lunedì 2 settembre 2024

I due volti della retorica politica

 


Sotto il profilo del rapporto fra retorica e politica esistono due livelli. Diciamo pure due volti.

Il primo è quello della politica di superficie. Facciamo subito un esempio. Ci si preoccupa della compattezza del governo Meloni, chi è contro, nelle sue analisi, ne accentua le divisioni, chi a favore le minimizza. Il che è qualcosa di politicamente normale, soprattutto in una democrazia parlamentare. Se non che, e qui si passa la secondo livello ( quello della politica profonda, della la politica dirompente), la retorica usata dalle parti va ben oltre la normalità. Approda al porto minato della delegittimazione reciproca.

Per quale ragione? Perché si accusa regolarmente l’altro di ordire complotti, di voler minare la democrazia, insomma ci si delegittima a vicenda, perdendo di vista il quadro del normale confronto tra avversari, per scivolare in quello tra nemici, all’interno del quale prevale il principio del mors tua vita mea.

A dire il vero la democrazia parlamentare, storicamente parlando, fin dalle sue origini britanniche, non ha mai rinunciato ai colpi bassi. Però una cosa erano i conflitti che animavano le età dei Walpole dei due Pitt, diciamo dello scontro settecentesco tra Tory e Whighs, quando le canoniche divisioni tra destra e sinistra non si erano ancora perfezionate, un’altra cosa il conflitto politico-parlamentare dopo l’esperienza del totalitarismo novecentesco, negatore delle divisioni tra destra e sinistra, stabilizzatesi per circa un secolo, un secolo di pace e progresso, dopo la Rivoluzione francese e l’avventura napoleonica.

Va ricordata come particolarmente deleteria la non condivisione da parte di forze politiche antisistemiche come fascisti e comunisti (semplificando) del quadro liberale. Pensiamo al periodo che va tra le due guerre mondiali e la Guerra fredda (inclusa). Senza dimenticare la fase ancora più complicata, determinatasi dopo il 1989 e il 2001. Segnata dalla proliferazione nel mondo, dopo un inizio apparentemente promettente, di regimi dittatoriali o comunque antiliberali, anticapitalisti, antioccidentali in qualche modo collegati a  ciò che i giornalisti chiamano ideologia rossobruna.

Dove andiamo a parare? Attenersi al livello superficiale, della soddisfazione per le divisioni in campo nemico (primo livello), risulta pericoloso, quando la retorica che accompagna le manifestazioni di soddisfazione risulta delegittimante (secondo livello).

Va da sé che, come sta accadendo in Italia, ma anche altrove ( si pensi alla vittoria di ieri dell’ultradestra in Germania), la retorica di chiunque si opponga al devastante ritorno del nazifascismo, non può non essere giustamente delegittimante. Perciò è giusto provare soddisfazione per ogni possibile divisione nel campo antisistemico.

Però il problema è nel fatto che la gente comune –  chi vota  – finisce per ritenere la retorica delegittimante come normale. Sotto questo aspetto la tremenda retorica politica dell’intransigenza che marchiò a sangue i conflitti politici all’interno della Repubblica di Weimar resta esemplare, ovviamente in senso negativo. Fu peggiore, per contenuti, perfino della  pericolosa  retorica politica alimentata oggi dai Social.

Il succo del discorso è il seguente: quanto più si delegittima l’avversario, tramutandolo in nemico, tanto più la normale politica liberale si trasforma in delegittimazione reciproca. Favorendo così le forze antisistemiche che invece sguazzano nel disordine e nel caos, anche retorico-linguistico.

Come si può intuire si tratta di una specie di vicolo cieco: quanto più si usa una retorica delegittimante, anche giustamente contro i fascisti e comunisti, tanto più si fuoriesce dal sistema liberale, lo stesso sistema che si vuole salvare. Però, non si può fare a meno di delegittimare il nemico fascista e comunista, che per vincere, e proprio per la sua ideologia antiliberale, ricorre impunemente al linguaggio delegittimante. Insomma, un gioco al massacro, tra nemici che non possono e non vogliono venire a patti.

Per fare un esempio, tornando alle origini parlamentari britanniche, cioè alle distinzioni tra tory e whigs, pur tra le divisioni, i membri dei due “partiti” – sia chi si battesse per la corona, sia chi per i poteri del parlamento – erano trasversalmente contrari alla tirannia e all’anarchia politica. Esisteva un idem sentire capace di ricondurre la cattiva retorica dell’intransigenza nell’alveo della normale politica liberale, basata su una buona retorica della transigenza. Insomma, non ci si delegittimava a vicenda. Si veniva sempre a patti.

Per tornare ai nostri guai, se ne può uscire? Il problema è quello del deporre le armi della retorica delegittimante. Quando però? Se i nemici della liberal-democrazia vi ricorrono a piene mani? E se deporre le armi per primi significa per i liberal-democratici essere sommersi dalla marea rossobruna?

Carlo Gambescia

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