venerdì 1 dicembre 2023

Il realismo a breve termine di Henry Kissinger

 Alla venerabile età di cento anni compiuti è morto Henry Kissinger. Inutile sfogliare i giornali italiani. Molti i richiami in prima pagina, con minore o maggiore evidenza, ma come sostanza dedicati al Kissinger glamour. Molto leggeri.

Probabilmente, considerata l’ignoranza in materia, persistente e generale, nonostante le cattedre di storia americana, si dovrà attendere qualche settimana o mese, per avere analisi decenti e soprattutto non imbevute di quella sostanza venefica che si chiama antiamericanismo.

La prima domanda da porre è se gli storici del futuro, diciamo del XXII secolo, dedicheranno un capitolo a Kissinger in un manuale di storia del pensiero politico. Ha scoperto cose nuove? No. Diciamo però che ha ribadito e applicato alla politica concreta, l’antica lezione del realismo politico: minacciare i deboli contrattare con i forti, ovviamente sempre con le armi al piede. Ciò è stato possibile nel suo decennio d’oro, che lo vide consigliere prima di Nixon poi di Ford. Quindi difficilmente Kissinger finirà tra le pagine di un manuale di storia del pensiero politico del XX secolo.

La seconda domanda rinvia al tipo di realismo politico sposato da Kissinger. A breve termine (a quo) o a lungo termine (ad quem) (*)? Kissinger si poneva la soluzione di problemi presenti, quindi a breve? Oppure, partendo dall’oggi, guardava alla soluzione di quelli futuri, a lungo termine? Cioè per Kissinger, quando si spezzava la catena degli eventi, scaturiti dalla decisione politica?

Ad esempio, si doveva convivere con Unione l’Unione Sovietica e Cina Comunista o lavorare alla loro distruzione?

Secondo Kissinger si doveva contrattare, giorno dopo giorno, rinunciando, però con le armi  in pugno ( magari facendo finta machiavellicamente di ridurle), a conclusioni o risultati  di  lungo periodo. Va però detto subito che Kissinger respingeva sia una politica estera di conversione del nemico in amico (tipica dei liberal e dei pacifisti), sia una politica di trattamento del nemico come tale (tipica dei falchi conservatori anticomunisti), quindi tesa alla sua distruzione alla prima occasione favorevole.

Per rispondere alla domanda sulle conseguenze, il realismo di Kissinger si fermava alle conseguenze immediate. A suo avviso la catena andava spezzata subito, senza allungarla troppo, protendendosi politicamente verso un futuro lontano.

Diciamo che Kissinger, a differenza di Machiavelli e anche di Hitler (e questo era un bene), non ragionava per millenni. Molti suoi implacabili critici hanno addirittura ritenuto che Kubrick, il cineasta, avesse ricalcato la figura del suo dottor Stranamore, dall’evidente impronta ideologica nazista, sulla quella di Kissinger.

Nulla di più falso. Kissinger, oltre al fatto che la sua famiglia aveva lasciato la Germania per sfuggire alla persecuzioni naziste, non era un militarista, né un pazzo giocoliere con palline e cerchi sparati in aria alla ricerca di un senso mitico della storia.

La sua cultura storica – in senso comunque molto alto – si arrestava al Congresso di Vienna e all’età della Restaurazione. Un periodo storico analizzato in un magnifico libro in argomento, valorizzando il realismo a breve termine del Principe di Metternich (**). Realismo che però si infranse sotto i colpi delle rivoluzioni quarantottesche che imponevano una contezza, frutto di un realismo di lungo periodo, che Metternich non aveva. Al Principe sfuggivano le irresistibili conseguenze delle democrazia e dell’uguaglianza, di cui invece Tocqueville e forse anche Guizot, realisti a lungo temine, ebbero cognizione precisa. Ma questa è un’altra storia.

Trattando, trattando, Kissinger riuscì, grazie alla sua tela (un misto di diplomazia segreta, promesse e minacce), prima a vietnamizzare il conflitto nel Sud-est asiatico, poi a favorire il ritiro degli Stati Uniti dal Vietnam, con più o meno onore. Riuscendo addirittura a riavvicinare Washington a Pechino, mettendo così in crisi Mosca, senza però rompere con i comunisti russi. Rotismi perfetti di politica internazionale degni di un orologiaio della vecchia Brema. Un mago veramente, però del realismo a breve: a quo, come da noi definito.

La terza domanda rinvia invece alla lezione di Kissinger.Il suo realismo politico a breve termine è ancora valido?Diciamo pronto per l’uso?

Francamente, crediamo sia una questione di sintonia con i tempi. All’epoca, tra gli anni Sessanta e Settanta, il realismo a breve termine (a quo)  funzionò, pur alimentando negli Stati Uniti una crisi morale, fortemente divisiva, che durò almeno fino all’avvento di Reagan. Il quale invece, praticò un realismo a lungo termine che favorì, come asseriscono gli storici, la crisi finale dell’Unione Sovietica. Un realismo ad quem (almeno nelle intenzioni) che incise culturalmente sui presidenti successivi (incluso il democratico Clinton ed escluso Obama). Presidenti che si ritrovarono loro malgrado immersi, dal 1991 in poi, in un apocalittico scenario di ferro e di fuoco che ancora incombe sul mondo.

Cosa vogliamo dire? Che, come invece ha consigliato fino all’ultimo proprio Kissinger,  non è possibile "ucrainizzare" né "israelizzare" due fondamentali conflitti in atto. Servono grandi strategie e un realismo a lungo termine (ad quem), capace di ragionare se non per millenni, almeno per alcuni secoli, riconoscendo e colpendo, senza pietà, i nemici dell’Occidente euro-americano, o  comunque renderli inoffensivi.

Sotto questo aspetto, ripetiamo, il realismo kissingeriano a breve termine, non è adatto ai nostri difficili giorni.

Kissinger, che comunque si legge sempre volentieri, ricorda il Principe di Metternich, che con la sua politica di accordi, incontri, e concessioni reciproche, tra i vincitori di Napoleone, riuscì a garantire un periodo di equilibrio e  pace di quasi trent’anni all’Europa. Però Metternich, come detto, non seppe prevedere, né quindi  prevenire,  i moti del 1848.

Era un realista a breve termine come Kissinger.

Carlo Gambescia

(*) Su questi aspetti rinviamo al nostro Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio 2019, pp. 23- 31.

(**) Si vedano di Kissinger: Diplomazia della Restaurazione, Garzanti 1973, nonché L’arte della diplomazia, Sperling & Kupfer 1996.

 

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