domenica 1 settembre 2024

Veneziani e l’elogio del cafone

 


Esiste in Italia la figura del “bianco povero” che vota Giorgia Meloni, come negli Stati Uniti vota Trump? No.

L’Italia non ha una Rust Belt, con gli ex operai che vivono nelle roulottes, o arroccati in casupole di legno, tipo unabomber, né una cultura biblica di tipo fondamentalista. Insomma, l’Italia è culturalmente e socialmente lontanissima dagli Stati Uniti profondi (Appalachi Settentrionali e dintorni), descritta dal candidato a vice di Trump, James.D. Vance, nel suo libro di successo Hillbilly Elegy (2016) dal quale Ron Howard ha tratto uno suoi film meno riusciti.

Hillbilly, semplificando, forse troppo, corrisponde all’italiano cafone o terrone. Al montanaro, che si fa giustizia da solo, odia il cittadino delle due Coste, i cui figli e nipoti, hanno trovato lavoro, nell’industria pesante, continuando però  a ragionare in modo arcaico come i nonni.

Industria che poi però tradirà il montanaro quasi inurbato. Di qui la Rust Belt, la cintura della ruggine, di un’industria pesante, in abbandono, a causa delle concorrenza estera e della modernizzazione tecnologica. Sangue montanaro, di montanaro arrrabbiato che per vendicarsi, come scrivono soprattutto gli analisti di sinistra, voterà Trump.

Vance celebra non tanto quei valori in sé, quanto l’individualismo montanaro che oppone a quello Wasp ( White Anglo-Saxon Protestant) dei vincenti della Costa orientale, eredi – semplificando – dei Padri Fondatori.

Un romanzo autobiografico, molto americano, ideologicamente ambizioso, perché tira la volata, non solo a Trump, ma a una riconciliazione tra individualismo e populismo, che negli Stati Uniti ha caratterizzato esperienze politiche di destra e sinistra. Ad esempio, Bernie Sanders è la fotocopia di sinistra del populismo di destra di Donald Trump. Manca la xenofobia, ma la visione di un’America, protezionista, isolazionista e antielitista, è la stessa.

Detto questo, risulta comico il tentativo – niente di che, per ora un modesto editoriale – di Marcello Veneziani. Cioè tradurre o trasporre in chiave italiana le tesi di Vance.

Veneziani della cultura americana sa poco o nulla. Qualcosa che ha leggiucchiato qui e là nel pamphlet di Alain de Benoist o Locchi  e negli scritti di altri intellettuali di destra ferocemente antiamericani. Roba fatta in casa.  Amatoriale. Veneziani scribacchiò pure un saggetto giovanile sui cattivi costumi Usa, illeggibile.

L’Italia ha inventato il fascismo. E ogni rilettura di un fenomeno politico e sociale, soprattutto tra i nostalgici (non solo del fascismo) come Veneziani, non può non risentirne.

Perciò ecco che la cultura Hillbilly si tramuta, probabilmente senza che Veneziani per simbiosi fascio-psichica se ne accorga, nella cultura dell’Italia dello Strapaese contro la Stracittà. Roba da intellettuali antimoderni degli anni Venti, quando un pugno di eccentrici e furbi passatisti rivendicò la bontà dell’Italia rurale. Una scelta che sfociò politicamente nelle dissennate battaglie del grano, che impoverirono il suolo italiano, e nelle megafamiglie con dieci figli premiate da Mussolini. Una buffonata costosa.

Se negli Stati Uniti la cultura Hillbilly, nel bene e nel male, è un fatto, in Italia è un’invenzione letteraria di Maccari, Malaparte e Longanesi. Per non parlare dell’inesistenza italiana di una Rust Belt. Si pensi solo alla nostra inconsistenza industriale rispetto agli Stati Uniti.

Resta, in effetti, la “provincia”, soprattutto nel Sud, patria di Veneziani. Quella delle ironiche "porte aperte" di Sciascia.  Un mondo passivo, ben descritto ad esempio da Carlo  Levi e altri scrittori. Sempre pronto a schierarsi con i vincenti politici. Familismo amorale, altro che individualismo montanaro.

Perché un intellettuale di destra, deve ridursi così? Perché riciclare stupidità fasciste?

Diciamo che è la nemesi dell’antiamericanismo. Si critica, poi però si pesca comunque nel mare magnum della cultura Usa & getta, come scriveva Veneziani quarant’anni fa.

Prepariamoci perciò all’ ennesimo inutile libro dell’intellettuale di Bisceglie dedicato all’elogio del cafone.

Che malinconia.

Carlo Gambescia

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