martedì 6 febbraio 2024

Le “guerre pacioccone” degli agricoltori

 


Oggi torniamo sulla protesta degli agricoltori. Perché va oltre gli agricoltori. Perché oltre? Per la semplice ragione che dietro la protesta degli agricoltori, diciamo come motivazione, si nasconde una visione dell’economia di tipo corporativo e assistenzialista. Che in fondo tutti i protagonisti politici e sociali accettano e alimentano.

Corporativo, nel senso di una categoria professionale che difende in modo intransigente i propri particolari interessi e privilegi.

Assistenzialista, nel senso che gli agricoltori fruiscono di sovvenzioni pubbliche a fondo perduto sul piano italiano ed europeo.

Due fenomeni tipici della modernità economica sono la crescita dell’estensione delle aziende agricole e la cospicua riduzione degli addetti. Per capirsi, rispetto a un secolo fa, oggi bastano poche imprese e pochi addetti per perseguire una produttività soddisfacente.

Un fenomeno che si è verificato anche in Italia. Tuttavia il vero problema dell’agricoltura italiana è la scarsa competitività estera. Il sistema vive praticamente di autoconsumo nazionale. Il chilometro zero, di cui si blatera tanto, è una triste realtà.

Evitiamo di indicare cifre, per non confondere le idee dei lettori. Lavoriamo invece sui concetti: sulla struttura logica della questione. Sarà poi il lettore, se vorrà, a documentarsi e verificare le basi statistiche della nostra tesi (*).

In realtà si tratta di un quadro economico autarchico, in cui i prezzi dei prodotti agricoli sono tenuti artificialmente bassi grazie a un sistema di sovvenzioni e incentivi. Però, si faccia attenzione, i prezzi non sono così bassi rispetto ai prezzi che si potrebbero contrattare sul mercato mondiale. E qui – sulla difesa del protezionismo – si inserisce la protesta degli agricoltori. I quali temono di perdere il trattamento privilegiato che li mette al riparo dalla concorrenza estera.

Pertanto non si tratta di una battaglia per i profitti, ma per le rendite. Il conflitto segreto è tra rischio aziendale e protezionismo aziendale; tra un’entrata insicura, dettata dal calcolo costi-ricavi, e un’ entrata sicura, dettata da un flusso continuativo di denaro pubblico.

Ciò significa che i tagli temuti, al di là delle problematiche congiunturali legate alla cosiddetta transizione ecologica, rinviano a un fatto strutturale: la crisi fiscale dello stato, perché le uscite (le spese pubbliche) superano le entrate (in imposte, tasse e tributi vari). Ecco il lato nascosto ma pericoloso della versione agricola, per così dire, di quel baraccone che si chiama welfare state.

Va ripetuto che la politica dei sussidi è europea. Perciò, in qualche misura, pur con varianti nazionali, le ragioni delle proteste sono le stesse: più corporativismo, più assistenzialismo. Il tutto, ripetiamo, in un quadro autarchico. Dal momento che l’agricoltura europea è nelle mani di pochi addetti, che non permettono intrusioni dall’estero  e temono come la nuova peste  il progresso scientifico e tecnologico in campo alimentare.

E qui si pensi alle crociate antidiluviane  contro OGM e carne sintetica. “Lo cavalcone è saldo”, nel senso dell’agricoltura, così com’è oggi. Questo il mantra degli agricoltori assistiti. Uguale  a quello  del  monaco Zenone dell’ “Armata Brancaleone”, interpretato da Enrico Maria Salerno, che precipita nel burrone, dove aver saltellato su un ponte sospeso – “lo cavalcone” – ritenuto saldo.

In realtà, siamo davanti a un sistema di agricolture nazionali, pronte a entrare in conflitto le une con le altre, però finora tenute a bada da un sistema di sovvenzioni e sussidi, contrattato. Quindi frutto di compromessi tra l’Unione Europea e i suoi membri, e all’interno di ogni paese membro: “lo calvalcone” degli interessi particolari può però crollare in qualsiasi momento…

Certo, si dirà che tutto sommato al consumatore europeo non manca nulla, quindi il sistema autarchico funziona. Quindi “lo cavalcone è saldo”.

Non è così. Perché con una reale apertura ai mercati mondiali i prezzi dei prodotti agricoli italiane ed europei potrebbero essere molto più bassi. E a  trarne vantaggio sarebbe invece proprio il consumatore. L’apertura però metterebbe fuori gioco gli agricoltori europei e italiani. Di qui, il “quieta non movere” (“non muovere le cose tranquille”): vero e proprio ordine di scuderia a livello istituzionale, economico e sociale.

Una passività che nutre i programmi governativi, specie a destra, per la sovranità alimentare: una sovranità costosa. Cosa sulla quale si tace, a cominciare ovviamente dagli agricoltori. I quali invece alimentano le leggende metropolitane sugli avvelenatori stranieri, eccetera, eccetera. E  naturalmente sui miracolosi vantaggi per la salute del chilometro zero...  Che cari.

In fondo, si dice, che problema c’è? Il consumatore si accontenta, l’agricoltore è contento, e tutti insieme portano voti ai governi, di destra o sinistra che siano.

Pertanto i blocchi e le marce del cosiddetto “esercito dei trattori”, ricordano le “guerre pacioccone” di Attalo, al secolo Gioacchino Colizzi, un brillante disegnatore di vignette , oggi dimenticato. “Guerre” che per dirla alla buona finivano a tarallucci e vino.

Non per nulla i “soldati” dei trattori sono stati invitati da un Amadeus benedicente al Festival di Sanremo.

Officerà padre Fiorello.

Carlo Gambescia

(*) Qui i dati per l’economia italiana: https://italiaindati.com/settori-economia-italiana/ ; https://www.infomercatiesteri.it/osservatorio-economico-interscambio-commerciale-italiano-mondo.php# . Qui  i dati europei: https://agriculture.ec.europa.eu/data-and-analysis/markets/production-data_it .

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