venerdì 17 marzo 2017

Il Senato respinge la decadenza di  Minzolini
Voto di scambio? È la politica bellezza


La politica è questione di forma o di contenuto?  Impedire  la decadenza di un senatore condannato in via definitiva per peculato è questione di forma o di contenuto?
Dipende da chi sia il senatore.  E soprattutto dalle ragioni politiche che sono dietro la scelta.  Nel  caso di Minzolini,  dietro il voto che ieri ha salvato il senatore di Forza Italia dalla decadenza, c’è il comune desiderio del Pd e di Fi di evitare, in ultima istanza,  qualsiasi crisi che possa portare alle elezioni anticipate, alle quali i due partiti si considerano, per ora,  impreparati.  Quindi, voto di scambio? Sì.
Però, ecco il punto,  si tratta di  una ragione squisitamente politica, perché le elezioni  rinviano alla lotta per il potere; potere che non può essere “agguantato”, se non si è  grado di vincere le elezioni.  Di qui, quelle situazioni armistiziali, di pura opportunità, che gli stessi elettori, ignari della dinamica profonda del ciclo elettorale nelle democrazie stentano a capire.  Un tempo si chiamavano arcana imperii… Noi, più modernamente, come il lettore ben sa,  parliamo di “regolarità” metapolitiche, forme di comportamento e aggregazione che si ripetono nel tempo e che contraddistinguono la politica come lotta per il potere.    
Insomma, la morale  in politica è una risorsa come un’altra. Inutile scandalizzarsi.  Per fare solo un altro esempio, la stessa tempesta giudiziaria,  abbattutasi di recente  sulla “sindaca” di Roma, Virginia Raggi,  in precedenza  condusse  alle dimissioni del sindaco Ignazio Marino. Perché la  Raggi si è salvata, Marino, no?  Per ragioni di opportunità politica.  Allora le elezioni comunali non erano invise a nessun partito, oggi  invece  sono temute da tutte le forze politiche  presenti in  Campidoglio. Quindi, per ora - ecco lo scambio di favori tra forze politiche ufficialmente in contrasto -  la  “sindaca” Raggi rimarrà al suo posto.     
Naturalmente, sul piano retorico, le scelte secondo opportunità politica vengono nascoste sotto l’evocazione  ufficiale dei grandi valori.   Il che però  è un’arma a doppio taglio, perché per un verso incoraggia l’elettore comune a credere che la morale, anzi il moralismo (come vedremo), venga prima della politica, per l’altro rende inspiegabile, se non nei termini di un tradimento dei grandi  ideali, la lotta per il potere, che invece come  insegna che la politica, in quanto riflesso carnivoro degli organismi politici,  viene sempre prima degli ideali morali. 
Di conseguenza, le democrazie, legate appunto al ciclo elettorale che a sua volta poggia  sul principio di legittimità del  popolo sovrano,  subiscono  questa  discrasia tra  ideali e  realtà  in  misura maggiore di altre forme di regime politico. Ci spieghiamo subito. 
Il parlamentare deve farsi rieleggere, e per riuscirvi deve persuadere, e per persuadere  deve promettere, e per promettere è necessario avere qualcosa da offrire sul piano materiale e morale. Pertanto il solo promettere rinvia al mantenimento di una promessa che  porta con sé  il perseguimento dell’  autorevolezza morale  nei termini di uno “specchiato” comportamento politico e sociale. Sicché la morale,  necessariamente “esternalizzata” mediante il comportamento pubblico,  tende a trasformarsi  in risorsa come un’altra e quindi a dover  fare i conti con la lotta politica.  E quindi con il moralismo dell'apparire che conta più dell'essere e con il  meccanismo  double face  trave-pagliuzza-occhio.  Insomma,  una volta accettata la sfida sociale (ecco qual è  la differenza tra il filosofo morale e il politico ), diventa  assai breve  il passo verso la strumentalizzazione moralistica della morale      
Allora, se la morale rischia inevitabilmente di trasformarsi  in  strumento di lotta politica (da usare contro l’avversario) per conquistare il potere,  non restano che due possibilità: o il tacito accordo tra tutte le forze politiche, per un parco uso di essa, o  l’uso strumentale della morale nel contesto  di una lotta politica, di tutti contro tutti,   sulle basi di una visione impolitica.  In realtà però,  esiste anche una terza possibilità: quella del partito che si erge a difensore della morale, o meglio, per così dire,  di una moralistica onestà. E che su questa difesa impernia la sua politica dell’antipolitica. Andando oltre la stessa impoliticità.
In Italia, la Prima Repubblica,  fu distinta da un uso politico,  misurato e convenzionale, della morale, la Seconda,  dalla guerra morale, impolitica, di tutti contro tutti; la Terza, o presunta tale, dalla nascita di un partito dell’antipolitica  che si dichiara il partito dei soli onesti, quindi maestro di morale.
Però, come abbiamo visto, la politica si vendica.  La forma dipende sempre dal contenuto. Il potere, anzi la lotta per il potere,  esige sempre la sua libbra di carne.  Anche da Beppe Grillo.

Carlo Gambescia