giovedì 10 maggio 2012

Il libro della settimana: Cosimo Magazzino, La politica economica di Margaret Thatcher, pref. di Francesco Forte, postfazione di Gian Cesare Romagnoli, Franco Angeli,  pp. 192, euro  25,50 -  
www.francoangeli.it


Un fantasma ideologico  si aggira per l’Europa, quello  di Margaret Thatcher… Sappiamo di non essere molto originali, ma la pur  logora  immagine coniata da Engels e  Marx  rende bene l’idea di quanto la politica economica neo-liberista della “Farfalla di ferro” (termine coniato da Radio Varsavia, prima del diluvio Gorbaciov)  tuttora  divida e influisca sulle scelte politiche ed economiche.
Ad esempio, il nostro Monti, la  Merkel e lo sconfitto Sarkozy possono essere definiti thatcheriani come alcuni osservatori  ritengono? No.  Diciamo che una fondamentale  distinzione da fare è  proprio quella fra la Thatcher e i thacheriani.  Tra una donna,  dalla grande personalità politica, capace di influenzare  persino Reagan, e  i suoi  figli, nipoti e nipotini ideologici, sparsi qui e là per il mondo, spesso  pure  copie sbiadite della foto originale, come i tre politici  appena ricordati, legati a un liberalismo tecnocratico (Monti), avvocatesco e dei “buoni affari” (Sarkozy), “listiano”, da Friedrich List ( Merkel).  Insomma, magari  ancora  ce ne fossero  di politici della levatura  della Thatcher, anche  a  prescindere dai contenuti delle sue politiche.
Ed è quest’ultima la giusta chiave (che chiameremo “napoleonica”)   per accostarsi al  “ciclone Margaret”.   Come  del resto mostra il notevole libro  di Cosimo Magazzino, La politica economica di Margaret Thatcher (Franco Angeli). Un bel saggio che si muove, nonostante il titolo  “economicista” (del resto l’autore è professore di Politica Economica),  nell’alveo di  un duplice registro: quello poetico-napoleonico, nel senso della straordinarietà, in chiave manzoniana, della Thatcher («La procellosa e trepida/
gioia d'un gran disegno,/
l'ansia d'un cor che indocile/
serve, pensando al regno»
). E quello più prosaico, fatto di cifre e calcoli, e tabelle riguardanti  le politiche economiche neo-liberiste  praticate  nei suoi tre governi consecutivi (1979-1990). Parliamo di un libro ben organizzato, diviso  in tre densi capitoli, prima, durante e dopo la Thatcher (più corposo il secondo, quello del durante), corredato da una appendice dedicata alle elezioni generali inglesi dal 1970 al 2005) e da un ricca  bibliografia, aperta anche ai contributi,  non strettamente economici: un bel lavoro,   a un tempo, scientifico come un trattato,  e avvincente come un  buon   libro di  storia.   
Ovviamente, come sottolineano impietosamente  prefatore e postfatore,  il cuore di  Magazzino batte per la Thatcher. Ma come dice, nessuno è perfetto. E quindi  nell’interpretazione di Magazzino, come nel Cinque Maggio  manzoniano,  poesia e prosa, epica  e vita,  si saldano insieme.  Ma il risultato, come abbiamo accennato, non è  niente male, anzi…  Ma lasciamo la parola all’autore: « Giunta alla guida  del paese nel 1979 (…), il compito per Margaret Thatcher si presentava improbo. Una disoccupazione in continuo aumento e un’inflazione che sembrava inarrestabile facevano da cornice a un generale sentimento di frustrazione e di diffuso pessimismo. I governi che l’avevano preceduta - tanto di marca laburista quanto conservatrice - avevano in maniera più o meno convinta, applicato ricette keynesiane nei decenni precedenti. Alla fine degli anni Settanta (…) il Regno unito era soprannominato  “il Grande malato d’Europa” (…).  A colpi di neo-liberismo (basato su una certa  definizione del monetarismo e dell’offertismo) e di neo-conservatorismo (incentrato sui valori tradizionali racchiusi nel motto “Dio, Patria e Famiglia”) la Thatcher rivoluzionò il Regno Unito e, attraverso la sua influenza sulla reaganomics, anche egli equilibri mondiali (…). La visione del mondo che  ispirò la Signora Thatcher sembra più vicina a quella di un “conservatorismo liberale” che cerchi  di far convivere il liberismo e i valori della tradizione. Fece inoltre, nascere la  City londinese; ridimensionò i potenti sindacati dei lavoratori (le Unions); e d’altro canto fece fallire imprese inefficienti, togliendo loro una volta per tutte sussidi statali; privatizzo un ragguardevole numero di imprese pubbliche ; infine, fece in modo che il Paese diventasse una “democrazia di proprietari”, permettendo agli inquilini di acquistare le abitazioni di proprietà dei comuni, a prezzo agevolati. Con la guerra delle Isola Falklands sferzò i suoi concittadini risvegliando l’antico orgoglio imperiale» (pp. 25-26). 
E i dati economici, sul prima e il dopo (almeno fino alla crisi del 2008-2009), confortano le tesi di Magazzino. Parliamo degli effetti positivi su tutte le variabili macroeconomiche di una politica thatcheriana,  ripresa poi  pedissequamente, come capita agli imitatori,  anche da Blair…  Evidentemente, la Gran Bretagna, dopo anni di torpore laburista-conservatore  aveva bisogno di una scossa.  E la Thatcher fu la donna, politicamente giusta, capace di agguantare il potere nel momento giusto. Un Napoleone in gonnella, neo-liberista che, tuttavia,   grazie ai moschetti delle armate del libero mercato,  spinse avanti anche i valori di un liberalismo, non libertino,  volti a rivendicare nell’individuo il nesso   libertà e responsabilità. Che poi  figli e  nipoti abbiamo travisato, non è colpa della  Thatcher.
Dal momento che la  “Farfalla di ferro”, che  non toccò il sistema sanitario nazionale e solo in parte quello pensionistico,  propugnava   l’esatto contrario di quel neo-liberismo finanziario,  speculativo ed egoista  che ha condotto alla crisi attuale.   Probabilmente, la Thatcher, da brava  fondamentalista del nesso libertà-responsabilità,  mai avrebbe rifinanziato banche colpevoli di essersi imbottite di titoli spazzatura. Di sicuro le avrebbe trattate alla stregua dei  generali argentini:  fuoco alzo zero.
Concludendo,  per dirla ancora con  il grande  Manzoni, «Fu vera gloria?»  Secondo Magazzino sì.  Del resto, come onestamente  si riconosce nel libro,   «se furono luci, non soltanto di luci si trattò. Non amata da un buon numero di  suoi contemporanei, oggi la figura di questa premier dura e inflessibile (tanto da ricordare . se non fosse per l’antipodica visione del mondo  - Maximilien-M.-I. Robespierre, soprannominato l’incorruttibile) tende tuttavia ad essere rivalutata. Sono sempre di più gli studiosi e gli analisti che citano le idee ed i valori propri del thatcherismo. L’Italia, forse anche per l’antipatia personale aperta, dichiarata  nelle rispettive memorie tra la stessa Thatcher e Giulio Andreotti, non ha mai tenuto in considerazione la “figlia del droghiere” » (p. 27).
Sottoscriviamo, ma con una chiosa, non proprio di secondaria importanza:  il problema resta -  crediamo -   non tanto quello del thatcherismo, che può essere reinventato  nei modi diversi e controversi, quanto quello  di  scovare  una nuova Thatcher,  Cioè della possibilità, che dalle classi politiche  attuali,  possa prima o pi venir fuori un politico, uomo o donna, all’altezza della “Farfalla di Ferro”.   O se si preferisce, per scomodare di nuovo  Manzoni, dell’ «uom fatale»,  pardon,  della donna fatale…  Il che, da umili lettori di libri storici, ci sembra, soprattutto di questi tempi,  molto difficile, se non del tutto impossibile.  O no?  Comunque sia, ai lettori «l’ardua sentenza»…
  
Carlo Gambescia
                  

   

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