mercoledì 22 marzo 2017

In 25mila alla marcia di "Libera"
Don Ciotti e i balilla rossi dell’antimafia


Si può parlare male di don Ciotti? Che sia  persona dedita totalmente  agli altri è fuori discussione. Che poi sia un buon prete non sta a noi dirlo.  Tuttavia,  nella manifestazione, come dire,  del  “siamo tutti sbirri” ci sono due cose che stonano.
In primo luogo, quanto alla sua causa, si è trattato di  scritte, apparse sui muri, di Locri, indubbiamente città simbolo. Certo scritte  offensive,  ma dove, anche se rozzamente, si chiede lavoro. Ed è  qui che Don Ciotti, prete operaista, “da sempre dalla parte degli ultimi” (*)  si è sicuramente sentito toccato nel profondo. Il che potrebbe spiegare  la contromanifestazione “di massa”, organizzata in meno di 24 ore, all’insegna di un marciare non marcire, molto dannunziano, che curiosamente accomuna il movimentismo di  sinistra e destra  fin dalla nascita,  benché nel caso, per una giusta causa.
Cosa dire? Che, visto che c'erano molti giovani (oltre a sindacalisti, assistenti sociali, insegnanti, eccetera), i balilla rossi dell’antimafia, non ci piacciono. Opinione personale, ovviamente. Ma le piazze, se fossimo don Ciotti, le lasceremmo, per dirla in modo brutale,  ai sovversivi.  Sono  comunque prove di forza, se si vuole “manifestazioni di potenza",  poco cristiane. Non risulta infatti che in Galilea,  al tempo,   fosse di moda protestare in favore di Gesù.  Anzi, come è noto,   l’unica manifestazione “di massa” si concluse al grido del “crucifige”. 
In secondo luogo, perché inculcare nella mente dei  giovani i valori  velenosi dell'anti-capitalismo? Ci spieghiamo subito. Don Ciotti, non ama la società di mercato, al massimo la sopporta.  Per carità,  liberissimo di dirne peste e corna. Fortunatamente,  vive in Italia,  non a Cuba dove gli oppositori non hanno vita facile come nelle “società capitaliste”.  Il problema  però  è che la sua visione della politica è catto-statale:  nel senso di uno stato maestro di giustizia in terra, capace di appoggiarsi  ai preti e alle organizzazioni sociali  pauperisticamente ispirate. Il che probabilmente spinge don Ciotti  a coniugare giustizia sociale e lotta alla mafia. Il suo  sillogismo è  molto semplice, forse semplicistico: la mafia è frutto dell’ingiustizia sociale (premessa maggiore), il capitalismo è ingiusto (premessa minore), ogni capitalista è un mafioso (conclusione). 
Sicché, come si può facilmente intuire, senza  il capitalismo non esisterebbe la mafia. Il sillogismo è devastante, soprattutto per una giovane mente. Inoltre,  poiché  lo stato, altro punto fondamentale, deve combattere l’ingiustizia sociale e quindi il capitalismo, si spalancano le porte a una dannosa visione costruttivista della società.   Insomma, si celebra  uno stato confessionale, giustizialista in senso economico, che deve  marciare,  e non marcire, con i balilla rossi  di  don Ciotti.                  

Carlo Gambescia