martedì 1 giugno 2010


Riflessioni
Israele, la guerra e la pace



Storia e politica insegnano che si giunge alla pace - come intervallo armistiziale tra una guerra e l’altra - non per idealistiche trasformazioni culturali, come sostengono pacifisti e chiese, ma attraverso due precise modalità: o il conflitto militare che mette in condizione di non nuocere il perdente; o una trattativa frutto di interessi “concreti”, basati sulla comune volontà di garantire un equilibrio di fatto tra forze politiche ed economiche più o meno dello stesso peso (come ad esempio durante la Guerra Fredda o nell’Europa post-napoleonica di Metternich).
Ora, l’ennesima sfida lanciata da Israele con il sanguinoso blitz di ieri, indica due cose: uno, che la strategia dello Stato Ebraico è quella di non ammettere interferenze di alcun genere ; due, che Israele non vuole rinunciare alla sua egemonia sul Medio Oriente, o meglio, per dirla politologicamente, non può. Perché, infatti, stanti le differenze economiche e militari a suo favore, Israele, al momento, dovrebbe volontariamente giungere a patti con gli avversari? Perché Israele dovrebbe intenzionalmente rinunciare alla sua egemonia, diluendo i propri interessi politici ed economici egemonici, che non coincidono, con quelli degli altri paesi mediorientali, inferiori per peso militare, politico ed economico?
In politica - ed è bene non dimenticarlo mai - domina esclusivamente la logica di potenza o quella dell’interesse di fatto. Il che significa che un attore politico di regola non accetta mai di spogliarsi volontariamente della sua forza egemonica: chi ha il potere tende a conservarlo, se non ad aumentarlo. Certo, lo Stato di Israele potrebbe essere costretto alla pace da Stati Uniti, Europa, Russia. Ma in che modo? Con un guerra… Tuttavia, quando non esistono le condizioni di fatto per la pace (fondate su una sconfitta militare dirimente, o sull’equilibrio di fatto tra interessi politici ed economici paritari), la pace, se imposta, assume natura artificiale, rischiando così di essere di breve durata e foriera di guerre ancora più feroci. Di regola, una “pace mal digerita” conduce a nuovi conflitti, proprio perché rivolta a “ riscattare” con il sangue una pace percepita, sul piano dell'immaginario politico, come frutto di un "tradimento".
Pertanto nel futuro del Medio Oriente c’è sicuramente un’altra guerra. E questa volta potrebbe essere quella dirimente. Ma per chi? Difficile rispondere. Anche se la bilancia della superiorità militare sembra pendere dalla parte di Israele.

Carlo Gambescia

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