domenica 2 agosto 2020

Lessico politico 
I “negazionisti” del Covid

Si legga su  Wikipedia  la voce “negazionismo”. Dopo aver  sviluppato e ricondotto l’argomento a coloro che negano l’ Olocausto, o comunque un evento storico di natura genocidaria, vi si accenna al fatto  che nel  2015-2016 “il programma televisivo Le iene  ha svolto   diverse indagini su medici regolarmente iscritti all'albo che negano l'esistenza del virus dell’HIV, che a loro dire sarebbe solo un'invenzione delle case farmaceutiche per incrementare i profitti” (*).
La lettura della voce Wiki è interessante  perché, complottismo o meno,  indica la data di inizio  sul piano mediatico  almeno per l’Italia,  della pericolosa trasposizione lessicologica di un concetto riservato a un evento unico come la Shoah,  in  ambito sociale molto più esteso,  con tutte le conseguenze del caso.
Un passo, indietro.  In alcune nazioni  come il Belgio, la Germania e l’Austria,  il negazionismo verso la Shoah è considerato un reato e punito in  termini di legge.  La stessa Unione Europea, con apposito provvedimento, ha chiesto  agli  stati membri di   introdurre  nella propria legislazione penale i  reati contro il negazionismo. 
Ciò significa, tralasciando per un momento  la natura unica del tentativo di  sterminio del popolo ebraico, che il termine negazionismo, sociologicamente parlando, porta con sé l’ inevitabile adozione di misure repressive.  
Ecco l’iter sociologico: si comincia con lo squalificare l’avversario come “negazionista”, accusandolo qualunque sia la sua tesi (dall’ HIV al Covid, come sta appunto avvenendo),  di mentire su  un fatto storico,  realmente accaduto, per poi perseguirlo penalmente fino a imprigionarlo. 

Ora, quel che può essere valido, anche per l’inconfutabilità delle prove, per la Shoah,  non può esserlo per altri eventi, dove i criteri di valutazione non possono definirsi oggettivi.  
Si rifletta su un punto: in qualche misura, coloro che usano il concetto di negazionismo a tutto campo, si propongono di ricondurre le  tesi contrarie -  sviluppate  negli  ambiti più diversi e lontani dalla Shoa -  alla stessa  carica di odio racchiusa nel Mein Kampf: un odio virulento che avrebbe condotto alla soluzione finale. Il che per Hitler è vero.  Però è scorretto, estendere il "vizietto" hitleriano (la carica di odio) a ogni “negazionismo”, solo per combattere idee  che non collimino con quelle dominanti.
Si potrebbe parlare di tentativo -  questa volta con fondamento  -  di reductio ad Hitlerum. Ossia di porre la discussione  su  un piano dove qualsiasi tesi contraria a quella ufficiale, o addirittura del governo,  può essere tranquillamente  respinta perché, si dice, viziata dallo stesso  odio di Hitler verso gli ebrei, un odio frutto  -  e nel caso del dittatore tedesco resta vero - di pregiudizi razziali e manie xenofobe.   Di qui,  la necessità di misure penali volte a liberare l’umanità dai nuovi piccoli Hitler "negazionisti"  nei riguardi del  Covid.
Qualcuno potrà pensare malevolmente,  che in principio fu la Shoah.  No.  Il  programmatico sterminio degli ebrei da parte di nazionalsocialisti e sodali  resta un fatto unico e storicamente provato. Un evento terribile. Che non deve mai più accadere. 

Non è invece sociologicamente unico il processo di trasposizione lessicologica, “con finalità di egemonia sociale”, per dirla in sociologhese,  di un concetto da un campo ristretto a un altro più vasto, come sta avvenendo  ai danni dei   “negazionisti” del Covid, tra i quali vi sono fior di scienziati. 
Vilfredo  Pareto nel suo celebre Trattato di sociologia,  parlò, già un secolo fa, di “istinto delle combinazioni”. Cioè della capacità  umana di usare fatti veri, associandoli ad altri falsi, per perseguire obiettivi legati al consenso politico. Sul tema, come processo di auto-persuasione al falso-vero, intervenne con un magnifico libro (L’arte di persuadere se stessi), anche Raymond Boudon. Ed è esattamente quel che sta accadendo. Forse, senza che gli anti-negazionisti se ne rendano conto... Come dire? Post hoc ergo propter hoc. Dopo Hitler, dunque a causa di Hitler.  
Ciò  non significa che nel dibattito pubblico sul Covid, e soprattutto sulle misure politiche varate, non vi siano minoranze  “negazioniste” particolarmente fantasiose, addirittura dai tratti buffoneschi, controbilanciate  però da  altre minoranze   ragionevolmente  preoccupate per la sorte delle libertà individuali, composte di intellettuali, studiosi, scienziati che si attengono semplicemente ai fatti.
Il punto è che una legislazione contro il negazionismo del Covid, purtroppo sociologicamente prevedibile,  metterebbe in prigione gli uni e gli altri.                       

Carlo Gambescia