Prima del post di oggi una piccola chiosa
a quello di ieri.
Devo dire che la paura fa novanta...
Piuttosto che ai lettori e commentatori del blog (che vanno e vengono, certo
con qualche eccezione, poche per la verità) mi riferisco agli amici e colleghi.
Persone con cui ho collaborato, di cui ho pubblicato libri, cui ho dato
consigli, talvolta "lanciato" e aiutato...
Per carità, mai mescolarsi agli appestati
che disturbano i "manovratori", prima la carriera... E poi quando
"si tiene famiglia"...
Ovviamente, come ho sempre fatto, tirerò
dritto.
Carlo Gambescia
.
Personalizzazione della politica
Di chi è la colpa?
Se Atene
piange, Sparta non ride. Tradotto: se Berlusconi e Fini litigano, gli altri
leader non se la passano meglio: Bersani e Franceschini si guardano di
traverso, per non parlare di Veltroni e D’Alema, “fratelli coltelli” per
antonomasia; Di Pietro non ha sicuramente nelle grazie De Magistris: Ferrero e
Vendola quando si incontrano cambiano strada.
Perché? E’ colpa del tradizionale familismo made
in Italy? Di un italiano che da secoli non riesce a superare
simpatie e interessi personali: la famigerata malattia del “particulare”
evidenziata dal Guicciardini cinque secoli fa?
O è colpa della ideologie? Verdastre entità gelatinose che come i mostri di
Lovecraft ricicciano sempre? Ad esempio tra Ferrero e Vendola la sfida ha
riguardato anche i testi sacri del comunismo italiano, a partire da dotte
citazioni incrociate dai “Quaderni del Carcere” di Antonio Gramsci. Ma anche le
diatribe, cavalcate dai diversi leader “carismatici”, sul federalismo e sulle
riforme sociali rinviano allo zoccolo duro dell’ideologia. Ma fino a che punto?
Oppure la colpa è del bipolarismo? Del fatto che un sistema organizzato su due
grandi raggruppamenti o partiti facilita la radicalizzazione delle posizioni
politiche proiettando in primo piano la figura del leader? Qui però va subito
sottolineato che quando regnava il pluripartitismo e comandava la Democrazia Cristiana ,
già esistevano i cosiddetti “ cavalli di razza”, come si li chiamava all’epoca
(se ricordiamo bene l’espressione risale a Montanelli): Moro, Fanfani,
Andreotti, Donat-Cattin e, discendendo le scale, Forlani, Cossiga, De Mita,
eccetera. Personaggi che facevano scintille… Non era forse già quella per-so-na-liz-za-zio-ne
della politica? E in piena epoca proporzionalista?
Nulla di tutto ciò. La causa delle liti politiche a piatti in faccia è nella
“spettacolarizzazione” della politica. Una questione che travalica il problema,
per dirla dottamente, della forma quantitativa della rappresentanza: uno, due,
tre, quattro, sei, dieci partiti.
E si tratta di una formula che proviene dall’America, dove un candidato
politico - soprattutto dopo la scomparsa di Franklin Delano Roosevelt (1945),
il mitizzato quattro volte presidente - si deve vendere come una merce. E
dunque va spettacolarizzato, come una bottiglietta di “Coca Cola”. Ovviamente
un ruolo essenziale è stato giocato dal crescente strapotere dei media e dei
poteri più o meno forti che vi speculano sopra. Con una conseguenza: che la
“spettacolarizzazione” ha implicato la “personalizzazione” della politica. Di
qui i conflitti personali e il raccogliersi di un partito intorno all’uomo (di
volta in volta) “della provvidenza”: il personaggio che tanto piace alle televisioni
che a loro volta tanto piacciono alla gente comune… E così il cerchio si
chiude. Si pensi a Obama, Sarkozy, Zapatero, addirittura assurto a icona gay,
Berlusconi. Ma anche ai loro avversari. Dalla repubblicana Palin, dipinta come
una come dal grilletto facile, al professor Prodi in Italia, raffigurato come
tranquillo curato di campagna… E da ultimo Fini, dipinto da Eugenio Scalfari,
come autentico liberaldemocratico. Proprio Fini l’impomatato ex fascista del
Duemila…
Insomma uomini e donne politici finiscono per diventare quel che la
“pubblipolitica” (pubblicità + politica) vuole che siano Di qui gli scontri in
stile Grande Fratello, come ieri l’altro tra Berlusconi e Fini.
Pertanto, in definitiva, l’eccesso di conflitti personali non è il prodotto di
“malattie” ereditarie, dell’ideologia o del bipolarismo. Quindi inutile credere
nel ritorno del pluripartisimo: la crescita del numero dei partiti
moltiplicherebbe solo la quantità ( e non la qualità) dei partecipanti al
“Grande Fratello” della politica italiana.
Si dovrebbe invece fare un passo indietro, rifiutando la “spettacolarizzazione”
della politica. Ma come? Se ormai The Show Must Go
On ?
Carlo Gambescia