venerdì 3 marzo 2017

La riflessione
Il pomeriggio dell’Occidente
Fisica della guerra

di Antonio Dentice d’Accadia



 1. Sulla semplicità dell’approccio
Ciò di cui spesso si sente la mancanza è la simultaneità percettiva di fatti anche opposti. Buona e legittima è l’intenzionalità di una sintesi, o di una super-sintesi tra assunti abbondantemente elaborati e verificati. Tuttavia tale sintesi dovrà innanzitutto riconoscere la contemporanea validità (magari parziale, perché storicamente e geograficamente localizzata) di fatti antipodici.
Un problema idealmente algebrico viene confuso con un problema aritmetico. Col terrorismo, coll’immigrazione e coi conflitti medio-orientali vien comodo scivolare in operazioni semplicemente sottrattive o addizionali (e quando va bene si ricorre alle tabelline). Esse sono le classiche soluzioni reazionarie o buoniste (politically correct?), immediatamente impattive o intorpidite nella moda della negligenza politica. Insomma, tra l’iper-interventismo delle camice nere e l’atrofizzazione nell’anoressia della concreta responsabilità etica e civile.
Il problema è algebrico perché esistono delle incognite che solo per un difetto percettivo possono apparire risolvibili attraverso le operazioni aritmetiche adottabili con un nemico immediatamente visibile (e anche in quei casi ci sarebbe da dubitare sulla bontà della semplicità aritmetica!).
E’ la tirannia dell’approccio lineare e semplicistico che pretende di adattare al proprio difetto cognitivo la non-linearità della storia reale, che è sempre più forte e incontenibile. Essa straripa e quando v’è l’impossibilità di costruire una diga realmente arginante forse bisognerebbe pensare ad una nave capace di contenere ciò che vi è di prezioso ed essenziale (cosa davvero stiamo difendendo) per navigare sulle acque che inondano l’immobilità sottostante.
Molti islamici possono cadere nell’accusa della giornalista saudita Nadine Al-Budair (nella foto), che sostanzialmente osserva la “negligenza” del semplice dissociarsi dai fatti radicali evitando di intervenire realmente sul problema.
Tuttavia è anche vero che altri, come il giornalista Brahim Maarad e l’imam Samir Khaldi, tendono ad evidenziare un fatto fondamentale: avere i terroristi in casa è scomodo per gli stessi arabi e non poco. Non ricordo quale altra eccellente giornalista araba qualche anno fa fece un’acutissima osservazione: più le comunità islamiche in Occidente vengono ghettizzate (e colpite) e più potenzialmente forniscono nuove “leve” alle organizzazioni del terrore, trovandosi maggiormente sconnesse dalla cultura europea. Ricordiamoci che ogni “soldato-martire” può arrivare a causare anche centinaia di morti. Questa dinamica non può essere ignorata. L’approssimazione aritmetica dello “sparare sul mucchio” genera indirettamente nuove risorse al vero nemico e in una guerra (perché guerra è) ciò è inaccettabile.

2. Il tesoro dell’Occidente
Torniamo alla nave e a cosa davvero stiamo difendendo.
Un folto raggruppamento di persone, associazioni, partiti intenderebbe porre la centralità del conflitto nella dialettica Islam-Cristianesimo. E’ l’intenzione di cercare e nutrire uno “Spirito” coesivo adeguatamente percepito e rappresentativo dell’Occidente, da contrapporre all’escalation islamica.
In questo frangente si evidenzia un grosso problema endogeno. Nel senso che lo Spirito da contrapporre nel processo dialettico non dovrebbe essere tanto quello cristiano, quanto il principio della libertà e della centralità dell’Uomo. Tuttavia capita di sovente di confondere i due discorsi, a volte a causa di un difetto percettivo (pensiamo di non godere sostanzialmente di alcuna libertà) e altre volte a causa della sovrapposizione dei valori (“il cristianesimo è sempre libertà di pensiero”). 
 ) e ben altre situazioni esiste un abisso. Si provi a protestare nell’Impero Ottomano o dove i popoli si auto-determinano.
Riguardo il primo problema probabilmente a molti di noi farebbe bene perdere davvero la libertà (e i diritti) per un po’ di tempo, magari con qualche anno all’estero nella giusta e “istruttiva” disposizione giuridico-geografica. Magari in qualche Paese dalle “stringenti verifiche” politiche, sessuali, artistiche e filosofiche. L’Occidente e l’Italia non sono perfetti (come dimostrano gli abomini genovesi del “Diaz”, per fare un esempio), ma tra la nostra imperfezione (perfettibile) e ben altre situazioni esiste un abisso. Si provi a protestare nell’Impero Ottomano o dove i popoli si auto-determinano.

Invece il problema della sovrapposizione dei valori riguarda il lungo e difficile percorso storico delle religioni cristiane, nel rapporto coll’interpretazione delle scritture (senza dimenticare l’antichità e il contesto della loro origine). Non dimentichiamo quante donne, streghe, eretici e non eretici sono finiti nelle carceri. Alcune religioni lasciate a esse stesse tendono fisiologicamente ad assolutizzare ogni aspetto civile e culturale.
Il Cristianesimo di oggi è quello che è anche grazie alla dialettica laico-religiosa (con tutte le criticità ancora in essere). Il Cristianesimo lasciato senza libertà e senza diritti (per tutti, cristiani e non) ha storicamente dimostrato di non essere migliore del Califfato.
 Per “laico” non intendo il laicismo iper-razionale che pretende di accantonare il “religioso-bambino” in secondo piano, bensì il vero laico, ciò che tutto preserva universalmente (religioni, filosofie, politiche). Questo è lo spirito di libertà, questo è il diritto (e il dovere) dell’Uomo, quel corpus “culturale e normativo” che concede ad ogni persona di esprimersi nella fedeltà alla propria natura. Il principio laico deve tutelare anche il Cristianesimo, perché lo scopo non è il vuoto religioso, morale, o ideale. Anzi! Lo scopo è l’Uomo, così lasciato libero di spiritualizzarsi secondo il percorso che riconosce adeguato alle proprie esigenze.
Quindi, cosa stiamo difendendo? L’Uomo. Non deve esistere la contrapposizione Cristianesimo-Islam, bensì il rapporto Libertà-Tirannia, che in questo frangente storico adotta (anche) la veste dell’Islam più radicale (senza interrogarci in questa sede sulla reale proporzione rispetto alla maggioranza religiosa), che è BEN DIVERSO dall’affermare: non è un problema religioso! Si badi bene!
Comprendere quale davvero è il nostro tesoro è il primo passo per riuscire realmente a difenderlo, con tutta la forza necessaria, finanche alloggiandolo nella nave mentr’essa galleggia sulla fluidità di nuovi e pericolosi scenari.
 
3. Il problema delle Crociate
Rifugiarsi nella religione in quanto tale equivale a connaturarsi col nemico, gente semplice e incapace di un ragionamento non-lineare e non-immediato (non mi riferisco alla mente politica, bensì ai quadri intermedi e alle funzioni martiro-operative).
Il nemico vive (anche) la dicotomia cristiano-islamica e poche cose lo renderebbero felice ed esaltato come il ridurre anche noi allo stesso metabolismo. Si produrrebbe ancora di più quell’energia sociale, quella benzina che nutre le peggiori e per noi corrosive dinamiche (questa volta non indirettamente!).
Non è un caso se lo stesso Pontefice Francesco I (intelligentemente e criticatissimo) sta evitando di trasporre il problema nella chiave della guerra tra religioni. Verrebbe a originarsi un brutto effetto domino che ci travolgerebbe (e non solo noi – pensiamo a tutto il panorama cristiano). Tuttavia questo NON vuol dire che non sia anche un problema religioso (attenzione alle sfumature).
Un’analisi storico-filosofica del Prof. Angelo Calabrese (nella foto)  indaga l’evoluzione delle tre grandi religioni monoteiste.
Egli mette in relazione l’origine storica colle successioni civili, giuridiche e culturali in riferimento alla modernità. Ispirato dalla sua lettura ho concepito un’idea dalla facile verificabilità: rimangano pure fisse le regole religiose, i principi e le dottrine… l’importante è che cambi l’uomo. L’importante è che quest’uomo decida a quali interpretazioni esegetiche e teologiche offrire concretezza (e quali invece relegare dall’antiquario).
 
4. Fisica della guerra
I nostri valorosi “crociati” e i reazionari-interventisti del “tutti a casa” avrebbero da assimilare due importanti tasselli del problema:
a)      Anche se la soluzione fosse: “tutti a casa!”, o: “l’Europa cacci gli immigrati e le comunità islamiche!”, dovremmo prendere atto che ciò è fisiologicamente impossibile. Non abbiamo i mezzi, le risorse, la forza, né la possibilità diplomatica di farlo. Una cosa è (giustamente) regolare gli ingressi, un’altra cosa è il radicale “riordino” della società. Semplicemente, non-è-possibile. Abbaiare politicamente serve a poco e solitamente peggiora la condizione di chi già è in svantaggio culturale;
b)      A causa di problemi geografici e di controllo territoriale non è possibile chiudere realmente le frontiere italiane. Diventa estremamente complesso contenere i flussi di persone, pur considerando tutte le criticità dei terroristi sotto-copertura.
Poi abbiamo il problema opposto, il buonismo di chi afferma che non è un problema islamico. Il buonismo della tolleranza a tutto tondo, anche con chi tollerante non è. Magari a causa di vincoli di partito, di ideologia, pseudo-morali, o magari qualcuno di loro ci crede realmente. Una cosa sono le affermazioni di un rappresentate spirituale (il Papa) che ha la responsabilità di tutti i cristiani nel mondo, un’altra cosa sono le affermazioni dei governanti dei Paesi europei, che dirigono secondo differenti modalità politiche e che così facendo offrono nutrimento ai movimenti radicali e nazionalisti cavalcanti l’indignazione sociale.
Sono le due erronee polarità, quella di chi afferma: “è tutta colpa dell’Islam, cacciamoli!” (disconoscendo le responsabilità dell’Occidente) e di chi invece afferma: “non è un problema religioso!”.  I primi col pericolo di far detonare una bomba sociale che non siamo in grado di contenere e i secondi col sentimentalismo di una rosea ed ipocrita ingenuità da commedianti. I primi muovendosi coll’obiettivo d’amplificare la propria popolarità presso gli ambienti reazionari e i secondi col timore di perdere la propria popolarità presso tutti gli altri. Intanto mentre si gioca questo poker di bluff e rilanci colla finalità partitica dell’accrescimento del voto, la storia e le guerre proseguono il proprio cammino, includendo tutti.
Cerchiamo un percorso più lucido, utile e razionale: non tutti gli islamici sono terroristi (quindi non serve farseli tutti nemici, che di nemici ne abbiamo già abbastanza – con tutti i problemi culturali già in essere), tuttavia questo è ANCHE un problema religioso, perché una parte molto pericolosa dell’Islam è qualificata dagli attributi di conquista e conversione (non dimentichiamo che storicamente anche il Cristianesimo ha dovuto fare i conti colla propria ferocia).
Affermare: “quello non è il vero Islam”, o affermare: “quello non era il vero Cristianesimo” non aiuta a risolvere né a riconoscere un problema vivo e presente nel sottostrato religioso. Comprendere un fatto è gestirlo. Quindi: “questa è una parte dell’Islam” come “quella era una parte della nostra religione” (che emerge parzialmente quando pensiamo di soffocare un diritto altrui citando la Bibbia invece della Costituzione).
Di conseguenza ci auspichiamo: a) che non si cada nel “tranello” religioso; b) che non si cada in esplosioni nazionaliste con una maggiore ghettizzazione delle comunità arabe, alimentando maggiormente il nemico; c) che non si cada nel buonismo politico dell’auto-colpevolizzazione dell’Occidente (che è diverso dall’affermare l’assenza di colpe); d) che non si cada nel buonismo intellettuale del non vedere una guerra in atto, con buona pace dei pacifisti ad oltranza.
Soprattutto l’ultimo punto implica una seria presa di responsabilità, la guerra c’è e quindi va combattuta. Come? L’ ”aritmetica dell’impatto” è inutile (sia dentro che fuori il Paese, per i motivi espressi) e la mollezza politica è un suicidio.
Non rimane che affidarci all’algebra, ad operazioni più complesse, ma anche più efficaci. La soluzione diventa silenziosa, lenta, graduale e specifica. Occorre evitare l’esplosione disinnescando l’ordigno, nel contempo senza offrire il fianco, neutralizzando le risorse del nemico (denaro, finanziamenti, soldati e territori) e drenando i “potenziali soldati”. Data l’impossibilità di uno scontro diretto diventa necessario un lucido processo erosivo, a cui non dovranno mancare tutta la durezza e la determinazione necessarie.
Di certo queste non sono novità. Di certo sono già in atto e su differenti livelli. Sarebbe utile però non esasperare oltremisura il clima mentre si prosegue su un sentiero difficile, forse lungo vari anni e costoso molte vite. Perdere il controllo comporterà l’allontanarsi dell’epilogo e l’allungarsi del costo in termini di vite umane.
Si mette da parte il bastone e si adoperano i bisturi.
Di conseguenza rilasciare/liberare un soggetto (perché “pentito” e affetto da disturbi mentali) implicato nel terrorismo (tentativo di unirsi ai gruppi jihadisti siriani) e trovarselo qualche tempo dopo ad uccidere un sacerdote in Francia è inaccettabile. E’ la storia del diciannovenne Adel Kermiche, senza contare che anche il suo complice (Abdel Malik) era sospettato di vicinanza alla propaganda estremista. Eppure erano liberi di muoversi.

5.  Religioso e non
Concludendo, quello del terrorismo è un problema religioso? “Sì, lo è” e nel contempo “no, non lo è”.  La dicotomia è solo apparente ed è facilmente risolvibile.

Si ama affermare che il reale motivo della Jihad (e dell’ISIS) sia politico-economico e non religioso. L’affermazione è considerabile esatta solo se connessa ai vertici organizzativi del terrorismo internazionale e alla “dirigenza” dello Stato Islamico. Nell’area “manageriale” del nemico prevale senz’altro un’anima soprattutto politica, attenta alle questioni economiche e con tutto l’interesse del mantenimento di un apparato ampio, costoso e trasversale agli Stati. Una macchina capace di influire internazionalmente, di espandersi nelle viscere dei Paesi (soprattutto arabi), di attrarre finanziamenti, traffici d’armi, tratta degli schiavi e di rafforzarsi con un esercito sempre crescente di martiri e soldati. Per essere brevi: denaro, potere e sesso (le schiave).
Tuttavia il nemico non è composto esclusivamente dal “vertice”, come la sola testa non è tutto il corpo. L’affermazione “non religiosa” pretenderebbe (erroneamente) di identificare gli obiettivi della dirigenza col senso totale di un fatto assai più ampio e culturalmente scomodo.
 Osserviamo anche il resto del corpo dell’Islam più distante dai principi Occidentali (fino ad arrivare ai vari livelli delle organizzazioni terroristiche): la fede e il martirio, lo sfruttamento femminile, le lapidazioni, gli omosessuali impiccati alle gru, la schiavitù e le torture. Tale dimensione è ovviamente collegata alla questione politico-economica dei vertici, ma non vi potrà essere confusa. E’ altro. E’ cultura, è società, è mentalità, è la religione. Tali categorie rientrano necessariamente nella “questione religiosa”.
Quello islamico “è e non è” un problema religioso. Il tutto considerando l’ovvia esistenza di una pluralità di categorie: a) chi è connesso al terrorismo e a una cultura brutale; b) chi è suggestionato dalla propaganda jihadista; c) chi è suggestionabile; d) gli islamici che non intendono mischiarsi con certe bestialità; e) gli islamici che politicamente e intellettualmente prendono attivamente le distanze dagli estremismi.
Occorre misurare fatti e parole per favorire le ultime due categorie a spese delle prime. Di conseguenza fatti come il “dare alle fiamme una moschea in Corsica” come reazione all’attentato nella chiesa a Rouen non fa che fortificare il nemico, perché tende a far collassare le “categorie sane” nella forza di gravità delle più pericolose.
Come ci sono stati vari modi di essere cristiani, ci sono e ci saranno vari modi d’essere musulmani. 
                                                                                
                                                                                         Antonio Dentice d’Accadia             

                                                       
Antonio Dentice d'Accadia (Caserta, 25 Luglio 1983) è un saggista, conferenziere ed il principale biografo e studioso dell'economista Giuseppe Palomba. E' autore di opere di filosofia economica, di metafisica, di sociologia e di indagine alla poetica nel rapporto tra Weltanschauung e Vision. Ha scritto anche articoli sull'arte figurativa e collabora in ricerche storiche.