mercoledì 17 novembre 2021

“GOMORRA” E LA RAPPRESENTAZIONE DEL MALE

 

In principio era “La piovra”. O forse ancora prima il ciclo statunitense del “Padrino. Oppure ancora più indietro i polizieschi americani degli anni Trenta e soprattutto Quaranta-Cinquanta, approdati nell’ Italia in trasformazione, anche culturale, del lungo dopoguerra.

Dicevamo in principio, e alla fine? “Gomorra”, ovviamente, grande successo, aureolato di impegno civile (l’idea libro è di Saviano), cosa che non guasta mai. Come, un tempo, per le tavolette di cioccolata patriottica, prodotte da un certa ditta, per i combattenti al fronte.

In realtà, il male ha sempre attratto gli uomini. Basta sfogliare la Bibbia. Il bene un poco meno, talvolta quasi per niente. Il punto è che con la società di massa, e fenomeni conseguenti, il male, anzi la rappresentazione del male, è diventata un affare. Un modo, come è giusto che sia, anche per fare soldi.

Però, esistono due modi di rappresentazione del male al cinema, in televisione, nei libri, eccetera.

Il primo è quello della banalità del male. E qui si pensi a una serie, tuttora cult, come quella statunitense dei “Soprano”. Dove il “mafioso medio” è tutto casa e “lavoro. Fuori è violento e cattivo, quasi senza rendersi conto, dentro (la famiglia in senso ristretto, moglie e figli), paga le bollette, accompagna i figli a scuola, fa progetti, è buon patriota, eccetera, come qualsiasi normale e banale genitore americano.

Il secondo è quello dell’eccezionalità del male. Il criminale, mafioso o camorrista, è sempre crudele, maschilista, assetato di potere e soldi, “dentro” e “fuori”. La violenza non è un lavoro dalle nove alle cinque, ma un’opera d’arte ventiquattr’ore su ventiquattro. Si pensi ad esempio a certi film di Tarantino, dove addirittura i criminali si atteggiano a filosofi a tempo pieno.

Però il vero quesito è perché, in società come le nostre, imbevute di valori pacifisti, la violenza, soprattutto se a “fin di male”, attragga così tanto la gente.

Gli studiosi di polemologia sostengono che tutta questa violenza sublimata sembra rivelare la mancanza di una violenza vera, legata a una guerra generale, di tipo convenzionale. Alcuni ricercatori hanno addirittura imputato alla Guerra Fredda e agli arsenali atomici, quindi all’impotenza militare reciproca, il decollo nelle sale del film poliziesco, violento, zeppo di eroi negativi.

Secondo gli storici della letteratura l’eroe negativo sarebbe il portato del tardo romanticismo, abbattutosi culturalmente su Hollywood, e poi di rimbalzo sul mondo intero fino a colonizzarne l’immaginario

Il che apre la porta alla questione del catastrofismo culturale. All’ insana passione, sempre secondo alcuni ricercatori, per la fine dei tempi, per l’apocalisse, virale, ecologica, criminale, eccetera.

Sul punto specifico gli psicologi sociali ritengono che il catastrofismo in realtà non sia altro che rimozione di un bene, che poi non è bene, ma un certa visione del bene, tipica delle società occidentali dedite ai consumi. Quindi il fascino della “caduta”, diciamo anche nel male, rinvierebbe a un rapporto insoluto, e per certi aspetti contradditorio, degli uomini con la società moderna.

Dicevamo all’inizio della Bibbia, come esempio letterario, dell’attrazione del male. In realtà, in questo libro fondamentale per capire i valori della civiltà occidentale, il male, seppure rappresentato, non resta mai impunito. Sullo sfondo c’è sempre la giustizia divina eccetera. Non è banale né eccezionale, è il contraltare del bene: se non ci fosse l’uno non ci sarebbe neppure l’altro, e cosa più importante per alcuni, neppure dio.

Oggi però – e questo è il prezzo, più o meno giusto, che devono pagare le società secolarizzate – dio, come si leggeva un tempo, è morto, e con dio anche l’idea di bene, come fatto sociale e idea regolativa. E di riflesso anche quella di male.

Per pochi è rimasto l’imperativo categorico kantiano, tutti gli altri, i molti, si arrangiano. Non tanto nel senso dostoevskiano, del “tutto è permesso”, ma di commettere o non commettere il male secondo la convenienza, oppure – e qui si tratta della maggioranza, fortunatamente – di sublimarlo mangiando pop corn.

Il che per alcuni osservatori è un bene, per altri un male. Chi scrive, ritiene che non sia né l’uno né l’altro. Detto altrimenti:  oggi gli esseri umani si esprimono così. 

Fermo restando che esisterà sempre un rapporto insoluto e contraddittorio tra uomo e società.  Di conseguenza,  i giudizi di valore sul nostro tempo potranno emetterli soltanto gli storici e i sociologi del futuro, ma solo limitatamente alla propria epoca rispetto alle precedenti.

Ciò significa che nulla è definitivo, il male come il bene. E il nostro è un giudizio di fatto, non di valore.

Che puoi suoni pilatesco, è altra cosa.

Ma, diciamola tutta, cosa poteva e può essere non pilatesco? Riconoscere il figlio di dio al primo colpo. Non si chiede troppo all’uomo?

Carlo Gambescia

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