Giorgia Meloni ha dichiarato ieri che il fascismo fu una dittatura che negò la libertà: ovviamente tra gli osanna della stampa di destra e la sorpresa di quella di sinistra. Stessa reazione tra i politici, divisi in giulivi e spiazzati.
In realtà, se guardiamo all’evoluzione negli ultimi dieci, quindici anni delle istituzioni politiche in Polonia, Ungheria, Turchia, Stati Uniti, Italia (solo per fare alcuni nomi), il problema non è più quello dei dichiararsi antifascisti ( o comunque non solo quello), ma del graduale passaggio di fatto da una democrazia liberale a una democrazia illiberale.
Si pensi, per fare un esempio banale, a un cinema, multisala, con tanto di luci e insegne, titoli dei film in programmazione, dove però una volta che entrati, invece di trovare comode poltrone e un invitante schermo, ci si ritrovi in una megastanza delle torture corredata di supplizi vari, cavalletti, ruote, mordacchie, eccetera. Dalla quale, una volta sbarrate le porte, sia impossibile uscire.
Fuor di metafora. La democrazia illiberale, addirittura teorizzata da Erdoğan , Orbán, Trump (*), è una democrazia che formalmente mantiene in piedi le strutture dello stato di diritto, che però ignora di fatto.
Come? Svuotando dall’interno, giorno dopo giorno, le istituzioni liberali, cominciando dal legislativo e dal giudiziario. Cioè dai poteri di controllo sul governo
La democrazia illiberale si può definire come una democrazia in cui prevale l’esecutivo sugli altri poteri. Dove, per capirsi, chi vince le elezioni governa in modo autocratico.
Non si tratta di una semplice repubblica presidenziale, dove, come nella Francia della Quinta Repubblica oppure negli Stati Uniti, prima del secondo mandato Trump, le misure prese dai presidenti non possono sottrarsi al controllo politico del parlamento e di costituzionalità da parte dei giudici supremi, ma di un potere assoluto che dichiara di dover rendere conto solo al popolo. Esiste quindi una componente populista. Che distinse anche il fascismo: movimento antiliberale per eccellenza.
La pericolosità della democrazia illiberale cresce in relazione alla possibilità di manipolazione delle elezioni. Non è una questione di brogli occasionali ma di un proliferare di situazioni ai vari livelli sociali e comunicativi. Se ad esempio le opposizioni sono ostacolate sul piano comunicativo e la stampa, perché minacciata, non osa parlare dei fallimenti del governo, siamo già davanti a un voto chiaramente manipolato. Di qui, l’importanza, delle Corti Costituzionali e dei parlamenti per proteggere i diritti delle minoranze e difendere il pluralismo politico. Cioè dello stato diritto liberale.
Detto altrimenti: il voto del popolo non può diventare lo schermo dietro il quale governare in modo autocratico, vale a dire senza alcuna forma di controllo da parte del legislativo e del giudiziario.
La democrazia illiberale, in buona sostanza, è un democrazia dell’esecutivo. Si torna all’assenza della divisione dei poteri, tipica del mondo preliberale, ossia premoderno, quando il monarca cumulava nella sua persona i tre poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario. E faceva il bello e il cattivo tempo.
Non per nulla negli Stati Uniti si accusa Trump di voler governare come una specie di Luigi XIV. Un comportamento politico che rinvia a personaggi come Erdoğan , Orbán o comunque ad altre figure al potere ovunque stia prevalendo il concetto di democrazia illiberale.
E qui veniamo a Giorgia Meloni, che tra l’altro sta lavorando alla cosiddetta legge sul premierato, chiaramente illiberale (**). Quindi molto pericolosa per l’esistenza stessa dello stato di diritto.
Insomma non basta dichiarare che il fascismo fu una dittatura. Soprattutto quando, come detto, si vogliono estendere i poteri dell’esecutivo, controllare politicamente la magistratura, potenziare l’ordine pubblico oltre la normalità liberale.
Per farla breve: se Giorgia Meloni dichiara di essere liberal-democratica allora ritiri il decreto sicurezza e chiuda i CPR. E non molesti più i giudici, soprattutto se costituzionali.
Infine un’amara considerazione. Lo stato di diritto liberale è la
splendida invenzione dei moderni. Ha poco più di due secoli di vita.
Qui però la sua debolezza, diciamo antropologica. Perché si scontra con
l’attitudine degli esseri umani a conservare il
proprio stato o comportamento, precedente all’invenzione dello stato di
diritto, attitudine che ha migliaia di anni. Vi è dietro una specie di forza inerziale che fa leva sulla pigrizia, sull' abitudine, sul misoneismo, sullo spirito del gregge.
Perciò è gioco facile – difficilissimo da contrastare – per
insinuanti sciamani politici come Erdoğan , Orbán, Trump, Meloni, adorati dal popolo, evocare sadicamente le forze inerziali, profonde, ataviche,
antropologiche, come dicevamo, che spingono verso l’osceno culto
popolare del potere assoluto di un singolo individuo, elevato a capo
carismatico. Ci si ricordi qui del mussolinismo. Per non parlare dei
devoti carnefici al servizio di Hitler, neo Sigfrido. O al culto della
personalità tributato a Lenin, Stalin e ancora oggi in modo significativo verso la
figura vivente di Putin, quando ad esempio mostra i muscoli andando a cavallo. Come dimenticare il Mussolini, a torso nudo, della "Battaglia del grano"?
Purtroppo, dinanzi alla democrazia illiberale, ennesima incarnazione di un potere autocratico, che ha migliaia di anni dietro di sé, lo stato di diritto potrebbe rivelarsi una specie di incidente storico.
Cosa triste da dire. Ma di cui si deve prendere atto.
Carlo Gambescia
(*) Si veda Gabriel Piniés, “L’ascension de l’illibéralism Américain”, Éléments, aprile-maggio 2025, n. 213, pp. 38-41. Interessante messa a punto della questione, ovviamente dallo sciagurato punto di vista di una destra reazionaria che scorge in Trump il ritorno del decisionismo filonazista di Carl Schmitt. Il termine democrazia illiberale fu coniato, con largo anticipo, da Fareed Zakaria, giornalista e studioso, in un articolo per “Foreign Affairs” (1997). Si veda il suo Democrazia senza libertà in America e nel resto del mondo, Rizzoli, 2003 (ed. or. The Future of Freedom: Illiberal Democracy at Home and Abroad, Norton, 2003).
Inutile dirle che anche in questo caso la penso come lei. Proprio o forse per questo, vorrei chiederle cosa pensa di ciò che è avvenuto nelle elezioni in Romania. Grazie, un saluto
RispondiEliminaGrazie della domanda. Può apparire contraddittorio. Ma hanno fatto bene, a prescindere. Dai nemici sistemici ci si deve difendere. Guai segare il ramo dell'albero... Ne ho scritto, in generale, qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2025/04/segare-il-ramo-su-cui-si-e-seduti.html .
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