In politica esistono due tipi di logica: la logica della politica e la politica della logica.
Nel primo caso, come ad esempio nei governi di coalizione, la logica della politica impone che tra alleati si debba andare d’accordo, per il bene del governo ( come durata) e del paese (come misure per il bene comune). Buon governo è il governo del "giusto mezzo" tra questi due obiettivi: durata e bene comune. Si chiama logica della politica, nel senso che è logico durare, e che per durare si deve essere uniti, facendo anche il bene del paese. Altrimenti prima o poi si soccombe in quella lotta evolutiva per il potere (che premia le forze più adeguate sotto l’aspetto della logica della politica), lotta segnata da processi centripeti e centrifughi. Processo, quest'ultimo, che costituisce una regolarità metapolitica.
Nel secondo caso, parliamo sempre di un governo di coalizione, la politica della logica si traduce nello sviluppo di un pericoloso contrasto tra bene proprio del governo (la durata) e del paese ( misure di bene comune). Si chiama politica della logica, nel senso che non è più la logica a governare la politica, ma la politica a governare la logica, sicché, dal momento che la politica è anche conflitto, si genera un contrasto tra il bene proprio del governo e il bene del paese. In questo modo però la lotta evolutiva per il potere, interna al governo, ne rende problematica l’esistenza.
Ora, il voto di Forza Italia, che da partito liberale (come si dice) avrebbe dovuto votare per l’abolizione del canone Rai, e non per una semplice riduzione, come primo passo verso la privatizzazione dell’ente pubblico, rientra in pieno nella politica della logica. Cioè il bene del partito ( nel senso ad esempio di un frainteso guadagno di visibilità) che prevale sul bene del governo. Una scelta che però indebolisce la forza del governo in quella che è la lotta evolutiva per la politica. Qualcosa di non logico, se si vuole incoerente, dal punto di vista della logica della politica.
Non stiamo difendendo il governo Meloni, ma semplicemente sottolineando come certe regolarità metapolitiche, travalichino le ideologie professate, per culminare nell’autodistruzione politica.
La politica si fonda (anche) sull’eterno contrasto tra essere e apparire. Si vuole apparire come animati dalla logica della politica (si pensi ai grandi discorsi di Giorgia Meloni, sulla diversità di “questo” governo), mentre in realtà si finisce per obbedire alla politica della logica (il voto contrario di Forza Italia).
Siamo davanti a una buona notizia per coloro che non simpatizzano con il governo Meloni? Certamente, però il contrasto tra logica della politica e politica della logica è insopprimibile. Perché animerà anche una coalizione di sinistra o di centro-sinistra, come pure le forme di regime politico profondamente differenti dai regimi liberal-democratici. Con una sola differenza – fondamentale - che questi contrasti in una liberal-democrazia avvengono alla luce del sole, in un’autocrazia, ristagnano nel buio delle stanze del potere.
E qui è interessante fare un’osservazione a proposito dell’ira della Meloni. Chi non ha radici liberal-democratiche, come ad esempio Fratelli d’Italia, tenderà a vedere nel voto contrario di Forza Italia, non il portato di una vittoria della politica della logica sulla logica della politica, ma una inevitabile aberrazione della democrazia parlamentare. Di qui l’idea cara alla destra dalle radici fasciste, di rafforzare i poteri del governo e di ridurre al minimo il potere coalizionale e di controllo dei parlamenti. Una posizione che si concretizza nella scelta plebiscitaria. Il cosiddetto premierato, che piace tanto alla destra, non è che un passo in questa direzione.
Giorgia Meloni, gonfia di ira verso gli alleati, crede che così facendo ingabbierà le pulsioni centrifughe. In realtà, dal punto di vista della pubblicità delle decisioni politiche è ininfluente che il primo ministro sia eletto direttamente dal popolo.
Perché, in realtà, la tensione tra politica della logica e logica della politica è ineliminabile. Essere eletti o nominati – semplifichiamo - dal popolo o dal parlamento non cambia nulla. Dal momento che su ogni questione, per semplificare, ci saranno sempre almeno due soluzioni, due modi di vedere le cose, eccetera. Inoltre, quanto ai poteri, assoluti o meno, neppure Luigi XIV governava da solo. Esiste un’amministrazione, con i suoi gradi alti e bassi. Implementare dall’alto non è mai facile. Due ministri, anche in un regime autocratico, possono pensare in modo opposto. E qui si pensi, con riguardo al Novecento, alle grandi fratture interne persino ai regimi totalitari.
Però, come detto, la tensione tra politica della logica e logica della politica, la si può portare alle luce del sole. Come nelle liberal-democrazie. E questa è una buona cosa. Perché è vero che un leader, democratico o autocratico, si troverà sempre a fare delle scelte tra i propri interessi e quelli del paese, però è altrettanto vero che le cose cambiano, e in meglio, quando avvengono alla luce del sole, ad esempio in parlamento.
Qui, ripetiamo, la differenza tra una democrazia liberale e una autocrazia. Differenza che sembra sfuggire a Giorgia Meloni.
Carlo Gambescia
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