sabato 13 novembre 2021

 


 

Enrico Letta sembra condividere quella che forse è la critica più dura  alla democrazia parlamentare.  Ascoltiamolo:   

« “Di Quirinale si parlerà a gennaio, anche perché io non ho mai visto in questi decenni un presidente della Repubblica scelto con mesi d'anticipo. Quindi quello che accade in questi giorni è solo un chiacchiericcio che distrae dalle cose importanti”» (*).

Per un liberale, un vero liberale non esiste il “chiacchiericcio”. Esiste invece la discussione. Nella cui forza, come fattore sostitutivo delle pallottole e della caccia al dissenziente, o  si crede o non  si crede.

Come ogni tipo di  regime politico, anche quello liberal-democratico,  è fondato, su un pregiudizio, che, in termini di teologia politica, può essere definito un atto di fede, diciamo laico. 

Resta interessante ricordare che il  principale critico del liberalismo nel XX secolo, Carl Schmitt, in uno scritto  del 1923, andò alle radici del problema, sviluppando la lezione di Donoso, pensatore controrivoluzionario. 

Schmitt  ravvisa  nel principio della discussione, che secondo i liberali  avrebbe dovuto  contrastare  “la forza e il potere come fatti bruti”, qualcosa di totalmente  irrealizzabile.  Perché, a suo avviso,  il vero potere  resta ben  fuori dai parlamenti.  Sicché la discussione  non è  che un volgare chiacchiericcio, per  coprire con un velo di inutile verbosità, la debolezza costitutiva delle istituzioni parlamentari (**).

Schmitt ammette ma non concede  che  le origini  del principio della discussione pubblica  debbano essere  giustamente ravvisate nell’opposizione liberale alla segretezza, anch’essa, fattore  costitutivo ma delle monarchie assolute.

In sintesi:  se il principio, per così dire operativo, dei regimi liberal-democratici è  la discussione pubblica, quello dei regimi politici assolutisti rimanda alla  segretezza.

Schmitt sostiene, e con ragione,  che  la dinamica sociologica insegna che a decidere, prescindendo dal tipo di regime.  sono sempre in pochi. Però sottovaluta un fatto: che la liberal-democrazia  ha introdotto il principio di tolleranza e di riconoscimento paritario dell’avversario.

Nella pur civile e “democratica” Atene l’avversario politico  veniva esiliato o  giustiziato. I  regimi assolutisti successivi non furono da meno. Come prova, per  quanto simbolicamente, la presa della Bastiglia. 

Pertanto,  il principio liberale della discussione tra pari  rappresenta una novità storica assoluta: si può dissentire, e pubblicamente, senza finire in prigione. 

Principio  di cui però  gli uomini  abusano. Pertanto le critiche di Schmitt, il quale, tra l’altro, non offre soluzioni se non il rafforzamento semidittatoriale dell’esecutivo,  si riferiscono agli abusi.  

E in che cosa consistono questi abusi?  Nella  trasformazione,come nel caso di Letta, del principio della discussione in una risorsa politica.           

Cosa vogliamo dire?  Quando Letta accusa,  gli altri (gli avversari politici), di  chiacchiericcio, pur sapendo che anche  tra i suoi parlamentari  si “chiacchiera” a proposito del  prossimo presidente della Repubblica, riduce il principio della discussione a mezzo politico, quindi a risorsa, da impiegare, contro l’avversario. Come? Applicando  a un principio, quello della discussione, una duplice verità, diciamo di comodo. 

Quale? Semplificando: quando  chiacchierano  "i nostri", si deve parlare di  nobile principio della discussione, quando  chiacchierano  "i loro", si tratta invece di vili e inutili chiacchiere.

Il che va nella direzione opposta alla neutralizzazione di un principio di discussione che invece dovrebbe essere accettato da tutti, come una specie di “atto di fede” A prescindere dalla provenienza politica. 

Letta,  che  tra l’altro insegna scienze politiche, dovrebbe conoscere a memoria gli effetti devastanti sugli elettori della denigrazione reciproca  tra i membri dei Parlamenti.

Gli elettori, infatti, non si fanno troppi problemi.  La logica è quella elementare dell' eliminazione del male alla radice.  Ne consegue l'inevitabile richiesta di giustizia sommaria dei cosiddetti nemici del popolo, che secondo un noto stereotipo reazionario vivrebbero lussuosamente a spese degli elettori.   

Purtroppo, si è persa nel tempo, a destra come a sinistra,  la consapevolezza politica dell’unicità storica dell’esperimento liberale. Una coscienza  presente  in un grande  politico liberale dell’Ottocento come Guizot, tra l’altro rispettato da Schmitt. 

Ovviamente, la dinamica politica  sociale  ha necessità di un nemico, e ciclicamente cerca  di imporsi  ai disegni umani di  “normalizzazione”. Nessuno lo nega.  

Pertanto il liberalismo ha un risvolto triste,  tragico se si vuole,   che a molti uomini  politici sembra sfuggire: da un lato,  la realtà spinge -   per semplificare  -   verso la “denigrazione reciproca”,  dall’altro la ragione liberale,  tenta di resistere, per la prima volta nella storia, alla vulcanica forza della lotta per il potere.

Carl Schmitt  sosteneva che non c’era nulla da fare: i regimi liberal-democratici erano condannati a perire per  ragioni sociologiche  e storiche. 

Tuttavia  il suo realismo politico, se non lo spinse (del tutto) tra le braccia di Hitler, denigrando il principio della discussione, ne favorì l’ascesa.

E anche queste sono cose che Letta dovrebbe sapere.


Carlo Gambescia 


(*)  Per il passo citato cfr. qui:  :  https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/11/12/quirinale-letta-mai-visto-un-presidente-scelto-in-anticipo_19204d86-7c63-4e42-8693-699b6223e6ad.html  .
                           
(**) Si veda  C. Schmitt, “Parlamento e democrazia”, Marco Editore, Lungro di Cosenza 1998, pp. 40-42.

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