venerdì 25 maggio 2018

Premessa all'articolo di Teodoro Klitsche de la Grange
"Servilisti" di chi?  
Dei "sovranisti"...
di Carlo Gambescia






Pubblico l’ articolo dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange,  pur non condividendo la sua analisi. Di qui, la necessità di una premessa.  Quali sono i punti di di disaccordo?
Diciamo che  l’Unione Europea non è l’Impero Austro-Ungarico. Detto altrimenti:  il Congresso di Vienna era una cosa, i Trattati di Roma un’altra.  Nel primo caso i popoli  furono veramente trattati come mandrie di buoi.  Nel secondo caso, siamo invece  dinanzi  all'esercizio di un  atto libero. O comunque davanti a  una sacrosanta  risposta, liberaldemocratica, alla "guerra civile europea" provocata dal nazional-imperialismo nazi-fascista e sovietico. Frutto, quest'ultimo,  di un  odio  per ogni diversità, che non ha nulla a che vedere con il Risorgimento italiano. Al riguardo  si pensi  agli ottimi  libri di  Namier e Chabod (un polacco naturalizzato britannico e un valdostano), dove si distingue assai bene tra spirito di nazione e nazionalismo, tra risorgimento nazionale  e  stato come serbatoio della razza o della classe. Pertanto, a proposito di San Tommaso direi che  un' elegante astrazione di filosofia politica, resta tale.  Quindi, pur con tutto il rispetto dovutogli, lascerei il Dottore della Chiesa  alle sue teorizzazioni astoriche e asociologiche, se non proprio antistoriche e antisociologiche.
Inoltre,  è vero che Salvini e Di Maio non vogliono occupare l’Albania o  Tripoli. Per ora, però. Perché non va dimenticato che populismo e leghismo, alle cui fonti avvelenate  i due politici attingono, sono l'ennesima reincarnazione, con variazioni contestuali sul tema,  del romanticismo politico fascista e nazista.  Quindi si tratta di puro  occasionalismo. Insomma, semplificando,  all'occasione, per dirla con Totò,  potrebbero sconsideratamente  " buttarsi"  in avventure politiche più grandi di loro.  
Infine, su Vittorio Emanuele Orlando sarei più cauto.   La pur meritoria classe politica liberale  - di cui Orlando, Presidente di una vittoria nella Quarta Guerra d'Indipendenza secondo la lezione dell'interventismo liberaldemocratico, era insigne esponente -  strizzò  però l’occhio a Mussolini, gettando  alle ortiche le libertà statutarie. Sicché,  molti liberali, pur comprendendo  quasi subito l'errore commesso, accettarono l’abbraccio liberticida delle camicie nere. Orlando, a dire il vero,  di lì a poco,  si rese conto  di  aver  confuso la dittatura vera di Mussolini con quella parlamentare di  Crispi e Giolitti. Però anche quello fu un atto di servilismo, degli eredi di Cavour,  verso un vincitore. Un atto di sottomissione, come dopo la Marcia su Roma,   che  a differenza del Trattato di Pace del 1947  al quale  seguì una fase di ricostruzione, crescita economica e sviluppo delle libertà,  pose le basi storiche della successiva rovina.  E, indirettamente, della  sconfitta e del conseguente severo trattamento politico da parte delle potenze vincitrici.
A tale  proposito,  è bene ricordare  agli antiamericani nostrani, di ieri come di oggi, tra i quali ritroviamo molti "sovranisti" (quando si dice il caso...),   che  sovietici e  britannici, a differenza degli Stati Uniti,  volevano imporci condizioni  molto più dure.  Certo, anche l'Atlantismo, dal punto di vista, teorico, se si vuole astratto, rappresentò una forma di sudditanza geopolitica, quindi si   trattò comunque  di male. Ma - attenzione -   di male minore ( e qui, il De malo dell'Aquinate, se proprio si desidera scomodarlo, forse potrebbe dirci qualche cosina...), considerato il tipo di vita che si conduceva nell'immenso campo di prigionia  delimitato  dalla Cortina di Ferro.  E comunque sia,   sempre meglio del male assoluto, rappresentato da Hitler e dai suoi carnefici in uniforme bruna.   
Concludendo (con un amichevole appello), caro Teodoro,  tu sei liberale come me. Pertanto, cerchiamo insieme di evitare gli stessi errori. Fascisti, razzisti e  sovranisti  lasciamoli al loro destino. Evitiamo "noi", con la nostra cultura e intelligenza,  di fare da "servilisti" a certa gentaglia politica. Evitiamo, insomma, di tirare la volata  (intellettuale) ai nemici della libertà.        

Carlo Gambescia




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La riflessione
Sovranisti e "servilisti"

di Teodoro Klitsche de la Grange




Da qualche anno, da quando sono stati coniati i neo-logismi sovranismo e sovranista (probabilmente dal francese) il pensiero “politicamente corretto” (e relativi pensatori) si è lanciato in una, per esso abituale, opera di screditamento e demonizzazione. Sovranismo sarebbe un’ideologia guerrafondaia (??), passatista, dittatoriale, egoista e così via. I sovranisti poi demagoghi, ignoranti, cattivi, maleducati e cafoni (oibò!)
Sarebbe facile screditare questa ennesima campagna di (preteso) discredito con cui la classe dirigente in decadenza cerca di arrestare il volgere degli eventi, tutt’altro che propizi a quella, quanto favorevoli alle élite cafone. Un paio di perché – e un suggerimento (ripreso da fonte autorevole) - vorrei comunque proporre.
Il primo: a leggere la Treccani il significato di sovranismo è di “Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”.  A seguirlo, bisogna cominciare con lo svalutare del tutto il nostro Risorgimento, e buona parte della storia moderna. I costruttori dello Stato nazionale italiano (da Cavour a Garibaldi, da Vittorio Emanuele II a Mazzini), forse non erano dei damerini (il Savoia era anche un po’ grossier) ma sicuramente non avrebbero acconsentito – il Piemonte prima, l’Italia poi tanto da fare quattro guerre all’uopo – che in nome di qualche idea, si fosse limitata l’indipendenza dell’Italia. Se per Metternich l’Italia  era un’ “espressione geografica” per loro era una comunità politica. E per esserlo doveva avere l’indipendenza (dalla volontà) e dagli interessi di altre potenze (e popoli). Del pari non avrebbero mai preteso di occupare Vienna, Praga, Lubiana o Zagabria (tant’è che neppure con lo sfascio dell’Impero asburgico lo fecero), neppure con la giustificazione di qualche ideale cosmopolita. Dato che, a ben vedere, il cosmopolitismo rientra nella classe delle alternative al patriottismo.
La seconda: le più interessanti e centrate definizioni di ciò che è la libertà, politica in specie, l’ha date S. Tommaso.
Come ho scritto in un precedente articolo per Rivoluzione liberale (Sovranismo e libertà politica) l’Aquinate sosteneva che è libero chi è causa di se (del suo): liber est qui causa sui est; e per chiarire ulteriormente definiva  servo chi è di altri (servus autem est, qui id quod est, alterius est).
Applicando queste due asserzioni di S. Tommaso non sono né libere, né comunità perfette quelle che giuridicamente e politicamente dipendono da altri e pertanto non hanno la piena disponibilità di determinare i propri scopi né i mezzi per conseguirli.
Per cui liberarsi da quella condizione di dipendenza è il requisito minimo per poter decidere del proprio destino. L’inverso è sopportare che lo decidano gli altri: come spesso capitato nella recente storia nazionale. Dato che né Di Maio né Salvini vogliono occupare, neppure Tripoli e Tirana, ma solo evitare di subire troppi condizionamenti in casa nostra, non sono dei pericolosi aggressori e guerrafondai.
Ciò stante passiamo al suggerimento.
Diceva Vittorio Emanuele Orlando in un famoso discorso pronunciato alla Costituente, chiedendo che l’assemblea non ratificasse il Trattato di pace: “considerate almeno questo lato della decisione odierna, il significato di questa accettazione, che avviene in un momento in cui essa non è necessaria; onde il vostro voto acquista il valore di un’accettazione volontaria di questa che è una rinuncia a quanto di più sacro vi è stato confidato dal popolo quando vi elesse: l’indipendenza e l’onore della Patria… Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future: si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità”.
Seguendo l’indicazione del Presidente della vittoria, non sarebbe il caso di cominciare a chiamare gli anti-sovranisti, mutuando l’espressione di Orlando: “servilisti”?
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).