venerdì 6 settembre 2024

Fratelli d’Italia e il divorzio dalla società civile

 


Al di là di quel che sta accadendo, e accadrà, il vero problema di Fratelli d’Italia, e delle formazioni di destra che hanno preceduto e “incubato” questo partito (Alleanza Nazionale e Movimento Sociale Italiano) è nella totale assenza di una classe dirigente, cioè di bravi tecnici, laici diciamo, provenienti dalla società civile: professori, alti professionisti, intellettuali di fama riconosciuta, anche all’estero, “industriali” e manager dal respiro non provinciale. Insomma, autorevoli cittadini fieri dei propri diritti e doveri.

Perché questa enorme distanza, se non incomunicabilità, tra l’estrema destra e la società civile? Perché questa assenza di un serbatorio al quale attingere con regolarità e in sicurezza?

Ovviamente non alludiamo alle “alleanze sociali elettorali”, al voto occasionale, mutevole, verso l’alto o verso il basso, e neppure ovviamente allo zoccolo duro ideologico “del neofascista”, per tradizione, famiglia, sovversiva provenienza piccolo-borghese, eccetera, al quale invece il partito attinge, con regolarità, per i quadri politici. Sotto questo aspetto, la carriera di Giorgia Meloni, piccola borghese sovversiva dell’ordine liberale, è esemplare.

Per dirla in modo sintetico Fratelli d’Italia non ha il suo professor Monti, il suo professor Draghi, e così via fino ai manager e burocrati, di (relativamente) basso livello. Non ha una classe dirigente, di persone preparate, credibili, anche internazionalmente, rispettose dello stato di diritto, alla quale, ripetiamo, attingere in modo stabile. Può solo contare sull’effetto bandwagon, che trascina coloro, che ogni volta, dopo le elezioni, scelgono di salire sul carro dei vincitori: un personale, che si compone di arrivisti, quindi inaffidabile.

Fratelli d’Italia, come i partiti suoi predecessori, può solo contare su una classe politica, quindi interna, formatasi all’ombra dei leader storici, susseguitisi nel tempo: puri militanti, giornalisti di partito, avvocati, piccoli imprenditori dediti però alla politica, qualche insegnante di scuola superiore, maestri, commercianti, e un tempo soprattutto reduci di Salò e delle guerre fasciste.

Si tratta di un isolamento, da “esuli in patria”, come è stato scritto, in parte ricercato e voluto, per lo spirito eversivo del partito verso l’ordine incarnato dalla cittadinanza liberale e occidentale; in parte indotto dalle condizioni storiche come ad esempio la disastrosa sconfitta del fascismo e il successivo e giustificato cordone sanitario intorno a un partito che non ha mai rinunciato, sebbene in modo elastico secondo il momento, a scorgere un fondamentale punto di riferimento nella cultura della tentazione fascista

Per fare solo alcuni esempi. Si pensi all’odio feroce di Fratelli d’Italia verso i diritti civili: non è altro che il rifiuto di quel comune spirito di cittadinanza che caratterizza la società civile occidentale. Oppure all’aggressività verso le Ong, appunto perché valorizzano un’idea di cittadinanza o società civile universale.

Attacchi in nome di che cosa? Di una visione populista che al cittadino come individuo pretende di sostituire il popolo come blocco unico e “nazionalizzato”.

Tutto questo spiega l’inconsistenza di un personaggio come Sangiuliano, giornalista di stretta osservanza missina, quindi privo di quel respiro internazionale, solidità intellettuale e vigore civile che distinguono le classe dirigenti, quindi non solo politiche, capaci di parlare al mondo.

Tesi sostenuta da un “fascista” atipico e transigente come Giano Accame. Probabilmente l’unico intellettuale di destra che aveva perfettamente capito, dopo lo sdoganamento berlusconiano, l’inutilità di una integrazione passiva del Movimento Sociale nel sistema liberal-democratico. Ci sembra ancora di sentirlo: o vi si credeva veramente, magari introducendo correzioni sociali, oppure era meglio lasciar perdere e dedicarsi all’ippica. Insomma, mai uccidere la gallina dalle uova d’oro.

L’aspetto veramente grave è nel fatto che a trent’anni dal famoso “sdoganamento”, Fratelli d’Italia, sul piano della formazione di una classe dirigente di riferimento (cioè esterna al partito) sia ancora ai blocchi di partenza. È grave che dopo una generazione, forse due, considerate le distanze generazionali di oggi, Fratelli d’Italia sia ancora una partito isolato.

Giorni fa leggevamo della volontà di Giorgia Meloni di creare una nuova Frattocchie, ma di destra, simile alla scuola quadri del partito comunista ai tempi di Togliatti. Purissima archeologia politica. Invece di aprirsi al mondo, ci si chiude in casa e si butta via la chiave.

Altro esempio: tra i nomi che sono stati fatti, come possibili successori, di Sangiuliano, non ce n’è uno che sia “classe dirigente”. Cioè, un dirigente di riconosciuto e oggettivo valore proveniente dalla società civile.

In questo quadro, già disastroso, non aiuta l’atteggiamento da Fort Apache, assediato dagli indiani, di Giorgia Meloni, che per tradizione organizzativa (da Michelini, Almirante, Fini) si comporta da padrona di Fratelli d’Italia. Anzi lo è. A tale proposito inutile tornare sul partito gestito in famiglia.

Di qui il complottismo, gli appelli di tipo militare all’unità, l’evocazione di improbabili missioni storiche, la caricaturale rappresentazione della sinistra, dipinta, secondo una visione da Figlie di Maria, come “sentina d’ogni vizio”.

Si rifletta sui continui appelli di Giorgia Meloni al popolo. Sono la prova della ricerca di un rapporto diretto con gli elettori senza dover   ricorrere alla mediazione della società civile. Si dirà pura democrazia. No, pura demagogia. La vecchia demagogia, nazional-fascista.

In realtà, Giorgia Meloni fa di necessità virtù. Si rivolge al popolo, perché la società civile, che si compone di cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri, ignora Fratelli d’Italia. E Fratelli d’Italia, ricambia, ignorando la società civile, per puntare sulla democrazia emotiva. Un autentico divorzio.

Sicché a trent’anni dallo sdogamento di An ( e quasi ottanta dalla fondazione del Msi), missini dentro come Meloni, La Russa, Sangiuliano, Lollobrigida, Musumeci, e così via, si ritrovano catapultati ai vertici del parlamento e dello stato…

Con i risultati disastrosi che sono sotto gli occhi di tutti.

Carlo Gambescia

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