giovedì 6 agosto 2020

Zavoli,  Accame  e l’interpretazione del fascismo

Tra i  meriti  di Sergio Zavoli, scomparso alla venerabile età di  novantasette anni, c’ è  quello di aver affrontato lo studio del fascismo senza complessi politici di sorta. “Nascita di una dittatura”, programma  trasmesso dalla Rai  nell’autunno del 1972 (poi condensato in un magnifico libro l’anno successivo, prefato da De Felice),  resta un modello di obiettività e di documentazione (anche per le interessanti interviste alle personalità dell’epoca, allora ancora vive). Un  giornalismo di tipo storico dove i fatti parlano da soli,  distinto  da una sana storicizzazione-neutralizzazione degli eventi, pur non glissando sugli effetti di ricaduta, non sempre privi di pericoli. 
Il che però riconduce all’incapacità intellettuale, tuttora diffusa,  della sinistra e della destra  di prendere le giuste distanze,  non solo storiografiche,  dal fascismo.  Probabilmente  alla base del fenomeno  c'è la mancata o incompleta accettazione della società aperta da parte della sinistra marxista o postmarxista  come della destra nazionalista e antiparlamentare. Una specie di fronte comune del rifiuto che deride e contrasta i presupposti  della società liberale:  dall’economia di mercato alle istituzioni rappresentative, dall’importanza di un discorso pubblico privo di toni forti e scomuniche  alla motivata  e ragionata difesa  dei diritti civili ed economici, da un sano relativismo, anche epistemologico (la "neutralizzazione" di cui sopra) a una conseguente retorica della transigenza.

In Italia una vera e propria modernizzazione culturale, come pacifica "laicizzazione" del dibattito politico,  non si è mai avuta  o comunque non del tutto. Un  piccolo  esempio personale.
Nel 2018,  a nove anni dalla morte di Accame,  pubblicai un saggio su di lui,   per chiarire - a grandi linee, concentrando la mia attenzione solo sui suoi libri -   alcuni aspetti del pensiero di un intellettuale di destra,  aperto alla modernità e quindi in grado  di  intuire i pericoli di una destra, in particolare la postmissina, “sdoganata” da Berlusconi ma refrattaria a modernizzarsi culturalmente:  una pomposa  “destra di governo” incapace però   di accettare sul piano culturale quella retorica della transigenza  che caratterizza la democrazia liberale, una retorica innervata nell'etica,   frutto di una sincera  riflessione storica sulle guerre di religione,  guerre purtroppo riaccesesi  in  versione totalitaria nel Ventesimo secolo.
Non voglio sembrare  presuntuoso, ma  fino alla pubblicazione del mio saggio su Accame,  nessuno  a destra sembrava ricordare  la grande lezione di questo validissimo intellettuale.  Dopo di che però, nell’arco di neppure due anni,   sono di nuovo  usciti  i suoi  principali lavori,   da me attentamente valorizzati  e citati come esempi di un approccio  transigente alla grande questione della società aperta. 
Tuttavia il punto dolente dell'intera operazione editoriale è rappresentato dal fatto  che l’approccio dei curatori continua a riflettere  un  processo di  integrazione passiva nell'odiato "sistema". Semplificando, magari  trivialmente: “Facciamo finta, prendiamo il potere, poi saldiamo tutti conti”. Un approccio che  presuppone  un' interpretazione ideologicamente ortodossa  del pensiero di  Giano Accame,  come fascista duro e puro,  mai pentito,  un difensore dell’Idea, uno dei Nostri eccetera, eccetera.   

Ora,  non si può negare che  nell’opera  di Accame  sia rinvenibile qui e là un complesso rapporto di amore e odio  con la cultura della destra post-fascista (da ultimo si veda il composito La morte dei fascisti). Una cultura che per dirla brutalmente nella versione italiana resta di una arcaicità politica unica: praticamente irricevibile, come  certo paleomarxismo caro alla  sinistra.  
Però è altrettanto vero  che dalla lettura  dei  suoi libri  in particolare quelli storici,  da  Una storia della Repubblica a Socialismo tricolore  e (perfino) La destra sociale (ricco di  osservazioni storiche), non può non evincersi  uno sforzo, seppure tormentato,  di superamento di inibenti archetipi ideologici. Una sincera tensione intellettuale che si estrinseca in  un approccio -  un metodo, per capirsi -  che ricorda quello di Zavoli.  E cosa non secondaria e  non facile per un giovanissimo volontario della Rsi,  si prolunga in Accame nella storicizzazione - se si vuole, neutralizzazione -  del rituale modello della  “tentazione fascista”, tuttora amatissimo negli ambienti missini e postmissini.   Il suo è  perciò  un realismo storico che si  apre alla modernità politica ed  economica, quale accettazione, senza riserve mentali,  della società aperta e di una sana retorica  della transigenza. Senza la quale  si rischia sempre  di cadere nelle sabbie mobili del totalitarismo.     
Ecco,  Zavoli e Accame,  due esempi di grande giornalismo e di onestà  intellettuale.  Che la terra sia loro lieve.

Carlo Gambescia