lunedì 14 maggio 2012

Il volantino della Fai
Il "tipo rivoluzionario" 



Il volantino di quattro pagine della Fai (Federazione Anarchica Informale) nucleo “Olga”, dove si rivendica l’attentato al dirigente dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi, merita  alcune riflessioni. Chiunque desideri leggerlo, per verificare nei dettagli  quanto ora diremo in generale, può cliccare qui: http://media2.corriere.it/corriere/pdf/2012/olga_110512.pdf    . Attenzione però. La nostra è una interpretazione “diversa”. Non sposiamo il punto di vista complottista, come fa certa sinistra, o quello  della pura  tenuta dell' ordine pubblico, come predilige la destra. A nostro avviso il volantino è una preziosa testimonianza sociologica della spaventosa chiusura mentale dell' “tipo rivoluzionario” ( nel senso di "modello" intepretativo) : figura ricorrente, come vedremo, all’interno di una modernità fisiologicamente segnata, proprio perché dinamica e creativa, da periodici conflitti  sociali dsitributivi   connessi alle   fasi, talvolta ascendenti, talaltra discendenti,  del ciclo economico.  
Due gli aspetti che emergono dalla sua lettura: il primo è distinto dalla prometeica sicurezza pedagogica con cui si fa  mostra di sapere ciò che sia bene o male  per l’altro ; il secondo aspetto è segnato dalla totale opposizione a tutte le altre concezioni politiche differenti  dalla propria; il ponte tra i due aspetti, che potremmo definire cognitivi, è rappresentato dall’azione violenta, come momento pratico della realizzazione dell’idea . Quindi abbiamo due fasi  cognitive e una fase interattiva,  riguardante la concretizzazione, o se si preferisce il passaggio all'atto.   Ciò significa che  si tratta di una sociologia basata su una dinamica  dei concetti  e dell’azione povera e ripetitiva.  Parliamo di un processo sociale   incentrato sull'aprioristica e semplificatoria   partizione  del mondo in buoni e cattivi. Ma, attenzione, la divisione tra amico (buono) e nemico (cattivo), non è intepretata in chiave fisologica, come dire,  di una pura e semplice regolarità politica, ma  in chiave   teologico-politica:   nel  nemico si scorge un   nemico assoluto;  una specie di  sub-uomo, da disprezzare, contro il quale tutto è permesso. E il perché è molto semplice.   Secondo il “tipo rivoluzionario”  il conflitto, anche il più duro possibile,  concerne solo “questa” società, perché in “quella” che  nascerà dalla rivoluzione,  regnerà l’armonia più completa: l'amico e il nemico brucheranno insieme la verde e tenera erbetta dell'amicizia universale.  Insomma,  dal massimo del male (la società presente)  sorgerà  il bene  (la società futura). E la violenza, anche la peggiore,  ne sarà la naturale levatrice.  Detto altrimenti:  si punta sul conflitto per eliminare il conflitto. E per sempre.     Ignorando così le più elementari nozioni  di psicologia e sociologia  dell'uomo:  un essere  eternamente e universalmente non cattivo ma  "pericoloso" (per dirla con Hobbes),  che,  difficilmente,  da carnivoro  potrà trasformarsi  in erbivoro...  
Inutile perciò insistere   sul    millenarismo (o gnosticismo, o entrambe le cose),  che  anima   l’approccio alla realtà del “rivoluzionario-tipo”,  anche perché si tratta di questioni già assodate in letteratura.  Siamo davanti, nonostante le dure repliche della storia,  a  una  regolarità della politica: quella dettata  dalla ricorrenza storica e sociologica del   “tipo rivoluzionario”. Figura, indubbiamente legata all’evoluzione stessa di una  modernità, ricca di contrasti e conflitti sociali ed economici. Contrasti e conflitti, di cui  il "tipo rivoluzionario"  non sembra  intuire  il valore    dinamico-creativo.  Probabilmente   perché  portato, sul piano cognitivo,   a "estremizzare" o esasperare   i diversi fattori sociali,   prima argomentativamente, poi sociologicamente e politicamente passando all'atto, e così via lungo  un tristemente noto movimento a  spirale.  Il "tipo rivoluzionario"  rifiuta di comprendere la complessità della  realtà umana: se i fatti divergono dalle sue idee, tanto peggio per i fatti, come, per l'appunto,  sostenne Lenin.   In questo senso,  terrorismo e rivoluzionarismo marciano insieme: non esistono stadi evolutivi  differenti o malattie infantili.  Terrorismo e rivoluzionarismo, checché ne pensasse Lenin,   sono consustanziali: hanno una sola  medesima natura e sostanza.  Di conseguenza, il  "tipo rivoluzionario", proprio   perché succube di  un meccanismo teologico-politico  teso alla edificazione di un pacificato  "Paradiso in Terra",  mai capirà   che i contrasti e  i conflitti  rappresentano, se istituzionalizzati e metabolizzati, un naturale veicolo  di progresso e libertà.  E che quindi pretendere di  eliminarli per sempre,   e per giunta in modo violento,  significa  gettare via e  calpestare il sale della terra.    
Che poi il “rivoluzionario-tipo” - "il filosofo che deve trasformare il mondo non interpretarlo diversamente", per dirla con Marx - sia marxista o  anarchico poco cambia. Soprattutto, se si volge lo  sguardo  sulla  scia di sangue che, regolarmente, ha  lasciato dietro di sé.  

 Carlo Gambescia 

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