Abbiamo tutti visto le tristi immagini di Ilaria Salis “in catene”.
Indubbiamente un trattamento del genere, diffuso non solo in Ungheria, è umiliante, soprattutto nel caso di condivisione del principio della presunzione di innocenza. Cioè del principio che un imputato non è colpevole fino a sentenza definitiva.
Va precisato che all’uso delle semplici manette, per i trasferimenti dei detenuti, per non favorire la fuga, si ricorre in tutto il mondo. E nessuno ha nulla da ridire.
Per contro, resta meno frequente il ricorso al medesimo trattamento, talvolta aggravato dall’uso di catene, all’interno delle aule di giustizia, in rispetto, come detto, del principio della presunzione d’innocenza. Al quale, cosa non secondaria, si usa affiancare giustamente il principio del trattamento dignitoso della persona.
Un essere umano in catene, in un’aula di giustizia, ma anche dietro le sbarre ( si pensi ai processi a mafiosi e terroristi in Italia) non è uno spettacolo degno di una società che aspiri a difendere giuridicamente i diritti dell’uomo.
Insomma, resta una questione di civiltà giuridica. In Ungheria, evidentemente, le idee di pericolosità e di possibile fuga di un imputato prevalgono su qualsiasi altro principio.
Qui però si apre un altro capitolo. Come deve comportarsi un governo dinanzi al triste spettacolo di un suo cittadino trattato in modo umiliante da un altro governo? Deve intervenire? Oppure no? Ed eventualmente in che modo? La difesa dei diritti dell’uomo, come provò per la prima volta il Secondo conflitto mondiale, si fonda su una spirale, che va dalla protesta diplomatica, passando per le sanzioni, fino al conflitto armato.
Non è facile dare risposte univoche. Però una linea di comportamento si può indicare.
Diciamo subito che quando si tratta di dinamiche individuali, non collettive come potrebbe essere un’invasione militare, si deve partire da una valutazione del senso di responsabilità individuale del singolo cittadino coinvolto.
Si prenda il caso di Ilaria Salis. Non era in Ungheria per turismo. Sebbene, debba essere provato, la si accusa di fare parte di un’organizzazione paraterroristica tedesca “antifascista”, denominata “Hammerbande” (“Banda del martello”), resasi responsabile in Germania di aggressioni fisiche a militanti di estrema destra. Sembra perciò che la Salis fosse in Ungheria con intenzioni bellicose. La polizia ungherese la accusa di aver aggredito alcuni membri di un movimento neonazista, che però avrebbero riportato lievi ferite. Secondo i suoi difensori non sarebbe stata arrestata in flagranza di reato.
Dicevamo della responsabilità individuale. Ilaria Salis, probabilmente non ha mai letto Pascal, in particolare il passo dei Pensées che segue. Oppure lo ha letto, ma ne ha trascurato la lezione.
“Nulla si vede di giusto o di ingiusto che non muti col mutare di clima. Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche; l’entrata di Saturno nel Leone segna l’origine di questo o quel crimine. Singolare giustizia che ha come confine un fiume! Verità di qua dei Pirenei, errore di là”.
Non dovrebbe essere così. Ma purtroppo è così. Non c’ è accordo in questo mondo sull’ idea di dignità umana, come pure sul valore della presunzione di innocenza. Ora, quando si tratta di un intero popolo, come fu in occasione della Seconda guerra mondiale, quando l’Occidente si oppose a Hitler, invasore e distruttore di popoli, autentico nemico dei diritti dell’uomo, non ci si può tirare indietro: “Mors tua vita mea”.
Ma quando si tratta di questioni che rinviano all’individuo, insomma a criteri di prudenza personale, si deve lasciare che l’individuo paghi le conseguenze delle proprie azioni. Ilaria Salis non poteva non sapere quale sorte le sarebbe toccata, in caso di violazione delle leggi, al di là dei Pirenei ungheresi.
Attenzione, nulla di personale o di ideologico: a situazione rovesciata, cioè se si trattasse di un militante di destra, la nostra argomentazione non muterebbe di una virgola.
Crediamo perciò che dal punto di vista governativo la responsabilità individuale rappresenti la bussola per orientarsi in casi come quello di Ilaria Salis. Quando si decide di praticare sport politici estremi, diciamo così, non si possono ignorare le conseguenze dei propri atti…
Ovviamente, la logica della responsabilità individuale non va recepita e applicata quando sia in gioco il destino di interi popoli impunemente aggrediti. Si pensi, da ultimo, al caso dell’Ucrania invasa dai russi e giustamente aiutata dall’Occidente.
Ovviamente, ripetiamo, vedere un essere umano in catene, rattrista e ferisce. Però chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Carlo Gambescia
In un caso del genere la prima cosa che viene da chiedersi e' se tali misure di sicurezza siano commisurate alle accuse blande e tutte da provare, così come il trattamento carcerario, che se vero e' ai limiti della vessazione, perciò ci sta che lo stato italiano si interessi con la controparte ungherese e faccia pressione, rientra nelle logiche delle statualità e del diritto internazionale credo, poi da qui a farne sostanza di dibattito politico mi pare del tutto pretestuoso oltre che stupido e acritico. Comunque si pensi anche al caso Regeni, li' l'esito fu tragico, certamente l'abuso della violenza mille volte condannabile, però il giovane ricercatore percorreva a sua volta una strada molto pericolosa, scelta liberamente e probabilmente con un certo coraggio e sprezzo o sottovalutazione dei pericoli e quasi mai nessuno ha sottolineato che tale esito potesse rientrare, anche se non voluto, nei rischi del mestiere. Perciò anche qui la polemica politica che talvolta riaffiora circa i rapporti di cooperazione economica o diplomatica dell'Italia con l'Egitto mi sono parsi fuori fuoco o sbaglio?
RispondiEliminaGrazie del commento. Concordo con lei. Però alle “logiche della statualità” preferisco quelle della responsabilità individuale ( a meno che non si tratti di aggressioni collettive). Ovviamente è un mio punto di vista.
RispondiEliminaDiciamo che ritengo che quel che fa lo stato sia realisticamente inevitabile (non caratterizza uno stile di governo troppo nazionalisticamente improntato), concordo quindi con lei che sarebbe sanamente liberale lasciare che se la veda la famiglia o chi per essa,magari che si muovano reti informali ecc. senza mobilitare le istituzioni. Questo serpeggia spesso nel sentire comune che dice: perché devo pagare io (inteso le mie tasse) chi si va a cacciare nei guai con i suoi viaggi?
RispondiEliminaProprio così. Grazie ancora della replica.
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