociativo catto-comunista, il regime  craxiano,  il regime berlusconiano. E l’Italia estremista, del punto a capo ma in fondo conformista,  di volta in volta,  è stata liberal-oligarchica, fascista, democristiana e catto-comunista, craxiana,  berlusconiana. E ora sembra toccare al regime dei Cinquestelle.   
E non ci si venga a dire di non preoccuparsi, perché in Italia "tanto, tutto finisce a barzellette".  Stronzate (pardon), perché i tre cambi  di regime che si sono succeduti dal 1861 sono stati a dir poco  traumatici: 1922-1926,  1943-1948. 1992-1994.  Per non parlare della piaga del terrorismo, rosso e nero, della guerriglia urbana, degli scontri di piazza, del banditismo,  in nome talvolta del localismo più sfrenato. E ora, potremmo essere al quarto cambio di regime.
L’Italia, contrariamente a quel che si dice,  non è un paese per persone docili. La moderazione non è di casa. Gli italiani non si vogliono bene.    

Carlo Gambescia