martedì 11 agosto 2020

“La caccia ai politici furbetti”
L’estate del nostro  imbecille scontento


Come  ha  fatto l’Italia a ridursi  così?  Questa, se ricordiamo  bene, era la domanda finale che si poneva  Ethan Hawley a proposito però del suo personale declino morale.  Parliamo del   protagonista,  de  L’ Inverno del nostro scontento,  romanzo di John Steinbeck.  Noi invece, noi italiani,  siamo in estate, tutti molto  presi  a inseguire il tracciato dell’imbecillità  umana. Che stiamo facendo?  La madre di tutte le guerre da autentici  imbecilli scontenti:   diamo la caccia ai "parassiti" politici,  percettori del bonus  populista spettante ai  lavoratori autonomi… 
Un vero sport di massa. Le prime pagine  parlano solo di questo e con toni  a dire il vero che sarebbero  degni di miglior causa.  Eppure è  così.  In un’Italia nelle mani di un governo autoritario, che governa per decreti, indebitata fino al collo, disertata dai turisti, con file di negozi chiusi, che si fa?  Si dà la caccia, tra gli altri,  a cinque deputati ricchi e felloni che avrebbero ottenuto il bonus togliendo ai dentisti  bisognosi.
Si sta veramente toccando il fondo dell’imbecillità.  Imbecille. Che significa questo termine, in apparenza dal significato scontato? Stando ai vocabolari l’imbecille è  una “persona di limitata capacità  di discernimento e di buon senso”,  “un ottuso, che si comporta come tale”.   Ora  non  c’è nulla di più imbecille del moralista stolido  che si accanisce su chi non si può difendere perché ha contro un’opinione pubblica di massa, altrettanto imbecille,  che favorisce  una vera e propria caccia alle streghe.     
     
Si dovrebbe invece riflettere sull’idea stessa di bonus, che come ogni misura assistenzialista,  di tipo universalista ( non solo “tutti i cittadini” ma attenzione anche, di volta in volta,  “tutte” le partite Iva, “tutti” i pensionati, “tutti” i lavoratori dipendenti, eccetera),  mette le varie categorie nelle condizioni, come si dice nel gergo welfarista, “di accedere” e  “fruire” in chiave universale.  Ma non troppo, perché il bonus welfarista  provoca conflitti di stato sociale, del tipo  "perché tu sì, io no?",  "Anche tu? Ma non ti vergogni?", e così via. 
Si dirà, allora  perché non restringere in base al reddito certe misure?  Già fatto. Perché in realtà i seicento euro di bonus rinviano alla fascia socialmente maggioritaria di coloro che sono sotto i 35 mila. Tra i quali  vi  sono alcuni politici,  ai quali evidentemente, a parità di normativa, il sostegno spetta. Si chiama “stato di diritto”, o se si preferisce uguaglianza dinanzi alla legge. Una conquista moderna, dopo secoli di durissime divisioni della società in stati privilegiati.   
L' imbecille scontento non comprende che il  paradosso della spesa pubblica,  vero braccio armato del welfare, è  rappresentato  dalla cosiddetta eterogenesi dei fini. Detto altrimenti,  si vuole il bene si ottiene il male.  Non si vuole lasciare nessuno indietro, come si sente ripetere, ma così facendo si distrugge   il moderno  stato di diritto  favorendo il ritorno  dello stato degli stati di ancien  régime.

Ci spieghiamo meglio: dal momento che il sostegno al reddito rimanda a una molteplicità di situazioni particolari, pur accomunate dall’appartenenza alla stessa fascia di reddito, inevitabilmente sorgeranno incongruenze e scontentezze di tipo morale, tanto più gravi quanto più la  morale sociale sarà dettata dagli imbecilli scontenti, che pur di avere ragione sarebbero disposti all’affossamento dello stato di diritto, introducendo  una specie  legislazione, tipica del mondo pre-moderno,  secondo lo stato sociale (allora preti, aristocratici, oggi  partite Iva)  per fasce di reddito, con i politici per primi a pagarne le conseguenze.   In realtà,  quanto più aumentano le fasce di reddito, a causa delle misure welfariste, tanto più, ripetiamo, si moltiplicano le incongruenze e conseguente scontentezza. Ecco spiegata l'eterogenesi dei fini.  
Sicché, in sintesi e per uscirne fuori:  meno welfare, meno  imbecilli scontenti. Piaccia o meno ma le cose stanno così.   

L’ Italia si è ridotta a  “dare la caccia” al  “politico furbetto”    perché welfarista   e populista al tempo stesso. Il welfarismo ha origini nella storica diffidenza italiana, da parte di cattolici, socialisti, fascisti e comunisti,  verso la moderna economia di mercato; il populismo nel disprezzo, a dire il vero storicamente ciclico,  verso le istituzioni liberal-democratiche, risorto con Tangentopoli e  acuitosi maggiormente con  la crisi della Seconda Repubblica e del populismo soft  berlusconiano.
E così oggi siamo qui a scrivere dell’estate del nostro imbecille scontento. Che malinconia.

Carlo Gambescia