Trump nel suo precedente mandato non ha trasformato gli Stati Uniti nella Germania hitleriana. Anche Biden non ha tramutato l’America in Sodoma e Gomorra.
Quindi lasciamo da parte, almeno per il momento, le mitologie politiche. E interroghiamoci su una questione fondamentale: qual è, ridotta al nocciolo del discorso, la differenza “concettuale” tra Donald Trump e Kamala Harris, già vicepresidente con Biden?
Insomma, non è una questione di programmi, né di retorica politica ( o comunque non solo). Del resto tra i due candidati sono spesso volate parole grosse. Quindi sotto questo aspetto pari sono.
Allora dov’ è la differenza tra Donald Trump e Kamala Harris ? L’autentica differenza risiede nella distanza tra approccio cesarista e approccio liberale.
Il cesarismo, esclude la mediazione, non ama i compromessi, si rivolge direttamente al popolo; l’approccio liberale invece vive di mediazioni e compromessi e nel rispetto della democrazia parlamentare. Sono due approcci profondamente diversi, il primo è figlio prediletto dagli aspiranti dittatori, il secondo rimanda alla normale politica di alti e bassi che innerva le democrazie liberali. Un dittatore, invece, promette solo alti.
Per fare un esempio di compromesso capace di non far saltare le regole, si pensi a quando nel 2000 Al Gore, dopo alcune controversie legali, intuendo che non si sarebbe arrivati a nulla, riconobbe la vittoria per pochi voti di Bush figlio. Tutto questo per impedire il diffondersi della sfiducia nei riguardi del sistema elettorale americano.
Da questo punto di vista, Al Gore, criticabile sotto tanti aspetti, provò di essere un uomo politico liberale. Di avere senso del limite. Di capire fin dove ci si può spingere, proprio per evitare di far saltare tutto. Al Gore al suo bene di candidato battuto ( o meno) preferì quello del rispetto (assoluto) delle regole di una buona democrazia liberale.
Per contro Trump nel gennaio del 2021 infiammò addirittura la piazza, istigando i suoi elettori a impadronirsi di Capitol Hill. Ci furono alcuni morti e numerosi feriti. Non pago, e salvatosi per il rotto della cuffia dall’impeachment, Trump ha già dichiarato che non accetterà la sconfitta perché asserisce di non fidarsi di un sistema politico ed elettorale corrotto. Sono parole veramente gravi. Da incorreggibile cesarista.
Ora, dei Democratici e di Kamala Harris si potrà dire tutto il male possibile, ma non che mostrino sfiducia nel sistema politico liberale. Infatti la Harris si è ben guardata dall’evocare complottismi elettorali e minacciare rivolte. Quindi accetterà il verdetto elettorale. Come è normale che sia dal punto di vista liberale.
In sintesi: il cesarista pone se stesso al di sopra della legge, il liberale al di sotto. E non è una differenza da poco. È la stessa che passa tra dittatura e libertà.
Oggi come oggi, l’elettore medio americano è in grado cogliere questa differenza? Diciamo che fino a Trump ha mostrato di capire. Dopo di che si è incanaglito nel cesarismo populista. Il che è grave perché dalla comprensione della differenza tra cesaristi e liberali dipende la vittoria di Trump o della Harris.
Concludendo, nelle elezioni di oggi, al di là dei programmi di
politica interna e politica estera, risulta essere in gioco, benché se
ne parli poco, l’approccio più generale alla politica. Cesaristi da
una parte, liberali dall’altra. Cioè Trump contro Harris. Chi vincerà? Dipende. Da cosa? Ripetiamo, dalla consapevolezza, fiducia e rispetto degli elettori nel sistema delle regole liberali.
Carlo Gambescia
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