mercoledì 2 maggio 2012

Carlo Pompei ama le parole ma non al punto di diventarne schiavo. Le passioni, se eccessive, sono sempre pericolose...  Va pure detto che  le parole spesso cambiano di significato, seguendo i costrutti delle diverse lingue. Le passioni, no.  Ma questa è un'altra storia. Buona lettura. (C.G.)



Lingue e parole a confronto
Un pretesto per parlare d’altro
di Carlo Pompei






Gli inglesi detestano gli americani, considerano l’America una sorta di gigantesca colonia penale nella quale sono confluiti tutti i reietti e i fuorilegge del Vecchio continente e, in parte, hanno ragione. La questione è aperta da tempo: due aneddoti sul caso riguardano Winston Churchill che disse: “sono sicuro che gli americani faranno la cosa giusta, ma soltanto dopo aver provato tutte le altre” e “nonsodiprecisochi” che disse: “gli americani stanno studiando - con esborso di milioni di dollari - una penna a sfera che possa scrivere in assenza di gravità, mentre i russi, fuori orbita terrestre, già usano una… matita”. Notizia peraltro smentita:http://www.attivissimo.net/antibufala/biro_spaziale/biro_spaziale.htm  .
Tuttavia, una cosa in comune (più o meno) americani e inglesi la hanno: la lingua. No, non quella nella bocca, ma quella parlata e scritta. Quindi, per ovviare ad ulteriori equivoci, parleremo di “linguaggio”, “fonema”, “lemma”, “idioma”, da non confondere con “idiota” che spesso muove la lingua senza pensare, ma questo è un problema che affronteremo un’altra volta. La lingua “inglese” - dicevamo - si contraddistingue per una caratteristica che ne ha decretato il successo anche nei testi musicali: le parole generalmente sono brevi (avete mai sentito una bella canzone tedesca?). Fatte salve “Lili Marlene” (Lale Andersen e Marlene Dietrich), in parte “Alexanderplatz” (Milva), “Der Kommissar” (Falco) o “99 luftballons” (Nena) non viene in mente altro; e alcune definirle belle… Poi, se aggiungiamo che l’unione di parole può significare cose che, in italiano, occorrerebbe un opuscolo per spiegarle: “off-limits” diventa “limite invalicabile-sorveglianza armata-zona militare”. Ma almeno in quattro casi gli anglo-americani – forse - si complicano la vita, quando devo dire “perché”, quando devono dire “strada”, quando devono dire “tempo” e quando devono dire “casa”.
Nel primo caso hanno a disposizione due parole: “why” per l’interrogativo e “because” (by-cause, par-cause in francese) per l’esplicativo equivalenti ai nostri “per-ché?” e “peer-chèèèèèèè”. Questo significa che hanno bisogno di chiedere o esplicare, appunto, un concetto tramite il mezzo (la lingua) e non con la sola intonazione. Paradossale, per un linguaggio - come detto - filo-musicale.
Nel secondo caso usano “way”, “street” o “avenue”, dove la prima può indicare un luogo o, più precisamente, un senso di marcia (one-way); oppure un’utopia (un non luogo figurato) che è sinonimo di modalità, “best way”, giusta direzione o fa’ la cosa giusta: Spike Lee, “Do the right thing”, 1989, o di nuovo Churchill e la penna e la matita con il concetto di “pensiero laterale” che ci aiuta a risolvere questioni apparentemente insolvibili.
Contrariamente “street” indica in assoluto un luogo fisico, a meno che non stiate parlando in dialetto abruzzese e qui il termine significa “stretto”, “angusto” o altro: “tene lu culo strit” significa “ha paura di farsela addosso” o, più semplicemente, “ha paura”. Vedi anche “Rome, Ten Lucullo street”, che, invece, significa “Via Lucullo 10, Roma”.  “Avenue”, invece, è di origine francese e significa viale. A New York rappresenta una strada che interseca le “streets”. Il reticolato risultante ricorda i “cardi” (cardini) e i “decumani” dell’antica Roma. Nel quartiere o Rione Prati (prima “Prata Neronis”, nel Medioevo “Prata Sancti Petri”, poi “Prati di Castello”) ancora oggi è ben visibile tale sub-suddivisione centuriale.
Nel terzo caso abbiamo “time” per il tempo cronologico e “weather” per il tempo meteorologico. In italiano, la contestualizzazione è importantissima: “non ho tempo oggi” oppure “che tempo farà domani?”.Anche la traduzione letterale, però, è problematica: “good times” non significa “tempo buono”, ma “bei momenti”. Il metereopatico (dal greco “metereon”: cosa che avviene in alto, e “pathos”: passione, malattia, sofferenza), infatti, sa che il suo umore va a “tempo”, ma non per questo sa necessariamente suonare uno strumento musicale.
“Temporale” ha significato bivalente: rovescio breve di pioggia, come sostantivo; limitato nel “tempo”, come aggettivo. “Tempesta”, ne ha uno solo, come “tempestivo” (rapido, immediato), anche se sembra la crasi anomale di “temporale” estivo (rovescio a scroscio violento di pioggia dalla durata “temporale” limitata nella stagione calda). “Tempestato” vuol dire “ricco di…”, ma stiamo andando fuori tema. Discorso a parte merita “Rhythm” (ritmo) usato per il “tempo” musicale.
Quarto caso: casa. Viene utilizzato il termine “House” per intendere un edificio (building) o per intendere figurativamente un’industria (software-house) o una pubblicazione che la riguardi (house-organ). “Home”, invece rappresenta il focolare (Fuffy come back home) o il luogo di provenienza con relativi inviti a tornarvi (yankee go home). Come vedete la differenza tra cani e ameri-cani è sottile…
Tutto questo soltanto per dirvi che, se avete letto tutto ciò (e l’avete letto se siete arrivati fin qui), non vi siete accorti di aver perso “tempo”, ma rassegnatevi: ormai è tardi… e non chiedetevi “perché”… non esiste una “via” breve, ma soltanto “strade” lunghe e “street-te” per comprarvi una “casa”. Per poi pagare l’IMU al posto della banca che la possiede realmente fintanto non avrete pagato l’ultima rata del mutuo.


Carlo Pompei

Carlo Pompei, classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica, impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed… ebanisteria “entry level”.


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