venerdì 9 febbraio 2024

Donald Trump e il principio di legalità

 


Sembra che la Corte Suprema degli Stati Uniti sia propensa a non escludere Trump dalle primarie repubblicane del Colorado, favorendo la sua corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Si tratta di una decisione satura di conseguenze, perché, sebbene si tratti di primarie, è in gioco la questione della violazione o meno della costituzione da parte dell’ex presidente.

Quando si vanno a esaminare le ragioni pro e contro si nota subito una cosa. Che le memorie presentate favorevoli a Trump giocano sui cavilli legali, ad esempio come quando si sostiene che il 14° emendamento, quello che impediva ai ribelli sudisti di farsi eleggere al congresso, non riguarda espressamente i candidati presidenziali. Quindi parliamo di forma. Mentre le tesi contrarie rimandano alla sostanza, cioè alla manifesta volontà di Trump di impedire con la forza, quindi con la ribellione, un normalissimo trasferimento di poteri dopo un’elezione perduta.

Interpretazioni formali o sostanziali? Il problema non è secondario. Perché sembra che la Corte Suprema punti a lavorare sulle prime. Il che però potrebbe aprire a Trump le porte delle competizione presidenziale. E potenzialmente – ma per molti osservatori inevitabilmente – quelle della Casa Bianca.

In realtà, la vera domanda da porsi è la seguente: possono le liberal-democrazie affossare se se stesse, favorendo, come in questo caso, i nemici della liberal-democrazia? Insomma, è legittimo dal punto di vista, dei principi liberali, eleggere un nemico dei principi liberali, perché la sua esclusione sarebbe dubbia dal punto di vista del principio di legalità? Perché, si dice, la decisione di escluderlo creerebbe un pericoloso precedente, come base legale, per altre sentenze similari, con grave danno per la libertà politica di tutti?

Si dirà che nessuno può stabilire il tasso di liberal-democrazia di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti. E quindi di escludere a priori. Non esiste la possibilità di misurare oggettivamente il tasso di liberal-democrazia come avviene per il tasso di glicemia nel sangue di un individuo. Pertanto, nessuno può dire se Trump, il 6 gennaio del 2021, desiderasse imporsi con la forza, violando,a sua volta, ogni di principio di legalità come di legittimità.

La tesi, appena ricordata, è rivendicata dai sostenitori, per così dire, neutralisti di Trump. Quanto ai non neutralisti, cioè ai militanti veri e propri, va detto che dipingono Trump come un perseguitato politico, una vittima dei diabolici poteri forti, e così via.

Queste considerazioni – neutraliste o meno – sono di sostanza. Sono le stesse che favorirono non tanto la semivittoria elettorale di Hitler nel novembre del 1932, quanto la sua nomina a cancelliere nel gennaio del 1933. Hindenburg, presidente della Repubblica di Weimar, fidandosi di Hitler, cioè chiudendo gli occhi sul tasso inesistente di liberal-democrazia del partito nazista, consegnò la Germania nelle mani di chi l’avrebbe distrutta. Ovviamente Hindenburg, militare prussiano, non era un professore di liberal-democrazia.

A queste considerazioni, aggiornando la questione, ne vanno opposte altre sempre di sostanza: Trump, a prescindere dall’accertamento della sua volontà di ordinare o meno l’assalto al Campidoglio, non è un leader liberal-democratico: negli anni si è circondato, proprio perché ne condivide le ragioni profonde, di consiglieri dalle idee razziste, complottiste, se non addirittura fasciste come Bannon. Dagli scritti e discorsi di Trump viene fuori un odio per le istituzioni liberal-democratiche e per la democrazia rappresentativa che non spiacerebbe ai suoi nemici storici, a cominciare da Donoso Cortés. Quanto all’assalto del Campidoglio, non esistono precedenti del genere a livello presidenziale. E dal momento che nessun presidente sconfitto può essere collegato a iniziative del genere, evidentemente, nel caso di Trump,  personaggio dai precedenti culturali (di cultura politica) impresentabili,  non può trattarsi di una pura coincidenza.

Perciò Trump, politicamente parlando, è molto pericoloso. Dal momento che una presidenza semifascista, o se si perferisce cesarista-plebiscitaria, introdurrebbe notevoli elementi di instabilità nella politica americana e mondiale.

Anche le nostre, ripetiamo, sono considerazione di sostanza.

Riassumendo, da una parte c’è la Corte Suprema, che asserisce di ragionare in termini legali, formali, dall’altra sostenitori e avversari di Trump che oppongono, nascostamente o meno, ragioni di sostanza.

E qui va sottolineato un fatto: in realtà anche la Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, al di là delle dichiarazioni ufficiali, sembra essere dal punto di vista sostanziale su posizioni neutraliste (“non si può fare l’analisi del sangue al candidato, eccetera, eccetera”). Atteggiamento che però rischia di favorire la caccia,  sul piano formale, al cavillo legale,  per consentire a Trump di candidarsi.

E qui torniamo al quesito iniziale: è legittimo dal punto di vista, dei principi liberali, favorire l’elezione di un nemico dei principi liberali ribadendo il valore del principio di legalità?

Qui il dilemma.

Carlo Gambescia

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