domenica 11 febbraio 2024

Riflessioni sul “Giorno del ricordo”

 


Rai a parte, che con i Tg ha celebrato soprattutto un’ impettita Giorgia Meloni, sul “Giorno del ricordo” la stampa (di destra e di sinistra) ha tenuto basso profilo. Però con modalità diverse.

La sinistra, incluso “Avvenire” (sempre così attento alle vittime anche del più lillipuziano conflitto), ha relegato la celebrazione nelle pagine interne. La destra invece, pur ritagliando modici spazi in apertura, ha puntato non tanto sulla memoria dei poveri infoibati quanto sulla successiva “congiura del silenzio”, durata, si dice, fino agli anni Duemila.

Detto in pillole: alla destra continua a interessare non tanto il prima quanto il dopo. L’importante è attaccare la sinistra che a suo dire avrebbe nascosto e addirittura difeso le stragi di italiani. Il che ha un suo fondamento. Sebbene sulla memoria di quelle povere vittime pesassero, e non poco, le ragioni politiche della Cortina di ferro e degli schieramenti internazionali dai quali Tito sembrava voler fuoriuscire, strizzando l’occhio all’Occidente. E ovviamente, anche la disgrazia di avere in Italia il più forte partito comunista europeo con il quale si doveva comunque convivere. Questione complesse insomma, non riducibili alle ragioni dell’nazionalismo viscerale, a sfondo anticomunista, dei fascisti dopo Mussolini.

Vogliamo pronunciare una parola di verità, e con tutto il rispetto per le vittime italiane, sul “Giorno del ricordo”? Troppo fascismo, troppo nazionalismo, troppo odio da guerra civile. Siamo davanti a una celebrazione troppo ideologizzata. Non riunisce, divide. Dispiace dirlo, perché fu “Liberazione”, ma sembra una specie di controcelebrazione del "25 Aprile". Attenzione, pensiamo  al bellicoso "25 Aprile" dei comunisti contro i fascisti. Si pensi a  una prosecuzione - da tutte e due le parti -   della guerra civile con altri mezzi. Ideologici. "25 Aprile" contro "Giorno del ricordo". E viceversa.

Quel che diciamo può apparire un’enormità,  perché riapre le ferite (in verità mai chiuse) dell’annosa questione fascismo-antifascismo. Come si può fare un paragone del genere?  Si può fare. Basta accantonare le mitologie, contrarie e uguali,  di destra e sinistra. Però, per oggi,  ci fermeremo qui. Non andremo a caccia di altri guai.

Però una cosa va detta. E qui la sinistra ha ragione: su quei poveri disgraziati pesa ancora l’ombra di Mussolini, che non fece mai nulla per fermare l’ ottusa opera italiana di snazionalizzazione delle popolazioni di origine slava. E che, peggio ancora, nel 1943-1945, chiuse gli occhi sui crimini dei nazisti, che ormai governavano direttamente e ferocemente quelle terre.

Purtroppo, l’idea che si è materializzata in  quasi venti anni di celebrazioni, almeno agli occhi di qualsiasi osservatore neutrale, è quella di una commemorazione “contro”. Divisiva, ripetiamo. Contro la sinistra e contro il comunismo. La stessa Meloni, ieri in quel di Basovizza, ha parlato ancora una volta di “congiura del silenzio”, concetto ricattatorio, profondamente divisivo, frutto velenoso del rancore ideologico di un fascismo che tuttora non accetta la  sconfitta.

Il che non significa giustificare la terribile reazione, nazionalista e comunista al tempo stesso, dell’ armata rossa slava.

Però, che ne penserebbe la Meloni, dell’istituzione di un “Giorno della vergogna”? Il 10 giugno 1940, quando Mussolini decretò, con al polso l’orologio della storia, l’ ingresso  in guerra dell’Italia? Una guerra ingiusta, disastrosa e distruttiva? La “guerra del Duce” causò circa trecentoventimila caduti tra i militari e centocinquantamila vittime tra i civili, tra i quali le duemila- cinquemila delle Foibe.

Ovviamente, una celebrazione del genere, sarebbe altrettanto contro. Quindi divisiva. Ecco perché i morti di qualunque colore andrebbero lasciati riposare in pace. Certo, dopo aver dato loro giusta sepoltura e aiutato i superstiti. Ma senza rancori e proclami. Da tutte le parti, ovviamente.

Carlo Gambescia

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