martedì 29 maggio 2018

Euro. Botta e risposta tra Teodoro Klitsche de la Grange e Carlo Gambescia   
Meglio Sciaboletta...
di Teodoro Klitsche de la Grange



La crisi istituzionale innescata dal rifiuto di Mattarella di firmare la nomina di un euroscettico come Savona nel governo M5S-Lega, ricorda tante cose. Di una voglio scrivere: che il tutto fa pensare a detti ed atti di Vittorio Emanuele III. Il quale, partecipando al convegno delle potenze dell’Intesa dopo Caporetto disse che “in guerra si va con un sacco per prenderle e con un bastone per darle”. La massima, essendo la guerra la continuazione della politica con altri mezzi, si può applicare anche a quest’ultima.
Onde se si deve trattare una revisione della politica e/o dei trattati con l’Europa, è chiaro che un governante italiano, il quale tuteli gli interessi dell’Italia deve, non fosse per altra ragione che per rafforzare la propria posizione negoziale, prevedere – e prospettare – che in caso di mancato accordo, l’Italia sia disposta a decisioni più dure, fino ad uscire dall’euro. Con riflessi - forse - negativi (per tutti).
Ma se il suddetto negoziatore esclude, al momento di iniziare la trattativa di giocare il proprio “tris d’assi”, state sicuri che, di fronte a tanta eurodevozione, i vari Juncker, Merkel (e annessi e connessi) risponderanno con buffetti e parole commoventi di elogio, apprezzamento ed eterna amicizia. Ma lo lasceranno con poco o nulla nel carniere.
Se la Thatcher fosse andata a trattare in Europa, invece che ripetendo i celebri tre “No” alle richieste di Delors, e prima avvertendo che voleva indietro i quattrini della Gran Bretagna, l’avrebbero accontentata con le bazzecole. Oltretutto la “Dama di ferro” avrebbe dato un pessimo esempio se, per così dire, fosse stata di gomma. Un esempio fatto d’imperizia (nella cura dell’interesse nazionale), pavidità e scarsa dignità.
Forse è (anche) a quei tre “no” che si deve la decisione sulla Brexit: ma è comunque certo che i negoziati condotti dalla Thatcher diedero un assetto al rapporto Europa/UK stabile per oltre un trentennio: a conferma del fatto, spesso ripetuto nella storia, che, gli accordi durevoli si fanno a) con i nemici o reali avversari; b) sulla base di interessi (reali) e non su idee o aspettative astratte e future. Per cui mandare in Europa un ministro già pronto con il cappello in mano e la lingua pendula non è una furbizia  ma un esempio di complice dipendenza.
A seguire la regola – realistica – del sacco e del bastone, oltre a guadagnare in dignità, spesso i risultati non sono deludenti. A Caporetto seguirono le battaglie del solstizio e Vittorio Veneto: esito positivo di una anno iniziato assai male.
L’altro atto di Sciaboletta da tenere a mente in questa vicenda, è quando “dimissionò” Mussolini per rovesciare le alleanze, al fine di evitare, o almeno limitare le sofferenze di una guerra ormai perduta.
Se il Re e Badoglio avessero preso come vincolo immodificabile il patto d’acciaio, come oggi gli eurodipendenti quello sull’euro (e non solo), l’Italia sarebbe uscita dalla guerra ancora più distrutta della Germania: Torino, Genova e (forse) Roma come Amburgo e Dresda. Con qualche milione di morti italiani in più.
Ciò perché il criterio della politica non è il rispetto dei trattati, delle norme, dei valori (ecc. ecc.) ma il perseguimento (e la tutela) dell’interesse nazionale. Quando vincoli normativi, interni o esterni entrano in conflitto con l’interesse nazionale è questo che deve prevalere e non quelli.
Cosa che un noto neofita della politica come Bismarck ripeteva dicendo che i trattati sono “pezzi di carta”; e uno dei pensatori politici il quale, pare – l’abbia, almeno in parte, ispirato, come Lassalle scriveva che anche le Costituzioni sono “pezzi di carta”. Quel che conta sono gli interessi (e gli assetti) che determinano norme, trattati, Costituzioni.
Perciò preferisco Sciaboletta.
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


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Interesse nazionale?
di Carlo Gambescia




Il pur  interessante articolo dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange  contiene  un errore nella premessa: l’idea di interesse nazionale  non rinvia alla scienza politica,  a una scienza (per dirla con Pareto) tesa a studiare i residui (ciò che permane del comportamento collettivo), ma all'analisi  delle derivazioni (ciò che gli uomini usano per coprire i moventi reali delle proprie azioni  sociali).
Facciamo solo un esempio. A proposito del “Patto d’Acciaio”,  Klitsche de la Grange,  nota che in nome dell’interesse  nazionale fu giusto uscire da quel Patto, “dimettere” Mussolini, eccetera, eccetera.  Diciamo invece, che in nome dell’interesse nazionale  quel Patto con la Germania nazista, non andava proprio firmato, come non andava intrapresa -  prima -  alcuna politica imperialista e bellicista. 
Però, ci si può rispondere,  che l’interesse nazionale  italiano, allora,  era quello “del posto al sole”.  E non quello "panciafichista"  dell’Italietta in pantofole di Giolitti e, prima ancora, di  Visconti Venosta.  Appunto. Quel che vogliamo sottolineare è  che  sull’idea di quale sia il vero interesse nazionale, dal momento che il concetto  rinvia alle autogiustificazioni (frutto di visioni differenti della storia nazionale e delle sue prospettive), tutte più o meno "devozionali", non ci può essere, né ci sarà mai, alcun accordo. Quindi, il dato costante, eventualmente, non  è l’interesse nazionale, ma  la reinvenzione e opposizione tra le diverse idee di interesse nazionale, di volta  in volta rilanciate,  dalle diverse correnti politiche, sul piano degli "assetti e degli interessi" e dunque, inevitabilmente, in nome di  una qualche "idea di futuro" . 
Non esistono,  insomma,  interessi puri separati da valori puri.  Persiste sempre, però, un mix di norme e interessi. Pareto, in questo caso,  parlava di "istinto delle combinazioni", come innata capacità dell'uomo di manipolare interessi e valori. Il "pezzo di carta" bismarckiano-lassalliano non riflette un principio di scienze politica, ma la volontà, storicamente contestualizzata, del  Bismarck Cancelliere di avere mani libere, prima per l'unità tedesca, poi per mantenersi al centro dello scacchiere continentale: un mix di interessi e valori, di presente e futuro.  Sul quale, nella stessa Germania non c'era comune accordo. Come proverà la storia successiva, da Guglielmo II a Hitler.    
Per venire all’oggi, per alcuni è interesse nazionale restare nella UE, per altri  non condividere l’Euro, per altri ancora, uscire dall’UE e dall’Euro.   Chi ha ragione?  Per quel che ci riguarda, siamo tra  coloro che ritengono sia interesse nazionale dell’Italia restare nella UE  e nella sfera dell’Euro. Ma, ecco il punto, non ci sogniamo assolutamente di difendere la nostra opinione evocando la "scientificità" di principi pseudoscientifici, come quello dell’interesse nazionale.  Magari,  ricorreremo, anche noi, ad altri idola tribus, però, in mondo consapevole, evitando di  mescolare ragione e sentimento, scienza e romanticismo politico.
Quanto a “Sciaboletta”, Vittorio Emanuele III,  diciamo che la sua visione dell’interesse nazionale collimava con quella dinastica. Prima consegnò l’Italia a Mussolini, poi gliela strappò, solo per salvare il Trono ai Savoia.  Quindi  non sembra un buon esempio. Cioè, eventualmente lo è, ma come indicatore delle varie e  numerose declinazioni dell’interesse nazionale.  
Quanto alla tesi che bisogna andare sempre a trattare a muso duro,  diciamo che, solo per fare altro esempio,  la politica di   Visconti Venosta e di Giolitti-Antonino di San Giuliano, definita, ad esempio negli anni del Fascismo, fin troppo arrendevole, nel primo caso, consolidò la politica estera italiana, nei difficilissimi anni della Destra Storica, nel secondo caso, ci fece guadagnare la Libia, senza inimicarsi nessuno. Per contro su Crispi e Mussolini, sempre pronti a picchiare per primi, crediamo sia meglio stendere un velo pietoso.
Infine, la grandissima "The Iron Lady"  rappresenta piuttosto l’eccezione che la regola. Eccezione costituita,  in primo luogo,  dall’insularità imperiale della Gran Bretagna  e, in secondo luogo,  da una tradizione di grandi leader conservatori, tutta gente di carattere,  da Disraeli a Churchill.  Insomma, siamo su un altro piano, anche psicologico.  Diciamo stratosferico. 
Come dire? Caro Teodoro, scherza coi fanti, ma lascia stare i santi… 

Carlo Gambescia