giovedì 3 giugno 2010

Il libro della settimana: Claudio Finzi, Europa Occidente Americhe. Saggi di geofilosofia politica, Edizioni Settimo Sigillo 2009, pp. 112, euro 11,00. 

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Si fa presto a dire Occidente. In realtà si trascura un fatto molto importante: che gli interessi geopolitici tra Europa e Stati Uniti non sempre coincidono. Per non parlare delle diversità culturali, sociali, economiche e politiche. Ma le cose non vanno meglio sul piano dell’ “auto considerazione”: gli Stati Uniti, continuano a ritenersi, per dirla con Ralph Waldo Emerson, un “paese di giovanotti”. Mentre l’Europa, secondo l’ amara profezia di Paul Valéry, sembra ormai immaginare se stessa come “un piccolo promontorio del continente asiatico”.
A chiunque desideri riflettere su un accoppiamento così poco giudizioso si consiglia la lettura dell’ultima fatica di Claudio Finzi, Europa Occidente Americhe. Saggi di geofilosofia politica (Edizioni Settimo Sigillo 2009, pp. 112, euro 11,00) . L’autore è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche nell’Università degli Studi di Perugia. E tra l’altro, al tema, ha dedicato in passato un altro notevole volume, Gli Indios e l’impero universale. Scoperta del’America e dottrina dello Stato (Il Cerchio Iniziative Editoriali).
Finzi, a differenza di alcuni suoi colleghi, ha il dono della sintesi. E’ un “professore” che sa scrivere in modo agile ed elegante. E così in cinque densi ma chiari capitoli va alla radice di una questione fondamentale. Quale? Che “ non siamo stati noi europei a volerci distinguere dall’America anglosassone, ma loro a dichiararsi radicalmente diversi dall’Europa” .
Sotto questo aspetto è particolarmente importante il secondo capitolo. Dove passando in rassegna tre pensatori statunitensi (Kirk, Huntington, O’Meara) si evidenzia come il tema dell’ “identità americana” sia legato, soprattutto nei primi due, alla considerazione, tutta statunitense, dell’ ”eccezionalità delle istituzioni” politiche americane. Di qui il senso di sdegnosa superiorità rispetto all’Europa, ma anche il grande timore di non poter conservare per sempre la supremazia. Timore che accomuna i tre autori esaminati, anche se con toni e modalità differenti. E il timore - attenzione - è già un segno di decadenza.
Ma non sono da meno anche agli altri capitoli. Anzi va sottolineato, che pur trattandosi di una raccolta di saggi ( con un solo capitolo inedito, quello dedicato ad Amerigo Vespucci), l’organicità del volume non ne risente, perché si legge d’un fiato.
Ricordiamoli brevemente. Nel primo capitolo (Europa e Occidente) si spiega come “la parola Occidente” non sia “nata per unire Europa e America in un più ampio contesto atlantico, bensì, al contrario, per prendere le distanze dal vecchio Continente” . Del secondo già abbiamo detto. Nel terzo capitolo (Tre colonizzazioni), si dicono cose illuminanti sui tre modelli principali di colonizzazione del continente americano : il francese, l’inglese, lo spagnolo. Scrive Finzi:

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“Del primo poco si parla eppure fu, a mio giudizio il migliore; quello nel quale europei e pellirosse avrebbero potuto convivere senza la morte di uno dei due. Il secondo ci mostra uno scontro, nel quale la distruzione dell’altro fu proclamata senza quartiere e senza pietà; giustificata come missione divina o come ineluttabile funzione del progresso. Diversa l’esperienza spagnola; stimolati anche dall’avere incontrato civiltà di maggiore organizzazione e organismi politici quali i grandi regni azteca e inca, gli spagnoli si trovarono a riflettere sul significato di questi stessi ‘stati’ , giungendo a conclusioni rilevanti anche per il pensiero politico europeo e la nostra dottrina dello Stato”.


Infine nei capitoli quarto e quinto, rispettivamente dedicati a Francisco de Vitoria e Amerigo Vespucci, si invita a ripensare le idee di eccezionalità (delle istituzioni americane) e di salvezza ( come effetto di una loro ricaduta su quelle europee). Idee, al cui fascino obliquo, la stessa Europa stenta tuttora a sottrarsi. Purtroppo.

Carlo Gambescia



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