venerdì 2 maggio 2025

La globalizzazione e i suoi contraccolpi

 


La vittoria di Donald Trump è il punto di arrivo di una reazione politica ai processi di globalizzazione, che negli anni Ottanta, sull’onda delle politiche liberali di Ronald Reagan e Margaret Thatcher fecero correre l’economia mondiale. Il magnate è un contraccolpo: l’anti-Reagan. Non solo lui. Si pensi a Giorgia Meloni, l’anti-Thatcher, e agli altri variopinti (ma altrettanto pericolosi) leader di estrema destra, oggi sulla cresta dell’onda.

Ovviamente, si tratta di contraccolpi a lunga distanza. Perché? Per capire va fatto un passo indietro, fino agli Settanta del secolo scorso.

La risposta alla grande crisi economica degli anni Settanta (un misto di stagnazione e inflazione, esito negativo dellacrisi petrolifera) fu il ritorno a politiche di liberalizzazione del commercio internazionale, di bilanci in ordine, di contenimento della spesa sociale. Qualcosa che ricorda, per forza innovativa e crescita economica, il ventennio 1850-1870, storico momento di grande trasformazione, però con dieci anni supplementari.

Infatti il trentennio 1980-2010 rappresenta un momento di grande espansione di un processo di liberalizzazione dell’economia a livello mondiale. La crisi finanziaria ed economica alla fine degli anni Duemila (2007-2008) che inizia negli Stati Uniti e si diffonde, provoca un inasprimento delle politiche di bilancio e per reazione la proliferazione dello sciovinismo welfarista e del conseguente razzismo antimigratorio.

E qui, all’inzio degli anni Dieci, che spiccano il volo le forze in passato contrarie alla globalizzazione, sempre vivaci, in genere di estrema destra ed estrema sinistra, ma fino a quel momento minoritarie.

Da questo punto di vista i percorsi vittoriosi di Giorgia Meloni e di Donald Trump, possono essere giudicati esemplari, anche in senso temporale. Negli anni Dieci del nuovo secolo si cavalca la tigre della crisi riallacciandosi alle reazioni anni Ottanta dell’ estrema destra alla globalizzazione: reazioni che, a voler andare ancora più indietro, traggono origine da un preciso immaginario storico: fascismo italiano e isolazionismo americano. Si pensi a un basso continuo o se si preferisce al classico fiume carsico improvvisamente tornato in superficie, che rischia di travolgere tutto.

Perché un pensiero minoritario, di estrema destra, è tornato maggioritario in meno di dieci anni-quindici anni?

In primo luogo, per un fatto antropologico: la memoria, soprattutto quando collettiva (nel senso delle idee correnti e diffuse), è corta. Prevale sempre la scontentezza, nei riguardi del presente, rispetto all’apprezzamento del cammino fatto, quindi con riguardo al passato. Il che può essere molla di progresso come di reazione. Negli ultimi anni la scontentezza ha favorito la reazione.

In secondo luogo, per una questione di immaginario: i capitalisti (semplifichiamo), in particolare dopo il 2010, non sono più riusciti a “vendere” bene il “prodotto” capitalismo. Per una logica interna, legata alla storica e ricorrente ricerca di compromessi istituzionali, il capitalismo, anche questa volta, è venuto a patti, volente o nolente, con i suoi nemici. Di qui la “riscoperta” del protezionismo, cavallo di battaglia dell’estrema destra e dell’estrema sinistra. Concettualmente, ai profitti si è preferita la rendita.

In terzo luogo, per una questione legata alla mitologia della bandiera: il concetto di libero mercato è un concetto astratto, non alla portata di tutti, per contro quello di nazione, che si collega immediatamente allo sventolio di una bandiera è alla portata di un bambino di tre anni. L’ignoto, il capitalismo, fa paura, il noto, la bandiera, provoca esaltazione. L’impazienza, tipica di un bambino capriccioso prevale sulla matura pazienza dell’intelligenza dei fatti.

Ci si chiederà perché, nonostante i tre punti ricordati, fino agli anni Duemila la globalizzazione liberale (chiamiamola così) ha funzionato. La storia è fatta di congiunture, cioè di micro-eventi che vanno a confluire in un macro-evento, che per un certo periodo, più o meno lungo, può tramutarsi o meno in una fase di stabilità oppure nel suo contrario.

Sotto questo aspetto, la storia del secondo dopoguerra, gli ultimi ottant’anni vanno divisi in quattro fasi: 1945-1970; 1970-1980; 1980-2010; 2010-…

Due fasi di stabilità (1945-1970; 1980-2010), due fasi di instabilità (1970-1980; 2010-…). Nelle fasi di stabilità i microeventi, cioè le interazioni di miliardi di individui, sono tutti determinati da una volontà di migliorarsi e da un ottimismo di fondo. Per le fasi di instabilità vale il contrario.

Pertanto la crisi che stiamo vivendo è una crisi morale di sfiducia dell’individuo, che, dimentico della grandezza passata, sembra disprezzarsi. Un atteggiamento di scarsa considerazione che pare estendersi alle istituzioni politiche ed economiche liberali. Le stesse istituzioni che hanno fatto grande l’Occidente euro-americano e migliorate le condizioni, quando condivise, anche solo in parte, di altri paesi. Insomma, prevale la logica del bicchiere mezzo vuoto.

Protezionismo e nazionalismo vincono non per forza propria ma per una debolezza congiunturale dell’Io occidentale. Il che significa che Trump, Giorgia Meloni e altri leader di estrema destra non sono stati votati da gelatinose forze oscure ma hanno preso i voti, ben visibili, di milioni e milioni di elettori che però hanno rinunciato a ragionare per agitare una bandiera.

Passerà?  Forse. Ma è difficile dire quando e come.

Carlo Gambescia

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