sabato 29 giugno 2024

Inchiesta Fanpage. Sveglia! Occorre un nuovo Aventino

 



Il momento politico è molto interessante. Pericoloso ma interessante.

Pericoloso, perché la destra neofascista capeggiata  da  Giorgia Meloni  si sta mostrando, cosa non nuova per gli addetti ai lavori,  per quel che è: neofascista”, se non addirittura neonazista. Quindi pericolosa per le nostre libertà. Con nazisti e fascisti non si scherza mai. Il pericolo è sempre dietro l’angolo.

Interessante, per  le fiacche reazioni degli “antifascisti”. Questa ipnotica ritrosia ad attaccare a fondo il nemico, rischia di provare ancora una volta, che il potere di chi vince si costruisce sulla  mancanza di fede in se stessa della vittima prescelta. Insomma è quasi sempre una specie di regalo degli sconfitti ai vincitori: dal basso Impero romano alla Repubblica di Weimar.

Come abbiamo scritto più volte, Giorgia Meloni non è un nemico da sottovalutare (nemico e non avversario, perché Fratelli d’Italia è nemico del sistema liberal-democratico, non un normale avversario interno). Giorgia Meloni è machiavellica, nel senso di rapportare sempre i mezzi ai fini disponibili: ad esempio ora le conviene mostrarsi filo-occidentale, ma una volta eletto Trump e cambiati gli equilibri in Europa, si sgancerà con lo stesso permesso del magnate americano. Inoltre Giorgia Meloni conosce le tecniche argomentative e di comunicazione politica meglio di qualsiasi altro leader in circolazione. E’ una straordinaria manipolatrice.

A quest’ultimo proposito la sua gestione del caso esploso in seguito all’inchiesta di Fanpage sulle radici nazifasciste di Fratelli d’Italia è esemplare. Da manuale di scienza della comunicazione politica. Giorgia Meloni rovescia l’onere della prova. Sono i giornalisti di Fanpage che, dopo aver commesso un presunto reato, ficcando il naso nella privacy, per così dire, di Fratelli d’Italia, devono provare la loro innocenza.

Insomma, il mondo al contrario ( e qui si pensi anche al successo, fin dal titolo, del libro del generale Vannacci). Ecco cosa significa saper usare la comunicazione politica: rovesciare la realtà delle cose, accusando l’avversario di averle rovesciare per primo. Trasformarsi da carnefici in vittime. E ricevere così tanti voti

In una situazione normale le tesi della Meloni farebbero sorridere. Però qui siamo davanti all’enorme potenza di una manipolazione di massa (si dia un’occhiata alle prime pagine di oggi, che quasi ignorano il caso, per non parlare dei Tg pubblici e di Mediaset), che consente al re, con i presunti abiti d nuovi, di girare nudo, senza che nessuno apra la bocca.

Insomma c’è poco da sorridere – qui la pericolosità e l’anormalità del momento – dinanzi a una passività che non riguarda più solo i cittadini (come dicevamo ieri *). Perché un atteggiamento politico così remissivo verso Fratelli d’Italia, un partito che non ha mai fatto i conti con il nazifascismo?

Sulle basi dell’inchiesta di Fanpage, che prova comportamenti ideologici gravissimi, radicati ed estremi, il governo si dovrebbe dimettere. O comunque, ecco il ruolo di una vera opposizione, andrebbe costretto a dimettersi. E per indegnità politica, Parliamo ovviamente di una pressione morale. Come può una forza nazifascista rappresentare la liberal-democrazia, risorta dalla sconfitta nel nazifascismo nel 1945, in Italia, in Europa e in Occidente?

E invece? Le opposizioni o tacciono o accettano di discutere di “cattivo” giornalismo investigativo, della “privacy violata” di Fratelli d’Italia. Siamo al punto che è Giorgia Meloni a chiedere l’intervento di Mattarella. Invece delle opposizioni.

Insomma, per dirla fuori dai denti, mentre è in gioco il futuro dell’Italia, e della libertà degli italiani, si discute di diritto alla privacy, dimenticando o fingendo di dimenticare che – regola numero uno delle liberal-democrazie – un partito, proprio perché tale, non può non essere una casa di vetro. Senza segreti per nessuno. Parliamo di un attore pubblico non di un attore privato.

La sinistra legata a un antifascismo, al quale nei comportamenti sembra non credere più, lascia che Giorgia Meloni passi per vittima. E lucri politicamente sul fatto.

Si dirà, cosa fare allora? Si può decretare lo scioglimento di un partito che ha preso milioni di voti? E che governa l’Italia? Evidentemente no. Però la machiavellica Giorgia Meloni andrebbe messa sotto pressione. Morale, come detto.  Come? Farla cadere  sotto i colpi di un’opposizione che ad esempio esca dal Parlamento, evocando dinanzi al mondo la nudità del Re nazifascista. Insomma, occorre un nuovo Aventino.

L’altro Aventino finì male. Mussolini fece decretare la decadenza dei parlamentati aventiniani. Pertanto c’è il rischio, che Giorgia Meloni possa levarsi la maschera e giocare una carta del genere, addirittura con la complicità delle istituzioni. Oppure, cedere e dimettersi per andare tutti a nuove elezioni. Che non è detto si risolvano con un vittoria della forze liberal-democratiche e antifasciste. Il rischio che il vittimismo meloniano, paghi politicamente è enorme. Perè guai a restare con le mani in mano.

Ecco perché dicevamo che il momento è pericoloso e interessante. L’opposizione saprà dimostrarsi forte, sicura di se stessa, e battere il nemico? Oppure consegnerà l’Italia a Giorgia Meloni, discutendo di privacy e altre stupidaggini del genere?

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/06/fanpage-e-il-golia-fascista.html .

venerdì 28 giugno 2024

Fanpage e il Golia fascista

 


Partiamo da un titolo. Quello del  celebre libro di Giuseppe Antonio Borgese, Golia. Marcia del fascismo . Che consigliamo di leggere. 

Diciamo allora  che il gigante è di nuovo in cammino, pronto a schiacciare ogni libertà. Sul fatto che ai comandi vi sia una donna che fisicamente ricorda Davide, fa parte, come vedremo, dell’imbroglio.

A che punto è la marcia di Golia?  Va fatto il punto della situazione. Diciamo subito che la seconda puntata dell’inchiesta di Fanpage sull’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia non dice nulla di nuovo (*). Almeno agli studiosi del neofascismo. Giovani nazisti crescono. E da un pezzo. Brutte carte per la liberal-democrazia.

Però una cosa è che gli addetti ai lavori (politici e intellettuali) sappiano come stanno veramente le cose “dentro” Fratelli d’Italia, un’altra come far circolare “fuori”, tra gli elettori, i cittadini, la gente, il popolo, queste informazioni, diciamo, sulla natura nazifascista di un partito al governo da più di due anni, che per ora ha sposato l’astuta strategia del vittimismo (poi vedremo).

Come può una verità di "nicchia" (politici e intellettuali) diventare di "massa". Si tratta di una questione di comunicazione sociale e soprattutto di mezzi di comunicazione di massa. E qui l’Italia è messa molto male. Un pericolo che però riguarda anche l’Europa e l’Occidente. In Francia a breve potrebbe vincere un altro partito dalle radici fasciste. E negli Stati Uniti, questione di mesi, potrebbe toccare un’altra volta a Trump, che non democratico né liberale.

Ecco lo stato delle cose. Le masse dell’Occidente, per una serie di ragioni (stupidità, supinità, smemoratezza, ingraditudine) tendono a mettere sullo stesso piano fascisti (semplifichiamo) e antifascisti. La sinistra, si avvede del pericolo, però ha sempre meno presa sulla gente. Si lascia andare a crisi isteriche, che favoriscono (come poi vedremo) il vittimismo dei fascisti.

Che cosa è accaduto?

I social hanno normalizzato la destra dalle radici fasciste: si leggono e si scrivono cose tremende, con una naturalezza che lascia basiti (ovviamente “color che sanno”…). Il fascismo è tornato di moda ma la famigerata “gente” non si è ancora resa conto.

Ormai, a livello di massa, nessuno sembra capire che declinarsi fascisti e nazionalisti, o come si usa adesso, populisti e sovranisti, è una cosa politicamente anormale. Perché in questo modo si recidono le basi liberal-democratiche dell’Italia e dell’Occidente. Si va contro la lezione del 1945. Lezione di libertà impartita con il sangue con l’inchiostro a fascisti e nazisti. E invece sta accadendo l’esatto contrario. Cioè sta diventando normale, come spesso scriviamo e corroboriamo, dire cose fasciste. Si badi bene: mettere sullo stesso piano destra e sinistra, come spesso si legge, significa sposare, la vecchia tesi controrivoluzionaria e antiparlamentare alle origini del fascismo, del né destra né sinistra. In fondo la gente comune chiede solo di farsi i fatti propri.

Come prova un astensionismo storico, non dell’altro ieri, ma che risale addirittura alle origini settecentesche, persino britanniche, della democrazia parlamentare. Al famigerato “po-po-lo”, chiuso nell’inerzia del quotidiano, cosa che può anche essere piacevole, non è mai importato nulla di non poter votare, di esprimere il proprio pensiero. Roba da professori, da chiacchieroni, cose inutili. “Chi tène pane e vvino, ‘e sicuro è giacubbino”, urlavano i cafoni controrivoluzionari, lunga mano sanfedista dei Borboni napoletani. La polemica fascista sui radical chic viene da lontano. Altro che Tom Wolfe.

Parlamento e libero voto sono il miracolo dell’Occidente, al quale, nonostante tutto, hanno sempre creduto in pochi veri liberali.

La gente comune non si avvede del pericolo. E dove l’informazione, come in Italia, è nelle mani della destra, viene disinformata  o non informata.

In questo quadro, in cui sembra avere la meglio, una specie di pensiero unico di destra, che, attenzione, condanna l’antifascismo ma non il fascismo, la strategia scelta da Fratelli d’Italia rinvia al vittimismo di cui dicevamo.

Si idealizza un partito, le cui origini, quando si dice il caso, si perdono nel tempo, vittima dell’antifascismo, che si accanisce perché nemico dell’Italia, dei buoni valori, della dignità del popolo italiano. Insomma, senza dirlo ufficialmente, si rispolvera tutta la paccottiglia ideologica fascista. E la si vende di contrabbando sui social, sui i tg e sui giornali controllati dalla destra e dai portatori d’acqua al mulino della destra. In Italia, l’ottanta per cento dello spettro informativo a tutti i livelli.

Golia, anche se questa volta si atteggia a vittima, è di nuovo in marcia. Ed è un Golia di massa, pigro, ignorante e conformista. Certo, come dicevamo, fisicamente parlando, vi è stata una inversione di ruoli, Giorgia Meloni ricorda Davide, e l’antifascismo, viene dipinto come Golia. Il vittimismo imbroglia le acque. E anche questo è un segnale del vicolo cieco fascista in cui ci siamo cacciati.

Al momento possiamo solo riassumere i termini della questione: i social normalizzano, le televisioni non informano, i giornali rilanciano, il contesto sociale, come c’è da aspettarsi sociologicamente, procede in modo inerziale. Tutto congiura perché l’Italia slitti, diciamo, verso il fascismo o comunque un pesantissimo autoritarismo prefascista. Un pericolo, come detto, che riguarda l’Europa e persino gli Stati Uniti.

Politicamente parlando, chi ucciderà e taglierà la testa a Golia? Difficile se non impossibile dire. 

Purtroppo, così stanno le cose.

Carlo Gambescia

(*) Qui un nostro precedente articolo: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/06/chi-scrive-conosce-bene-la-destra.html . Qui la seconda puntata dell’inchiesta di Fanpage: https://www.youtube.com/watch?v=h1X-g7YbJzQ&t=303s .

giovedì 27 giugno 2024

Marina Berlusconi, Nello Musumeci e il liberalismo senza aggettivi

 


Non è corretto parlare di due destre, una liberale, una statalista. A questo pensavamo dopo aver letto l’intervista di Marina Berlusconi al “Corriere della Sera” e prestato attenzione alle dichiarazioni del ministro Nello Musumeci. Ci spieghiamo.

La prima, imprenditrice, figlia dello sdoganatore del Movimento Sociale, si è dichiarata in sintonia con la sinistra sui diritti civili (aborto, fine vita, Lgbt),la sua è una bella celebrazione della libertà. Il secondo, già missino sfegatato (scrisse un libro su Filippo Anfuso, ambasciatore fascista poi parlamentare missino, coinvolto nell’assassinio dei fratelli Rosselli), ora ministro, si fa bello annunciando una legge sullo spazio subacqueo. Siamo i primi nel mondo proclama. Certo, non bastano spiagge e mare, si vuole pure “demanializzare”, magari a colpi  di  droni sottomarini, il fondo del mare. Il suo è il classico brutto cantico dello statalista.

Si dirà che entro le 12 miglia marine già tutto è proprietà dello stato. E perché non venti, trenta, quaranta, eccetera? Mai mettere fine alla provvidenza statalista. In realtà è il principio ad essere sbagliato: il mare, con annessi e connessi, è di tutti, non dello stato o degli stati. La libertà dei mari è civiltà moderna. E liberale. Libera circolazione di uomini, idee, beni. Si chiama, ripetiamo, mo-der-ni-tà.

L’idea regolativa deve essere quello della libertà dei mari e non quella dello spazio marino tribale. Quindi tempo dei commerci non delle tribù. Si dirà, ma allora la difesa nazionale, le risorse costiere, marine e sottomarine? Lasciar fare, lasciar passare. Poi si vedrà.

Ricapitolando: per quale ragione non è corretto parlare di destra liberale e destra statalista? Perché un liberale è un liberale senza aggettivi.

Purtroppo la cultura statalista è molto diffusa. Probabilmente anche Marina Berlusconi pecca di statalismo riflesso, diciamo ambientale, quando si definisce di sinistra su certi temi. Non è di sinistra, né di destra, la figlia del Cavaliere è liberale tout court. Ormai è maggiorenne da un pezzo qualcuno dovrebbe dirle la verità.

Per contro Nello Musumeci neppure sa dove sia di casa il liberalismo. Gli manca quella che si potrebbe chiamare la normalità liberale. Sotto questo profilo è un anormale. Cioè, nel mondo moderno, la libertà è la norma: è ciò che è consueto, qualcosa di consuetudinario. Una tradizione: quel che ci si aspetta, diciamo “tradizionalmente” nei comportamenti, da se stessi e dagli altri. E Musumeci invece si aspetta solo l’intervento dello stato.

La libertà non è di destra né di sinistra è un modello e una pratica di comportamento che abbraccia tutti, a prescindere dalle scelte politiche.

Abbraccia? Diciamo abbraccerebbe, perché poi ci sono i Musumeci, che alla libertà dell’individuo oppongono la libertà dello stato. Se il liberalismo è libertà dallo stato, l’antiliberalismo è libertà dello stato. Di decretare, ad esempio, che spiagge, coste, e fondali marini sono suoi. Impedendovi qualsiasi attività, a cominciare da quelle economiche svolte da individui privati. Di qui il balletto fiscale a scopo di ingrossare le entrate statali: divieti, concessioni, licenze, permessi, eccetera, eccetera. Peggio della libertà-franchigia, concessa dai re e dagli imperatori medievali. Un bel tocco di modernità...

E non apriamo il discorso sui diritti civili, diritti che la destra, sempre dei Musumeci, giudica pericolosi per la società e lo stato. Non lo apriamo perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

Concludendo,  o  si è liberali senza aggettivi, o non si è liberali.

 Carlo Gambescia

mercoledì 26 giugno 2024

Piazzale Loreto, una storia infinita

 


Le amministrative sono andate male. E in Europa non è andata meglio. E allora Giorgia Meloni che fa? Ricomincia a fare la vittima: mi si minaccia di fare la fine del duce. Si evoca Piazzale Loreto. Tecnicamente si chiamano armi di distrazione di massa.

E sul punto anche la sinistra, come vedremo, ha le sue gravi responsabilità. Però, a dire il vero, tanto a destra quanto a sinistra,  non si tratta solo di vile retorica post elettorale. Piazzale Loreto è una specie di storia infinita. E spiegheremo perché.

Intanto, per quale ragione la sinistra non si fida di Giorgia Meloni? Perché – oggettivamente – Fratelli d’Italia è un partito che non hai mai fatto i conti con il fascismo. La sensazione, per un osservatore che scruti l’Italia dalla Luna, è di avere sotto gli occhi un partito che al momento non è fascista né liberal-democratico. Che però non fa alcuno sforzo, come prova il linguaggio della Meloni su Piazzale Loreto, per uscire dal guado in cui si trova. Diciamo che le tentazione fascista è forte, ma non se ne parla, mentre quella liberal-democratica è più apparente che reale. Nessuna conversione. Ma più semplicemente solo una serie di decisioni opportunistiche, non sentite, per conservare il potere sotto la pressione degli eventi. Si potrebbe parlare di una democrazia accettata per necessità (di potere), e pronta ad essere usata contro la democrazia.

Facciamo un esempio. Un leader liberal-democratico (no liberal, attenzione), se intervistato su piazzale Loreto, direbbe di vedere nello scempio il chiudersi di un ciclo politico, iniziato nella violenza cieca e finito in una violenza, altrettanto cieca. Semplificando: chi semina vento raccoglie tempesta. Inevitabile.

Giorgia Meloni invece, vi scorge solo la fine del ciclo, scollegata però dalla violenza inziale. E questo perché non ha mai fatto i conti con il fascismo. Perciò non accetta l’idea della inevitabile violenza finale racchiusa fin dall’inizio nelle uova del serpente. 

Qualcuno potrebbe dire che le "uova" furono "covate" anche dalla sinistra. Certo, ma si era comunque fuori dai principi liberal-democratici, rivolti alla neutralizzazione della violenza politica. Si dirà "solo" nei  principi.  Certo, ma non è  poco sul piano delle  rispettive idee regolative. Perché è proprio questo fattore culturale che segna la differenza tra liberalismo da una parte, e fascismo e comunismo dall'altra.

Estremizzando i concetti, per Giorgia Meloni, la Repubblica non è fondata sul lavoro, ma su un atto di ingiustizia: l’assassinio e il pubblico dileggio dei cadaveri del duce e di chi era con lui.

Anche la sinistra, attenzione, quando evoca Piazzale Loreto, non vi scorge l’inevitabile chiusura, diciamo da sociologia liberal-democratica (crociana se si vuole), di un ciclo basato esclusivamente sulla violenza. Cioè della chiusura di una storia e sociologia naturali del fascismo (per riprendere Hume). Ma vi vede un atto di giustizia umana. Un’ irruzione del Dea bendata nella storia. Per la sinistra la Repubblica è fondata sul lavoro e su un atto di giustizia: l’esecuzione del duce e l’ esemplare esplosione di sana rabbia popolare.

Di conseguenza i lanci e i rilanci retorici, tra destra e sinistra, rinviano alla mancanza di un approccio liberal-democratico alla questione di Piazzale Loreto. Non c’è maturità liberale né a destra né a sinistra.

 In sintesi: è vero, come dicevamo, che la sinistra non si fida di Giorgia Meloni, anche giustamente. Però a Piazzale Loreto atto di ingiustizia continua a opporre la versione Piazzale Loreto atto di giustizia. Invece di accogliere, una volta per sempre, la filosofia sociale liberal-democratica, per dirla alla buona, del chi semina vento raccoglie tempesta. Frutto di una sana neutralizzazione della politica in chiave sociologica, se si vuole metapolitica (come scienza delle regolarità, eccetera, eccetera).

In definitiva, destra e sinistra si muovono nell’ambito di una filosofia giustizialista della storia italiana.

Di conseguenza Giorgia Meloni, si crede un martire della storia, e la sinistra, invece, giudice della storia.

E così via, all’infinito, giocando con il fuoco della guerra civile…

Carlo Gambescia

martedì 25 giugno 2024

"Marina, Marina, Marina..."

 

 


Prima liquidiamo l’ignorante. Nel senso di chiunque ignori le basi della storia moderna. Oltre quelle della scienza politica (poi diremo). Parliamo del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Che uno storico del calibro di Armando Saitta, nei tempestosi anni Settanta, dopo una risposta del genere, avrebbe cacciato dall’aula. Ricordiamo un esame. Avevamo accompagnato in macchina un amico assistente in ritardo. Saitta dette giustamente il benservito a uno studente che aveva scambiato Pietro Verri, illuminista lombardo, morto alla fine del Settecento, per la precisione nel 1797, con Giuseppe Prina, odiato ministro napoleonico linciato dalla folla nel 1814.

Figurarsi che fine avrebbe fatto con Saitta Sangiuliano, che in pratica ha dichiarato che Colombo e Galilei passeggiavano insieme. O magari si scrivevano… Un ministro così ignorante (della storia moderna) dovrebbe dimettersi o essere dimesso subito.

Sangiuliano non è nuovo a queste cose: quando non era ancora ministro, uscì la sua prefazione a una pessima edizione di un capolavoro della scienza politica: La sociologia del partito politico nella democrazia moderna di Roberto Michels. Puro analfabetismo politologico, molto rozzo, all’insegna del Michels-è-di-destra-e-può-tornarci-utile-contro-la-sinistra. Michels ridotto a lottizzato Rai. Una vergogna (*).

E su Sangiuliano è tutto.

Ci ha deluso invece Marina Valensise (cognome illustre a destra, il padre, Raffaele, avvocato, fu per lunghi anni forbito parlamentare missino), oggi ottima firma delle pagine culturali del “Messaggero” ( e prima ancora del “Foglio”). Per quale ragione? Semplicissimo. Ha tradotto, studiato, collaborato, tra gli altri, con François Furet, il grande storico francese. Insomma donna dal serio passato accademico, prestigiosi incarichi istituzionali, con uso di mondo quindi, scrittrice colta e preparata. L’esatto contrario di Sangiuliano, analfabeta politologico, ora anche storiografico.

Dicevamo della delusione.

Sulla partecipazione italiana alla Buchmesse 2024 la destra non ha gradito una lettera di quaranta intellettuali italiani in cui si parla di spazi di libertà limitati in Italia, eccetera, eccetera (**). Del tema esclusioni, già ci siamo occupati (***). Nella polemica che ne è seguita, e che è ancora in corso, sono intervenuti alcuni intellettuali, diciamo non di sinistra, tra i quali Marina Valensise. Come per la monaca di Monza: la sventurata rispose. E cosa ha detto?

« “Anch’io – racconta all’AdnKronos la Valensise – ho ricevuto questa lettera e non l’ho sottoscritta. Penso che quando uno rappresenta l’Italia rappresenta il Paese e non il governo italiano. Andare quindi in una manifestazione internazionale con un animo ostile alle istituzioni non mi sembra che sia una scelta giusta”, osserva la Valensise che riflette: “Noi non ci muoviamo in un ambito locale, territoriale o comunale dove possiamo far valere le fazioni degli uni sugli altri, ma ci muoviamo in un ambito internazionale. Non rappresentiamo il governo, siamo rappresentanti della cultura e della Nazione italiana”. “Insomma – dice la Valensise – l’idea di porsi in una situazione di antagonismo con le istituzioni non mi sembra buona. Io per questo non mi sono associata”» (****).

Qual è il succo? Che uno scrittore prima di essere scrittore deve essere italiano.

Per parlare difficile: tipica logica olistica, molto pericolosa, perché vi prevale il tutto sulla parte. Con risvolti concreti: nessun antagonismo, eccetera, eccetera, con rischi involutivi fino al famigerato "credere, obbedire, combattere". Detto altrimenti: “la cultura” e la “Nazione italiana”, per usare le parole della Valensise, devono sempre prevalere sulle idee del singolo individuo, in questo caso l’individuo-scrittore. 

Una enormità che – diciamo per l’Italia – ci riporta agli anni bui del Ventennio, quando era Palazzo Venezia a dirigere la musica. Insomma non un  innocuo vintage, tipo le vanzinate al sapore di sale.

Crediamo non sia un problema di distinzione tra Governo da un lato e Nazione dall’altra. E nel senso inteso dalla Valensise. Cioè il governo può essere di destra, ma come italiano non sono di destra né di sinistra, quindi  devo  obbedire al canto della terra…

No, non può essere così. E allora? Lo scrittore è sempre un apolide (dentro, nell’anima) oltre che apota (come diceva Prezzolini), quindi, non ci sono governo, istituzioni, paese, nazione, terra che tengano. Ubi bene, ibi patria. Punto.

Insomma, se per Sangiuliano, si può parlare di richiamo dell’ignoranza storica (e politologica), per Marina Valensise invece non riusciamo a trovare una spiegazione plausibile. Richiamo della foresta “nera”, diciamo? Come è possibile, così colta e di mondo?

Come concludere? Non siamo, prima di essere scrittori, tutti italiani? E allora cantiamo: “Marina, Marina, Marina, O mia bella mora/ No non mi lasciare/ Non mi devi rovinare/ Oh, no, no, no, no, no…

Carlo Gambescia

(*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/09/un-michels-da-incubo.html .
(**) Qui: https://www.illibraio.it/news/editoria/italia-buchmesse-lettera-scrittori-1456705/ .
(***) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/05/buchmesse-2024-e-gacobinismo-culturale.html .
(****) Qui: https://www.adnkronos.com/cultura/buchmesse-valensise-si-rappresenta-litalia-e-non-governo-in-carica_6781sxkRX51RupqvIYDzIN .

 

lunedì 24 giugno 2024

Victor Orbán a Roma: “To Bruxelles with hate”.

 


Giunge a Roma Victor Orbán per incontrare Giorgia Meloni: To Rome with Love, per dirla con il titolo di un film di Woody Allen. O forse è meglio così? To Bruxelles with hate

In realtà, per l’Italia, l’Ungheria è un paese lontano e vicino al tempo stesso. Lontano per storia e tradizioni. Probabilmente l’ultimo richiamo interessante, dal punto di vista delle tradizioni liberali, rinvia, come una eco sempre più debole, alla figura ottocentesca di Lajos Kossuth, un combattente per l’indipendenza dagli Asburgo, una specie di Garibaldi, ben accetto alla sinistra risorgimentale italiana, di derivazione mazziniana o meno.

Invece l’Ungheria ci è vicina, soprattutto oggi, per la sintonia ideologica tra Viktor Orbán e Giorgia Meloni. Che si spiega con il fatto che, come per l'estrema destra italiana,  anche  la propensione ungherese per liberal-democrazia è sempre stata debole. L’Ungheria del Dualismo, all’interno dell’Impero asburgico, praticò un tipo parlamentarismo spurio e autoritario, dalle forti tinte nazionaliste,  oppressore di altre nazionalità non magiare, più della metà, incluse nella parte ungherese, della Duplice Monarchia.

Tra le due guerre mondiali L’Ungheria subì la dittatura militare di Miklós Horty, reggente e ammiraglio in un paese senza sbocchi sul mare e con una monarchia in liquidazione. Poi nel dopoguerra L’Ungheria fu ferocemente “comunistizzata” dai russi. Infine dal 2010 è al comando Orbán che controlla i tre poteri classici (esecutivo legislativo, giudiziario) e il quarto e il quinto, diramazione del primo (mass media e forze di polizia). Anche l’economia si muove intorno a potentati economici a lui vicini, come un tempo i grandi proprietari terrieri lo erano intorno a Horty. Il comunismo statalizzò tutto e liquidò fisicamente gli antichi e voraci magnati.

Oggi l’economia ungherese, altamente concentrata, si regge, come detto, sulla basi di un patto tra Orbán e i gruppi economici nati dalle privatizzazioni post comuniste, ovviamente guidate dall’alto. Per usare un’espressione trita ritrita. in Ungheria non si muove foglia che Orbán non voglia.

Sulla reazionaria ideologia professata da Orbán e dal suo partito Fidesz, tornata in voga tra le destre (cristiano-integralista, razzista, nazionalista, cesarista e plebiscitaria) inutile spendere altre parole. Il peggio che si trova in città…

Questo discutibile personaggio politico, dal 1 di luglio sarà presidente di turno Ue. L’incontro romano con Giorgia Meloni, di istituzionale ha ben poco. Le destre reazionarie (perché nemiche della modernità liberale) puntano a condizionare le prossime nomine Ue.
 

Il che sarebbe perfettamente normale, quasi di routine, se al posto di Giorgia Meloni e Viktor Orbán vi fossero due leader liberal-democratici, ma purtroppo così non è.  Come in certi incubi passato e presente sembrano mescolarsi. Non è  certamente un buon segno  che non pochi  giornali e siti abbiano  rispolverato il temine "asse".

Il punto è che la democrazia non offre garanzie sulla democraticità di coloro che vincono le elezioni. Che, come prova la storia del Novecento, possono tranquillamente essere nemici della democrazia che usano i mezzi della democrazia, per poi, una volta al potere, cancellare la democrazia. Ed è quello che sta facendo Orbán in Ungheria, dove la cosa è più semplice per le scarse tradizioni democratiche e liberali di quel paese. E come tenta di fare Giorgia Meloni, in Italia, patria del fascismo.

Al lettore attento non può essere sfuggito il fatto che abbiamo parlato di tradizioni democratiche e… liberali. E questo per una semplice ragione: se la democrazia non è liberale, il rischio che si corre è quello di vedere respinti i valori di libertà, attraverso strumenti come il plebiscito, quindi in modo ufficialmente “democratico”. Per dirla altrimenti: necrofori sono democratici, funerale di classe, ma alla democrazia.
 

Cosa vogliano dire? Che il liberalismo, tra le altre cose, è la barriera che impedisce alle maggioranze di opprimere le minoranze, agguantando un potere assoluto che non è liberale né democratico.

Orbán è al potere, e saldamente, da quattordici anni, la Meloni, appena da due, ma come prova ad esempio la legge sul premierato, non cederà tanto facilmente.

Si dirà, ma allora il lungo governo del centro-sinistra dopo Berlusconi? Il decennio craxiano? Il trentennio democristiano?

La verità è che nessuno dei predecessori di Giorgia Meloni aveva lo scheletro di Mussolini nell’armadio. Il “duce” non era né un democratico né un liberale. Fini, nel suo piccolo, molto piccolo, aveva provato a fare pulizia. La Meloni, da ex missina, rivendica. Oppure tace. E, come dice il saggio, chi tace acconsente.

Che tempi. Dover scrivere dei progetti di Giorgia Meloni e Viktor Orbán, che si incontrano a Roma. Dover spiegare la differenza tra liberalismo e democrazia, e soprattutto della loro  necessaria inseparabilità. Cose lapalissiane, in una società normale, moderna e per l’appunto  liberal-democratica.

Che malinconia. Inchiostro e (quasi) lacrime.

 

Carlo Gambescia

domenica 23 giugno 2024

Satnam Singh e il posto del disordine

 


 

La morte del povero bracciante indiano, Satnam Singh, ha scatenato a destra e sinistra il solito teatrino politico sui giri di vite. La destra vuole più controlli, non solo in entrata, la sinistra più regole e sanzioni sul posto di lavoro. Più stato insomma. Sul punto, destra e sinistra sembrano essere d’accordo.

Due sole note.

Prima osservazione, Mediaset e Rai – a partire dal telegiornale regionale del Lazio – avrebbero dovuto intervistare l’unico in grado di poter fare il punto: il sociologo Marco Omizzolo, autore di non pochi studi e saggi sullo sfruttamento dei braccianti indiani, in particolare di origine Sikh, nell’Agro pontino (*). Analisi dei fatti così approfondite al punto che Omizzolo oggi vive sotto scorta. Con i suoi lavori ha dato fastidio ai famigerati caporali che reclutano mano d’opera in nero tra i migranti.

Però Omizzolo non è stato invitato. Perché di sinistra. Ad esempio, quando il tg regionale era a sinistra, Omizzolo, e giustamente, perché grande esperto, veniva sentito e intervistato. Ora che è cambiato il padrone politico, Omizzolo è stato messo alla porta, per così dire.

Purtroppo la destra è fatta così. Si dirà che ricambia il trattamento ricevuto dalla sinistra. Bah… Per dirla con il marchese del Grillo, Omizzolo è Omizzolo, gli pseudo-intellettuali di destra non sono un cazzo (pardon). La sinistra studia, la destra nella migliore delle ipotesi fa finta. Come l’impiegato pigro delle vignette di una volta: si mette gli occchiali con gli occhi dipinti. Pietoso.

Seconda osservazione. Diciamo di merito. Il povero Satnam Singh, dopo l’incidente, non è stato soccorso dal suo datore di lavoro. Per quale ragione? Ora, a parte l’atteggiamento inumano (sottolineato da tutti), esiste un’altra ragione che potrà apparire paradossale. I controlli sul lavoro nero, sono fin troppi. Come pure sono gravose le multe amministrative e le sanzioni penali. Ma su di tutto, pesa la questione della clandestinità.

Procediamo con un esempio: se l’Italia fosse un paese aperto e non chiuso all’immigrazione, diciamo un paese di laissez faire, immigrati, non più clandestini, come Satnam Singh, avrebbero maggiori possibilità di essere accompagnati al pronto soccorso e forse salvati. Perché nessuno potrebbe contestare al datore di lavoro il reato di sfruttamento di manodopera clandestina. Diciamo, statisticamente, almeno un caso su due. 

Si rifletta su un punto. Cause di morte: cinquanta per cento di inumanità, cinquanta per cento di paura da sanzioni. Pertanto se, sul piano delle cause, la paura da sanzioni fosse rimossa, le probabilità di sopravvivenza sarebbero del cinquanta per cento. Mentre allo stato attuale  sono   pari a  zero.

Insomma, meno stato più mercato. Non ragioniamo da dottor Stranamore della sociologia, ma semplicemente rinviamo a una legge empirica di sociologia delle organizzazioni che insegna che i sistemi sociali quanto più sono complessi e vessatori (incluso quindi un sistema sanzionatorio), tanto più favoriscono comportamenti irresponsabili da parte degli attori sociali. Detto altrimenti, lo statalismo fa solo danni.

Pertanto, evocare l’implementazione (per dirla in sociologhese) di controlli sempre più estesi, insomma più stato, significa solo moltiplicare le evasioni. E altre morti, legate al combinato disposto “inumanità-paura di sanzioni”, come nel caso del povero Satnam Singh.

Ma allora lo sfruttamento, eccetera? Riguarda l’aspetto morale della questione, non quello sociologico. La sociologia ci dice, a partire ad esempio dalle ricerche di Boudon, che nel disordine c’è sempre un ordine. E che è proprio l’ordine a causare il disordine.

Omizzolo, ovviamente non sarà d’accordo con noi. La sua impostazione è “sanzionista” e umanitaria, però conosce la materia. E per tale ragione, ripetiamo, andava invitato e ascoltato.

Ma si sa, a destra, come diceva mio nonno, sono ciucci e presuntuosi.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui per i suoi libri: https://www.ibs.it/libri/autori/marco-omizzolo .

sabato 22 giugno 2024

Il domani potrebbe ( di nuovo) appartenere "a loro"

 


Chi scrive conosce bene la destra. Sul punto rimandiamo al nostro A destra per caso, un dialogo con Nicola Vacca, poeta e scrittore, pamphlet scritto a quattro mani che risale al 2009.

L’inchiesta di Fanpage (*) sui giovani di Fratelli d’Italia che cambiano il pelo ma non il vizio, in fondo,  non dice nulla di nuovo. Basta fare un giro in rete (case editrici, siti, gruppi e organizzazioni), per capire che la cultura fascista e della tentazione fascista è così ramificata che va ben oltre i quadri giovanili di Fratelli d’Italia. Partito che al momento vanta un nucleo duro di duecentomila iscritti. E  nel tempo del mugugno e del disimpegno non sono pochi.

Solo per dirne una, su YouTube è possibile visionare migliaia di video di ogni genere (documentari storici, inni, rivisitazioni musicali) con milioni di visualizzazioni e commenti a dir poco agghiaccianti. Perché non si tratta, come nell’inchiesta di Fanpage, di giovani, per così dire “acculturati”, che studiano da politici, e che quindi giocano su due tavoli, ma di gente comune, che non si fa troppe domande, che inneggia a Mussolini, Hitler, odia gli ebrei, i migranti, i “diversi” e soprattutto disprezza chiunque non sia fascista e nazista (**). La parola d'ordine, come nel Ventennio, è quella di dare addosso all' "anti-italiano".

Esiste un fascismo diffuso, per alcuni acquisito, per altri a livello di tentazione, che dal punto di vista quantitativo rinvia ai sette milioni di voti ricevuti da Fratelli d’Italia. Sappiamo di semplificare, però i numeri sono comunque interessanti perché spiegano, ad esempio, la capillarità dei commenti su YouTube. Su 50 milioni di potenziali elettori (inclusi gli italiani all’estero), una settima parte (7 milioni) vota per Fratelli d’Italia. Se poi si considera un 30 per cento di astenuti, il voto a Fratelli d’Italia rappresenta una quinta parte del totale dei votanti.

Perciò esiste una forte componente quantitativa di fascisti convinti e simpatizzanti, a vari livelli sociali, dentro e soprattutto fuori il partito, con prevalenza e provenienza dalla piccola e media borghesia, (ceto sociale maggioritario), di età media, pronta a fare il passo del gambero.

Non crediamo ci sia possibilità di conversione, ragionamento, comprensione, scambio di idee. L’odio verso la sinistra e i migranti, in nome del vecchio sogno ( o meglio incubo) di un’ Italia più grande e rispettata nel mondo (perché prepotente, ma questo ora non si dice) rappresenta il collante pseudo-ideologico che tiene insieme, studenti che inneggiano a Hitler, ragionieri che amano Mussolini, commercianti che disprezzano i migranti, artigiani e disoccupati anticapitalisti, militari che vogliono tornare  a comandare, pensionati arrabbiati con il mondo a prescindere, infine spostati di ogni genere, pronti a cogliere l’occasione (***).
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Qual è stata la riposta ottusa di Fratelli d’Italia all’inchiesta di Fanpage? Che è tutto falso (negando ogni evidenza) e che, se certe inchieste si devono fare, si facciano allora a sinistra, perché messa peggio.

Ora, un conto è il fascismo, che è reazione politica pura e semplice, quindi neppure conservazione, un altro il progressismo, che può essere contaminato dall’ estremismo, ma che non è sicuramente un fenomeno reazionario, regressivo, nemico della modernità.

Il problema che divide, se si vuole dirimente,  resta quello del giudizio storico sulla modernità. Il fascista è contro, il progressista a favore. Ovviamente la gente comune, pur vivendo di e nella modernità, neppure si rende conto della fortuna. Oggi qual è l’espressione più comune? “Le cose vanno sempre peggio”… In questo qualunquismo quotidiano per il fascista è facile catturare  il voto  del tentato dal fascismo.

Sì, come si canta in “Cabaret”, famosa pellicola sulla Germania weimariana, Il domani potrebbe (di nuovo) appartenere “a loro”.

 Carlo Ganmbescia


(*) Qui: https://www.fanpage.it/backstair/story/gioventu-meloniana-inchiesta-su-giovani-di-fdi/ .

(**) Per un esempio di “commenti tipo”: https://www.youtube.com/watch?v=YwsngZ57Gh4

(***) Qui per farsi rapida idea sulla composizione sociale dell’elettorato di Fratelli d’Italia: https://www.demopolis.it/?p=10613 .

 Sull'evoluzione sociopolitica di Fratelli d'Italia, si veda ma con cautela: https://rtsa.eu/RTSA_1_2023_Canzano.pdf . In questo saggio, pur interessante, non si considera dirimente la questione del giudizio negativo o meno sulla modernità, parificando così concettualmente conservatori  e reazionari fascisti.

 

venerdì 21 giugno 2024

“Autonomia differenziata”: una buffonata statalista

 


Il lettore avrà notato che sulle nostre pagine finora non si è parlato della  legge sull’ “autonomia differenziata”. Perché? Per la semplice ragione che si tratta di una questione tutta interna a una visione statalista della realtà. Roba da mandarini del welfare state.

Si rifletta sul punto: lo stato, anzi il macrostato, trasferisce alle regioni alcuni poteri ad esempio in ambito sanitario e fiscale, poteri che le regioni, come micro-stati, gestiranno in proprio, all’interno però di livelli minimi di prestazioni, uguali per tutti, si dice, stabiliti dal macrostato.

Sono virtuosismi redistributivi.  Giochi di prestigio welfaristi.  Dal  momento che in pratica per il cittadino non cambierà nulla. Il concetto base resta quello di prima. Uno sportello continuerà a dividere chi è dietro da chi è davanti. Anzi, probabilmente (basta farsi un giro nel Nord Est), i poteri pubblici, regionali, ad esempio nell’ambito del fisco, si faranno più occhiuti, perché più vicini, troppo diciamo, al cittadino. Insomma ci saranno maggiori controlli, altro che crescita della libertà… " Ho visto  il figlio della Rosa, con l'auto nuova,  manda un vigile...".

In realtà, la vera riforma, sarebbe quella di ridurre i poteri del macrostato, con effetto liberatorio a cascata, non sul microstato, ma sull’individuo, puro e semplice. La vera riforma è quella di fare a pezzi la gabbia di ferro del welfare. Per capirsi, meno o zero potere allo stato, più al cittadino. Altirmenti detto: lo stato ( e neppure la regione ovviamente) non è la soluzione ma è il problema. Concetto totalmente estraneo – purtroppo – alla ratio della legge sull’autonomia differenziata.

E infatti cosa accade? Che destra e sinistra, sul tenersi stretti i poteri pubblici, sono d’accordo. Vivono sulla gabbia di ferro.

E di che discutono allora? Di eguaglianza distributiva. 

La sinistra sostiene che questa legge dividerà le regioni ricche da quella povere. La destra  il contrario. 

Come se la qualità delle prestazioni dipendesse dal passaggio di poteri dalla burocrazia dello stato a quella della regioni. Sempre di burocrazia si tratterà. Criteri e mentalità saranno gli stessi di prima. 

Ripetiamo, il vero problema viene invece eluso. Dal momento che l'unica vera cosa da fare  sarebbe  quella di   privatizzare la sanità,  come altri settori ovviamente.  Partendo dal centro, e così via.  E non puntando sulla spartizione del bottino tra stato e regioni.

Insomma una buffonata statalista. Che barba, che noia.

Carlo Gambescia

giovedì 20 giugno 2024

Povero Montanelli...

 


Montanelli si sarà rigirato nella tomba: Giorgia Meloni alla festa dei Cinquant’anni del “Il Giornale”. Oggi esce pure una lunga intervista: soliti otto milioni di baionette (marchio di fabbrica), fiumi di disprezzo verso la sinistra (per ricompattare), e tracce evidenti di complottismo antieuropeo (per preparare possibili uscite di sicurezza).

Montanelli, nell’Italia del 1975, che andava decisamente a sinistra (qualcuno pure con il kalashnikov), grazie alla fondazione de “Il Giornale” tenne alta la bandiera liberale. 

È agli atti (si pensi alle varie biografie uscite su di lui) che Montanelli sosteneva una cosa molto semplice. Difendeva il principio al quale doveva e deve attenersi ogni buon giornalismo liberale: guidare il lettore, non lasciarsi guidare dal lettore. 

 Nel senso, per capirsi, di non essere mai più a destra ( o sinistra) del lettori. Si chiama equilibrio. E nasce da quel che un amico spagnolo, professore di scienze sociali, Jerónimo Molina, chiama l’ “immaginazione del disastro”. Cioè, capire che le parole sono pietre e possono fare danni, in crescendo fino alla guerra civile. O comunque, spianarle la strada. Quindi vanno ben scelte ed economizzate.

Una moderazione che dall’avvento in politica di Berlusconi, a cominciare dal “Giornale”, non è più di casa in Italia. E infatti ci ritroviamo con una ex missina, dalle saldissime radici fasciste ( o neofasciste, decida il lettore) al governo. Mentre “Il Giornale” di direttore in direttore, di estremismo in estremismo, è caduto sempre più in basso. In qualche modo, la presenza di Giorgia Meloni ai “Cinquant’anni”, lei così antiliberale, anticapitalista, “filo-occidentale” e “filo-semita” per caso (diciamo fin quando reggerà Biden), ricorda la foto che comprova il tradimento, scattata da un investigatore privato. Insomma, i fedigrafi a letto insieme.

Tradimento dei valori liberali. Roba da divorzio. E infatti chi scrive non ha più alcun rapporto con “Il Giornale” da almeno trent’anni. E c’è invece chi è andato in pensione passeggiando tra le rovine. Del resto la carne è debole... Scagli la prima pietra, eccetera, eccetera.

E qui si aprono alcuni  problemi. 

Può un liberale, che a fatica si riconosceva nei programmi di Berlusconi, votare Giorgia Meloni? Montanelli mai consigliò di votare Almirante. 

Può un liberale comprare e leggere “Il Giornale” tutti i giorni? No. Eventualmente sì, ma solo se iscritto, per parafrasare Magnotta, al partito dei Tafazzi. In effetti i delusi non sono pochi: la diffusione attuale è di trentamila copie.

Quando leggiamo, sotto la testata del “Giornale”, “ 50 anni contro il coro” (in realtà diciamo un ventina, fino al 1994) non possiamo non avvertire, per dirla all’antica, “un moto di sdegno”.  Un quotidiano,  un tempo elegante e forbito, politicamente e culturalmente aristocratico, oggi  finito nelle grinfie del volgarissimo trust giornalistico di destra, proprietà dell’imprenditore Angelucci. Per buttarla sul romanzo d'appendice,  si pensi alla contessa decaduta,  finita  a fare la governante presso  una  famiglia di parvenu.

Purtroppo, ora le cose vanno così. Per dirla con uno dei massimi filosofi del Novecento, Rino Gaetano: “Chi porta gli occhiali, chi va sotto un treno/ Chi ama la zia, chi va a Porta Pia/Ma il cielo è sempre più bluuuuuuuuu”.

Ecco “Chi legge il Giornale, chi vota Meloni/ Chi non lo legge, non la vota e si è rotto i…” Lasciamo all’immaginazione del lettore. Basta possedere un minimo di senso della rima baciata…

Carlo Gambescia