Landini, a pelle, non ci sta simpatico. Come non ci piacciono le lagne sullo sfruttamento dei lavoratori. Oggi tutelati a ogni livello. Tesi che invece giustifichiamo per il trattamento riservato ai migranti. Qui però la colpa è della destra che creando, sulle basi di una retorica razzista, la “categoria” del lavoratore clandestino, non facilita l’emersione del lavoro nero. Ma questa è un’altra storia.
Detto questo, resta il fatto che lo sciopero generale contro una legge finanziaria, definita ingiusta è qualcosa di fisiologico, che appartiene ai normali conflitti della società aperta. Landini, così dicono, avrebbe usato il termine “rivolta sociale”? Cosa c’è di male? Esiste una retorica politica che rinvia a una fraseologia spesso enfatica, che finché resta tale, non rappresenta alcun tentativo di eversione. A meno che non si voglia fare il processo alle intenzioni: nel senso di non giudicare il sindacato per quello che ha fatto, ma per quello che si suppone voglia fare.
Il processo alle intenzioni rimanda allo stato autoritario, all’automatica identificazione tra stato e governo. Perché si scorge nell’idea stessa di conflitto un affronto all’esercizio dell’autorità del governo assimilata alla volontà dello stato che deve sempre imporsi nei rapporti sociali, costi quel che costi.
Per capirsi: lo stato di diritto non vieta il conflitto, quando e se necessario lo regola caso per caso, concretamente, invece lo stato autoritario nega l’idea stessa di conflitto.
Per essere ancora più chiari: Salvini è un essere politicamente abominevole, però la precettazione nei servizi pubblici, quando serve a regolare e non a vietare integralmente uno sciopero, che può danneggiare i diritti, altrettanto costituzionali, degli altri cittadini, rientra perfettamente nella dinamica dello stato di diritto. E infatti, il ricorso al Tar dei sindacati dei trasporti è stato respinto. Tutto regolare dal punto di vista dello stato di diritto.
Quel che invece non è giustificato, come dicevamo, è la negazione dell’idea stessa di conflitto, che è una specie di idea fissa delle destra, soprattutto quando alla negazione si accompagna il processo alle intenzioni nei riguardi del sindacato, processo, fondato su un’idea di colpevolezza preventiva. Un atteggiamento di chiusura verso il sindacato, eversivo dell’ordine liberale. Una scelta reazionaria, che, provocando contraccolpi, altrettanto radicali, rischia invece di rendere più aspro il conflitto sociale.
Si dirà, ma allora l’Autunno caldo? La politicizzazione della Cgil ai tempi dei Pci ? Non è forse vero che il sindacato non mai ha brillato per riformismo?
Non siamo d’accordo con la vulgata della destra. Si legga una qualsiasi storia del sindacato, si scoprirà la natura riformista del sindacalismo nell’Italia repubblicana. Non si badi alle lotte economiche, probabilmente discutibili dal punto di vista dei fondamenti dell’economia politica, oppure alle grandi manifestazioni di tipo politico, ma si guardi alla fermezza mostrata dal sindacato verso il terrorismo e i movimenti pseudorivoluzionari.
La famosa “cacciata” di Luciano Lama dall’università di Roma, tuttora celebrata dagli estremisti di ogni colore da sinistra a destra, non è che la storica riprova dell’esistenza di un riformismo sindacale. Come lo sono le vittime del terrorismo: sindacalisti e professori uccisi in mezzo alla strada come un tempo si faceva con i cani rabbiosi.
Landini esagera? Usa parole forti? Si guardi ai fatti concreti. Parla di salario minimo, orario di lavoro, aggiustamenti salariali. Sono misure che possono non piacere (e che a noi non piacciono), ma che in realtà sono di natura riformista non rivoluzionaria. Landini batte e ribatte sugli aspetti economici, come un classico leader riformista.
Non capire questo significa pescare nel torbido dell’immaginario fascista di una destra autoritaria, che vuole eliminare ogni forma di conflitto, anche la più fisiologica, e che odia il sindacato in quanto tale.
Il che significa che i veri eversori dell'ordine liberale sono a destra non a sinistra.
Carlo Gambescia
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