lunedì 9 maggio 2022

Assassinio Moro o “caso” Moro?

 


Il 9 maggio del 1978 il cadavere di Aldo Moro venne ritrovato in via Caetani, pieno centro di Roma, nel bagagliaio di una autovettura. Giustizia proletaria era fatta.

L’esecuzione di un uomo politico di alto livello, da parte di un gruppo terroristico di marxisti rivoluzionari, faceva di colpo retrocedere l’Italia, funestata, da almeno un decennio, dalla guerra civile tra rossi e neri, nella bassa classifica di una repubblica sudamericana.

Con Moro, si eliminava un riformista, che dopo aver ricondotto i socialisti nell’ambito di una normale dialettica politica, ora tentava di fare la stessa intelligente operazione politica con il partito comunista.

Si trattava di un processo di socialdemocratizzazione dell’ opposizione marxista che secondo Moro avrebbe consolidato la liberal-democrazia italiana. Di qui però, diciamo di rimbalzo, la necessità, da parte dei marxisti rivoluzionari, di eliminare un pericoloso avversario politico, o comune di sfidare lo stato, puntando su una dimostrazione di potenza (al tempo definita “geometrica”) politica e militare.

Questi sono i termini storici del sequestro, imprigionamento e assassinio di Aldo Moro.

Su questa vicenda si è poi innestato il “caso” Moro. Cioè il “romanzo” Moro: parliamo delle varie teorie cospirative sull’intera storia. Che quando si dice il caso, risultano concepite all’unisono in modo tale da sminuire il ruolo del marxismo rivoluzionario.

I terroristi? Dei bravi ragazzi, in fondo, veri idealisti, strumentalizzati dai servizi segreti russi e americani, all’insegna di quel “Vodka Cola” culturale e politico, che tuttora attrae, come spiegazione universale degli anni della Guerra Fredda (e anche dopo), le frange politicamente lunatiche di estrema destra e di estrema sinistra, divise su tutto, ma totalmente d’accordo sul disprezzo verso il sistema liberal-democratico.

L’Italia degli anni Settanta, basta sfogliare la stampa estremista rossa o nera dell’epoca, era vista come sull’orlo di una rivoluzione marxista, che però non poteva non vedersela con una reazione di tipo fascista.

La pressione rivoluzionaria era fortissima. E qui va ricordato che persino Berlinguer attinse a questa teoria. Infatti il leader comunista nel tentativo di recuperare gli estremisti dentro e fuori il Pci, che non erano pochi, presentò la sua proposta di alleanza con la Democrazia cristiana, ciò che la stampa chiamò “Compromesso storico”, come uno scudo politico per difendere l’Italia da dure reazioni politiche di tipo cileno.

In sintesi: niente fronte contrapposto tra sinistre e forze moderate, in primis la Dc, ma unità nazionale antifascista in stile resistenziale per contrastare la crisi, economica, sociale e politica di quei difficili anni, segnati dalla stagflazione. Il richiamo alla Resistenza spiega la liquidazione come fascisti, da parte del Pci, dei terroristi marxisti delle Brigate Rosse: vecchia ricetta stalinista, come dicevamo dell’unità antifascista, usata contro gli anarchici, in verità armatissimi, durante la guerra civile spagnola.

Ma spiega anche perché i brigatisti, addirittura nei proclami, usavano parlare di “Resistenza tradita”, di “Nuova Resistenza”, eccetera, accusando il Pci di voler collaborare con il nemico democristiano, visto come longa manus della conservazione sociale, se non della reazione fascista.

Su questi fragili basi politiche, dettate pericolosamente dall’eterna divisione, all’interno del Pci, tra conquista democratica e rivoluzionaria del potere, ipotesi, attenzione, che divergeva sui mezzi ma non sui fini, che puntavano all’edificazione di una società italiana, il meno che si può dire, nemica, e devastatrice della liberal-democrazia…

Su queste fragili basi, dicevamo, Moro tentò la sua intelligente operazione politica, che conquistò anche Andreotti( un saggio realista politico che capiva quando cedere), di recuperare il Pci all’interno di un processo di socialdemocratizzazione dell’opposizione comunista. Una dinamica liberal-democratica che non poteva non essere invisa all’estrema sinistra per ragioni rivoluzionarie, come pure all’estrema destra, animata da un feroce anticomunismo e da una volontà revanscista.

Il marxismo rivoluzionario, allora più organizzato e capillarmente diffuso nella società italiana, colpì per primo. Sequestrò Moro, uccise freddamente gli uomini di scorta, lo processò e condannò a morte. Ed eseguì la sentenza. Punto.

Carlo Gambescia

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